PROFILO DI GIOVANNI TEBALDINI

 

di Luigi Inzaghi1

 

 

Nel panorama della musica del nostro secolo il compositore e musicologo Giovanni Tebaldini è stata una figura singolare, per aver partecipato, con intima convinzione, sicura competenza e grande forza d’animo, alla riforma ceciliana insieme a Don Guerrino Amelli, Padre Angelo De Santi, Don Lorenzo Perosi, Marco Enrico Bossi e al pontefice San Pio X.

Nato a Brescia il 7 settembre 1864 “da famiglia bresciana puro sangue, modesta e onesta” - come scrive lui stesso - ricorda anche che il padre, “di professione operaio armaiolo, amava il canto e, dotato di buona voce baritonale, cantava nelle scholae cantorum parrocchiali”.

“A sette anni cominciò lo studio sistematico della musica presso il Civico Istituto Musicale di Brescia, dove ebbe a maestri Paolo Chimeri e Giovanni Premoli per il pianoforte, Roberto Remondi per l’organo e l’armonia, Giacinto Conti per il violino” (Vittorio Brunelli). La sua grande passione però, stimolata anche dal cugino Padre Giovanni Piamarta (beatificato nella Basilica di San Pietro in Vaticano il 12 ottobre 1997), era il canto sacro. Al seguito del padre cantava con tale gioia nelle chiese che, nell’Epifania del 1875, dovette addirittura esibirsi da solo in un Tantum Ergo. L’esito positivo delle prove solistiche e corali lo stimolava a proseguire sulla via tracciatagli dal padre e nel 1879, a soli 15 anni, istruì i cori del Teatro Guillaume di Brescia. L’anno dopo divenne maestro dei cori al Teatro Comunale di Macerata e nel 1881 al Teatro Castelli di Milano “per la stagione lirica in occasione della prima Esposizione nazionale” (Brunelli). Passato a Vespolate nello stesso 1881, come organista di quella grande borgata novarese, ebbe modo di incontrare il M° Antonio Cagnoni col quale concertò l’esame di ammissione al Conservatorio di Musica di Milano. Gli riuscì di entrare nella vetusta quanto importante istituzione milanese nell’ottobre del 1883, giudicato da Angelo Panzini e da Amilcare Ponchielli, i quali furono rispettivamente suoi insegnanti di contrappunto e fuga e di composizione. Unitamente alle lezioni di musica del Conservatorio, Tebaldini frequentava anche quelle di Don Guerrino Amelli presso la Scuola di Santa Cecilia (in Via Francesco Sforza) ove imparava la paleografia musicale, il canto gregoriano e la polifonia vocale. Grazie a tali approfondite conoscenze della musica antica, Tebaldini riusciva a scrivere sulla Gazzetta Musicale di Milano, sul giornale La Lega Lombarda e su Musica Sacra di cui diveniva anche redattore alla morte dell’Amelli. Avendo però criticato negativamente una Messa di Polibio Fumagalli (suo insegnante), proprio dalle colonne de’ La Lega Lombarda, in quanto composta con criteri antiquati, contrari a quelli della riforma ceciliana, veniva espulso dal Conservatorio pur diretto dal concittadino ed amico Antonio Bazzini. Iniziava così la sua vita di musicista errabondo, alla ricerca di un lavoro stabile che lo portò a dirigere la Schola Cantorum di Vaprio d’Adda e poi ad ottenere il posto di organista nella lontana Piazza Armerina. Dalla Sicilia passò a Worms nel 1888, avendo vinto un concorso a premi della Wagnerverein, indi soggiornò a Monaco di Baviera, Norimberga e Bayreuth, dove studiò le opere di Wagner. Infine si stabilì per otto mesi (sino al 1889) a Ratisbona, primo italiano a frequentare la Kirchenmusikschule su consiglio dell’amico Franz Haberl, celebrato esegeta della polifonia vocale. Da quel momento Ratisbona diverrà per Tebaldini “la città santa della musica sacra, soprattutto dell’antica musica sacra italiana”. Qui, infatti, ebbe la possibilità di ascoltare ben 50 composizioni di Palestrina e altre di Orlando di Lasso, Anerio, Viadana, Croce, Marenzio, De Victoria e Giovanni Gabrieli. Il suo incontro con la paleografia musicale dei padri benedettini di Solesmes, in polemica con i ratisbonensi, lo convinse tuttavia della superiorità dei benedettini nell’interpretazione dell’antica notazione neumatica, cosicché, una volta lasciata Ratisbona per Venezia, dove dal 1890 al 1894 diresse la Cappella Marciana, Tebaldini vi diffuse a larghe mani il canto gregoriano solesmense. Purtroppo, a Venezia fu  subalterno dell’organista Ciccon che, avverso alla riforma ceciliana, “rivendicava pure a sé il merito d’aver bandito da Venezia quanto maggiormente si opponesse allo spirito dell’attuale riforma”.

Nonostante ciò, Tebaldini si dava molto da fare per diffondere le sue idee sul rinnovamento della musica, soprattutto di quella sacra, organizzando conferenze illustrative sull’antica scuola veneta e fondando il periodico La Scuola Veneta di Musica Sacra in cui pubblicava musiche di Zarlino, Croce, Gabrieli e Legrenzi. In quel periodo lo contattano musicisti come Verdi, Boito, Sgambati, Martucci, Tinel e Pedrell; pittori, letterati ed uomini di cultura come Antonio Fogazzaro, Mariano Fortuny, Giacinto Gallina, Emanuele Gianturco, Pompeo Molmenti, Luigi e Urbano Nono. Ma i tre personaggi più prestigiosi, il cui incontro riesce lungamente fecondo a Tebaldini, sono Don Lorenzo Perosi, Marco Enrico Bossi ed il futuro Papa Pio X.

Tebaldini conobbe Perosi a Mariano Comense, dopo un preludiare di organo su temi gregoriani con i quali il Maestro di Tortona lo trasportò dolcemente in un’aura nobile e delicata di sogno celestiale. In quel momento Tebaldini sentì, “per quelle prime impressioni, che la causa della musica sacra in Italia avrebbe avuto in Lorenzo Perosi un campione valoroso degno di trovare seguaci operosi ed entusiasti”. E, quando nel 1898 gli Oratori di Perosi furono tacciati delle più infamanti accuse, il buon Tebaldini, dalle colonne de’ Il Cittadino di Brescia, lo appoggiò con due poderosi articoli intitolati L’Oratorio e la musica sacra di Don Lorenzo Perosi e Gli Oratori del maestro Perosi e la critica francese. Nel primo saggio chiarificò la distinzione tra Oratorio e musica liturgica difendendo Perosi dall’accusa di non comporre secondo i modelli classici; nel secondo affermò che l’Oratorio perosiano era “ben lungi dall’essere un adattamento ai soggetti sacri” (Edoardo Negri) ad imitazione de’ La Traviata di Verdi o della Figlia del Reggimento di Donizetti. Una terza difesa di Perosi, da parte di Tebaldini, giunse nel 1911 dal Bollettino Ceciliano. Qui egli riconobbe Perosi come il salvatore del movimento ceciliano, di quella riforma della musica da chiesa che da vent’anni latitava per scarsi mezzi d’esecuzione, per assenza di maestri capaci di insegnare la polifonia vocale e soprattutto per l’incessante opposizione dei detrattori che frenavano senza sosta l’attività riformatrice dei ceciliani. “La sua musica melodica - scrisse Tebaldini - piana, facile assai, spesso ricca di sentimento, traboccante di fede, conquista tante anime semplici assetate di ideale ed il dominio di essa durerà a lungo ininterrottamente. Auguriamo che la via aperta e percorsa da Lorenzo Perosi con la sua arte sacra riconduca il secolo XX alla comprensione e alla religione di quel grande il cui nome glorioso ha superato tre secoli di storia: a Giovanni Pierluigi da Palestrina”.

La riforma della musica, e in particolare di quella sacra, per Tebaldini doveva infatti avvenire secondo il motto verdiano: “Ritorniamo all’antico”, nel senso che nell’arte antica quella contemporanea avrebbe trovato di che alimentarsi e sostanziarsi per interpretare i sentimenti e le passioni degli uomini del nostro tempo. Per quanto riguardava in modo particolare la musica sacra, ritornare all’antico significava due cose ben precise: Revertimini ad fontes Sancti Gregorii e Revertimini ad fontem Petralojsii, cioè lo studio del canto gregoriano e il recupero non solo della tradizione palestriniana, ma anche delle opere di Gabrieli, Peri, Caccini, Cavalli, Legrenzi, Lotti, Animuccia, Monteverdi, Frescobaldi, Carissimi, Galuppi e Tartini; tutti compositori della musica più “divina” mai concepita da mente umana, totalmente sconosciuta all’Italia contemporanea.

È indubbio che su questa linea si fosse messo anche Marco Enrico Bossi il cui ideale era la diffusione dell’opera del grande J. S. Bach. “Così tra Bossi e Tebaldini si strinse una profonda amicizia, dimostrata dal numeroso e costante carteggio tra i due che, iniziato nel 1886, non finì che con la morte immatura di Bossi in una tragedia marittima del 1925” [E. Negri]. I due scrissero insieme la grande Messa pro defunctis per le annuali esequie di Re Vittorio Emanuele II e un Metodo per lo studio dell’organo (Ed. Carish e Janichen, Milano 1894). Inoltre, ebbero la fortunata occasione di incontrarsi ben otto volte per il collaudo, tenuto da Bossi, degli organi della Cattedrale di Como nella primavera del 1888, della Chiesa del Carmine di Torino nel febbraio del 1892, della parrocchiale di Thiene (Vicenza) nell’ottobre del 1893, della Basilica di S. Marco a Venezia nel dicembre del 1893, della parrocchiale di Nogara (Treviso) nell’agosto del 1894, della Basilica di Sant’Antonio a Padova nel novembre del 1895, della Chiesa di S. Alessandro a Milano nell’aprile del 1911 e infine della Chiesa di S. Stefano dei Cavalieri a Pisa nel dicembre del 1914 alla presenza del Cardinal Maffi. Anche il Cardinal Sarto, allora Patriarca di Venezia, ebbe l’occasione di assistere al collaudo dell’organo della parrocchiale di Cornuda in provincia di Treviso, per mano di Don Lorenzo Perosi alla presenza di Giovanni Tebaldini.

L’interesse notevole che l’alto prelato nutriva per la musica sacra fu la spinta principale all’opera di apostolato ceciliano di Tebaldini, che aveva trovato nel Vescovo di Mantova prima, nel Cardinale e futuro Papa poi, la persona ideale inviata dalla Provvidenza per realizzare il sogno cullato sin dalla prima giovinezza: dare alla Chiesa una musica degna del luogo sacro ove veniva professata la fede cattolica. Il primo decreto sulla riforma ceciliana, inviato a Tebaldini da Giuseppe Sarto risaliva al 12 ottobre 1892, quando, come segretario delle Conferenze dell’Associazione Lombarda di San Gregorio tenutesi a Pavia, il Vescovo di Mantova approvava ed appoggiava le iniziative di Tebaldini con queste parole:

“Ho presentato a ciascuno dei veneratissimi Vescovi qui adunati la copia dello statuto della Società Regionale Lombarda di San Gregorio, e tutti applaudirono allo zelo da cui Ella è animato per promuovere conforme allo spirito della Chiesa e alle recenti prescrizioni della Santa Sede lo studio e la esecuzione della musica sacra, una delle parti principali della liturgia, che tanto influisce per eccitare e mantenere nei fedeli la vera devozione. Perciò può essere ben certo, che per tanti suoi sacrifici, compreso quello della stampa del periodico La Scuola Veneta di Musica Sacra, non le potrà mai venir meno l’appoggio e la protezione di noi tutti: appoggio e protezione che le sono d’altronde confermati dagli inviti che tiene di dare speciale indirizzo ai chierici di alcuni nostri Seminari, nei quali tutti in omaggio alle prescrizioni pontificie, si caldeggia l’insegnamento della musica sacra. E con tale dichiarazione, che le sarà come spero di non piccolo incoraggiamento e conforto, godo confermarmi con distinta osservanza di Lei

Devotissimo Obbligatissimo

Giuseppe Sarto

Vescovo di Mantova, Segretario della Conferenza”

 

“Dopo questa lettera il Maestro si sente in dovere di fare una visita al Vescovo di Mantova. L’accoglienza è oltremodo paterna e confortevole. Gli argomenti riguardanti le sorti della musica sacra e la disciplina che la dovrebbe reggere sono ampiamente vagliati e discussi, tanto che dopo questo incontro Tebaldini lascia Mantova con l’animo pieno di fiducia, di speranza e di volontà di raggiungere la sua meta” (Negri). Tuttavia, appena due anni dopo questa solenne dichiarazione di Mons. Giuseppe Sarto, il movimento ceciliano accusò una grave sconfitta al Congresso Nazionale di Musica Sacra tenutosi a Parma nel 1894, alla chiusura delle celebrazioni del terzo centenario dalla morte di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Alla presenza di 200 congressisti, fra cui il Card. Sarto, il Card. Ferrari e il Card. Svampa, nel discorso d’apertura il Vescovo di Parma, Mons. Magani, stigmatizzò l’operato dei riformatori i quali avrebbero dovuto rassegnarsi a ritenere d’aver sbagliato strada non avendo sottoposto il loro operato alla Sacra Congregazione dei Riti.

Nonostante Tebaldini ricusasse con prove evidenti le parole di Mons. Magani, appellandosi all’approvazione di Leone XIII e contando sui permessi concessi al movimento ceciliano dalle autorità diocesane e metropolitane, Mons. Magani, nella sua replica finale, avvertiva che da quel momento ogni iniziativa in materia di musica sacra, che non fosse partita dall’autorità ecclesiastica diocesana, si doveva intendere non approvata. Questo decreto sospinse il Maestro Gallignani ad abbandonare la direzione di Musica Sacra, come pure sospese le pubblicazioni La Scuola Veneta di Musica Sacra, mentre Padre De Santi dovette cessare ogni sua collaborazione con Civiltà Cattolica.

Unico conforto di Tebaldini fu, come sempre, Mons. Giuseppe Sarto che in quella occasione, pur tanto dolorosa, gli disse in modo affabile ed arguto: “’Ndemo, ‘ndemo! Quel’altro Regolamento xe durà diese ani?... Fra diese ani ne faremo un altro!...” (E. Liburdi). Nove anni dopo, infatti, giungeva il Motu Proprio di Pio X al quale Tebaldini fece subito onore salendo orgogliosamente lo scalone che porta  alle stanze pontificie. L’incontro col Papa è descritto da Tebaldini stesso sulle colonne del Giornale d’Italia con queste parole:

Dunque come va la musica sacra? - mi disse il Pontefice, col fare tanto semplice e paterno che gli è abituale, dopo essersi informato di quanto personalmente e più intimamente poteva riguardarmi. A simile domanda io non potei non rispondere con effusione, che ringraziavo, per me e per tutti coloro i quali, negli anni decorsi avevano lavorato assiduamente e con fede a pro della riforma, di aver voluto sanzionare e consacrare la legittimità di un simile movimento col Motu Proprio ed il successivo decreto dalla S. C. R. [...]. A questo punto il Santo Padre, in una ideale visione di un grandioso concetto che lo anima, con caldo accento, mi tratteggiò brevemente i momenti più solenni della liturgia cattolica svolgentesi nelle grandi cattedrali come nelle umili chiese di campagna. A tali momenti liturgici, dal simbolo degli apostoli nella messa, ai salmi del vespro; dai cantici agli inni, vuole Egli che sia chiamato a partecipare con la viva voce e con le melodie gregoriane più semplici e più belle ed efficaci, quel popolo che raffigura la universalità della Chiesa tanto bene espressa nella Et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam.

Prima di raggiungere tali conquiste, però, Tebaldini doveva passare ancora da Padova, Parma e Loreto.

Arrivò infatti a Padova, per dirigere la Cappella Antoniana, nel 1894, avendo lasciato a Venezia, come suo successore alla Cappella Marciana, nientemeno che Don Lorenzo Perosi. Nella città del Santo Tebaldini rimase tre anni e mezzo e poté organizzarvi le feste per il VII Centenario della nascita di Sant’Antonio; inoltre pubblicare uno studio storico-critico sull’Archivio Musicale della Cappella Antoniana (Ed. Libreria Antoniana, 1905), che gli valse le lodi di Verdi e in cui mise in luce le figure importantissime, ma allora poco note, di Padre Francesco Antonio Calegari, Padre Francesco Antonio Vallotti e Giuseppe Tartini.

Intanto alcune adunanze e congressi contribuirono ad assicurare alla causa ceciliana nuovi proseliti: nel 1895 a Cornuda indisse con Perosi una adunanza interdiocesana; nel 1896, dopo essere stato nominato membro della Commissione permanente per l’arte musicale al Ministero della Pubblica Istruzione, partecipò al Congresso di Musica Sacra di Bilbao, dove tenne un’applaudita conferenza seguita dall’esecuzione di alcune sue composizioni organistiche premiate ai concorsi patrocinati a Parigi dalla Tribune de St. Gervais; nel 1897, infine, partecipò ad un congresso che si tenne a Milano per l’audizione de La passione di Nostro Signore Gesù Cristo, il primo Oratorio di Don Lorenzo Perosi.

Nel 1897 Tebaldini, a soli 33 anni, venne chiamato a Parma per succedere a Gallignani nella direzione di quel prestigioso Conservatorio. Giuseppe Verdi, che lo ammirava, in quella occasione gli scrisse:

“Ella è un valente e uno di quelli che potrebbe rimettere sulla diritta via chi volesse deviare. [...]. Mi è caro rallegrarmi con Lei Direttore del Conservatorio di Parma. E più mi rallegro con quell’Istituto musicale che avrà in Lei un artista che saprà vincere gli inevitabili ostacoli alle riforme a cui abbisogna”.

“Parole sante”, pensò Tebaldini che si mise subito all’opera introducendo come materie d’insegnamento il canto gregoriano e la polifonia vocale; insegnamenti ai quali si accostò con molto interesse Ildebrando Pizzetti che trovava “le melodie liturgiche latine tale meraviglioso tesoro di espressioni che un musicista non poteva, senza vergogna, ignorare”.

Tuttavia la Parma di quell’epoca non poteva sopportare un Tebaldini “amico dei preti, riformatore della musica sacra col ritorno al gregoriano, legato all’oscurantismo del Medio Evo”.

Per queste ed altre innovazioni, il deputato socialista Guido Albertelli presentò alla Camera dei Deputati una interrogazione parlamentare rivolta al Ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi, sui Gravi inconvenienti che minacciano da tempo la reputazione e la vitalità del Regio Conservatorio di Parma.

Da parte sua Tebaldini, per nulla impaurito da tali accuse, invocò subito dal Ministro un’inchiesta governativa, affidata al Prof. Jacopo Agostini che, fatte le dovute indagini, non poté che elogiare l’operato del Tebaldini.

L’Albertelli allora, insoddisfatto dell’esito dell’inchiesta, ne chiese una seconda, da affidarsi a persona “competente”, nella figura del musicologo, compositore e direttore artistico della Casa Musicale Sonzogno, Amintore Galli.

Le accuse che il Galli raccolse e trasmise al Ministro della Pubblica Istruzione constatarono che Tebaldini contrasse spese eccessive per esercitazioni, concerti, ingressi ai teatri degli allievi, acquisti ingiustificati per la Biblioteca, lavori ritenuti inutili. Inoltre, ch’egli aveva poca stima del personale docente e usava “criteri esiziali al progresso degli allievi, obbligandoli a troppo frequenti e prolungate esercitazioni di assieme, essendo egli d’avviso che s’impari più con queste che a scuola”. Chiaramente le novità volte a dare una formazione interdisciplinare ai futuri musicisti non erano comprese. I libri acquistati per la Biblioteca erano opere classiche e moderne indispensabili all’insegnamento e alla cultura degli allievi, trattandosi di autori come Ambros, Coussemaker e Riemann, nonché di Palestrina, Orlando di Lasso, Bach, Beethoven e altre del genere. Le alte spese per i biglietti d’ingresso ai teatri, con i conseguenti viaggi nelle città vicine, erano il minor prezzo da pagare per udire dal vivo le orchestre dirette dai più grandi interpreti del momento come Arturo Toscanini, Hans Richter e Giuseppe Martucci. Gli anti-tebaldiniani, chiaramente, non videro in tutte queste novità quel miglior funzionamento del Conservatorio invocato da Giuseppe Verdi.

È vero che Amintore Galli era massone, e che quindi la sua persona poteva essere più gradita all’Albertelli che non al Tebaldini, ma una volta arrivati a Roma i risultati della sua inchiesta, la Commissione consultiva del Ministero, formata da 10 alti magistrati presieduti dal Comm. G. Bentivegno, anche sulla base dell’ampia documentazione prodotta da Tebaldini, lo assolse completamente da ogni accusa. Il relatore del documento finale, Costantino Taranto, scrisse infatti che “Tebaldini appare invece un uomo che, senza mezzi di fortuna, superando tutte le difficoltà che si incontrano nella vita in tali condizioni, poté acquistare ancora giovane un posto invidiabile e invidiato. La Commissione ritiene meritevole il Tebaldini del posto che occupa ed i risultati dell’inchiesta non sono che le conseguenze dell’invidia che egli suscitò coll’avere ottenuto il posto e delle difficoltà che superò nell’introdurre le necessarie riforme”.

A questo punto il Ministro, non solo ritenne Tebaldini degno di lode, ma censurò i professori e gli impiegati del Conservatorio che lo denigrarono con “giudizi erronei ed accuse ingiustificate”. Da parte sua Amintore Galli non ebbe mai nessun rancore contro Tebaldini, tanto che lo inserì nel suo Piccolo Lessico del Musicista definendolo “compositore e musicologo, conferenziere e fondatore di giornali con i quali diffondere la riforma della musica sacra ed in particolar modo il canto gregoriano che andava insegnando come Maestro delle Cappelle di San Marco a Venezia, di Sant’Antonio a Padova e della Santa Casa a Loreto”. Del resto il Galli non avrebbe proprio avuto nulla da ridire contro questo suo allievo che aveva approfondito i suoi studi su Palestrina, sull’Origine e sul progresso della polifonia, sull’Omofonia della Chiesa Latina e sul Canto Liturgico Cristiano, e al quale lui stesso s’era ispirato per la pubblicazione, presso Casa Sonzogno, di un metodo pratico per L’Organo e di un altro più importante metodo per L’Harmonium, quest’ultimo compilato da Luigi Bottazzo che presentò diverse melodie di J. S. Bach, fra cui la celebrata Aria sulla quarta corda.

Credo, tutto sommato, che Tebaldini abbia accettato l’intervento di Amintore Galli a Parma, in quanto i due musicisti si frequentavano già da diversi anni, da una parte per le esigenze di Galli di conoscere e possedere le opere di maestri come Frescobaldi, Palestrina, Gabrieli, Croce, etc., che Tebaldini andava studiando; dall’altra dal desiderio di quest’ultimo di migliorare la sua condizione di compositore sottoponendo al giudizio del Galli certe sue opere come la Messa di S. Antonio e discutendo con lui sui giudizi, positivi o negativi, della critica nei loro confronti.

Quando Tebaldini venne a conoscenza della felice decisione ministeriale di reintegrarlo nella direzione del Conservatorio di Parma, aveva però già deciso di lasciare la città verdiana per assumere la direzione della Cappella Musicale della Santa Casa di Loreto (1902) e tale decisione non è da biasimare neanche oggi, nonostante fosse rimasto in lui per tutta la vita l’amarezza per ciò che avrebbe potuto esprimere nell’altra istituzione.

Cento anni fa, un cattolico come lui, legato alla Chiesa da doppio cordone ombelicale, per fede e per scienza musicale, avrebbe a lungo combattuto una battaglia impari contro l’anticlericalismo, la massoneria e il socialismo, soprattutto nell’Emilia Romagna, terra che per troppo lungo tempo aveva obbedito al potere temporale dei Papi. Scegliendo Loreto, era rientrato in un ambito di attività cattolicamente più ricettivo, anzi, divenne la longa manus musicale della Stato della Chiesa nella culla del culto mariano italiano. Per volontà dello stesso Ministro di Grazia e Giustizia Emanuele Gianturco, Tebaldini ebbe l’incarico di compiere una riforma radicale della Cappella della Santa Casa, per riportarla agli antichi splendori quando era frequentata da sommi artisti quali Giuseppe Capponi e Alessandro Bonci. Nei 23 anni passati a Loreto poté, non solo forgiare la Cappella a sua immagine e somiglianza, ma dare alla luce tutta una serie di composizioni sacre che aderivano perfettamente all’ideale perseguito dal movimento ceciliano fondato da Padre Amelli a Milano. Si impegnò anche in discorsi, conferenze e concerti tenuti in ogni parte d’Italia, e, come già fece a Venezia e a Padova, pubblicò il catalogo delle musiche esistenti nell’Archivio della Santa Casa, ottenendone un manuale di primaria importanza per la descrizione del patrimonio musicale lauretano. Inoltre, l’elevazione al soglio pontificio dell’amico Giuseppe Sarto, lo stimolò a riprendere con vigore l’attività ceciliana che lo vide presente ai congressi di Roma nel 1904 e nel 1911, di Torino nel 1905 e nel 1913, di Milano nel 1906.

Una volta in pensione, accettò l’invito dell’amico Francesco Cilèa di promuovere una cattedra di “Esegesi palestriniana” al Conservatorio di Musica di Napoli e di dirigere l’Ateneo Musicale “Monteverdi” di Genova. In più nella città partenopea diede impulso alla Società A. Scarlatti che intraprese con Emilia Gubitosi e Franco Michele Napolitano una fervida attività concertistica seguita da un vasto pubblico.

Tebaldini visse gli ultimi dieci anni a San Benedetto del Tronto, in casa della figlia Brigida (Dina). Vi morì l’11 maggio 1952. Come pensionato della Cappella della Santa Casa percepiva un acconto di sole 19 mila lire mensili. Una miseria che il grande didatta andava colmando con la sua attività di musicologo, conferenziere ed autore di ricercati saggi estetici per i quotidiani e i periodici musicali più in voga del tempo come “La Scala” di Milano. È su questa testata, infatti, che concluse la sua vita terrena pubblicando un saggio su Amilcare Ponchielli (Il mio Maestro) e un ricordo di Pio X (Lux fulgebit). Il suo ultimissimo pensiero, però, andò a Giuseppe Verdi, a colui che sempre lo sostenne nel concetto basilare della sua esperienza musicale, sia sacra che profana, dedicandogli su Verdiana, nel 50° della scomparsa, il saggio “Incontro a lui - flectamus genua”, un modo elegante e più che dignitoso di pensare al cigno di Busseto come all’emblema supremo della musica universale.

In questo ambito, fondamentale per la conoscenza dell’arte musicale del passato, fu la sua opera di riscoperta di opere dei grandi del ‘500 e ‘600, di trascrizione e riduzione in partitura moderna. È il caso di ricordare, ad esempio, il successo della Rappresentazione d’Anima e di Corpo di E. de’ Cavalieri che fu eseguita in numerose sedi prestigiose anche all’estero; della Trilogia Sacra; tratta da Pierluigi da Palestrina per le celebrazioni dantesche del 1921 a Ravenna; dell’Euridice di Peri e Caccini, di Jephte di Carissimi, di alcuni Salmi di Benedetto Marcello...

Se la prima luce del movimento ceciliano Tebaldini l’ebbe a Milano, frequentando la scuola dell’Amelli, nel capoluogo lombardo pubblicò anche diverse sue composizioni presso Musica Sacra e presso il Pensionato Cattolico e dedicò a Sant’Ambrogio una sua Missa Brevis per coro ed una voce media con accompagnamento d’organo. Inoltre, partecipò al collaudo di diversi organi fra cui, nel luglio del 1906, a quello della ditta Mascioni di Cuvio all’Esposizione Nazionale; nell’aprile del 1911 a quello di Tamburini nella Chiesa di S. Alessandro alla presenza di M. E. Bossi ed U. Matthey; nell’ottobre del 1927 a quello di Balbiani da inviare alla Cattedrale di La Paz in Bolivia. In Lombardia invece prese parte al collaudo degli organi della Cattedrale di Pavia (Lingiardi, 1887); della Cattedrale di Como (Luigi Bernasconi, 1888); della parrocchiale di Adro in provincia di Brescia (P. Inzoli, 1891); del Seminario Teologico di Como (V. Mascioni, 1899); della parrocchiale di Villa di Tivano in provincia di Sondrio (Mascioni, 1900); della parrocchiale di Sasso in provincia di Sondrio (Mascioni, 1901); di Caravaggio (Bossi Vegezzi, 1906] e della Chiesa degli Artigianelli di Brescia (Diego Porro, 1912).

Tebaldini fu anche compositore di opere profane, a partire dal 1878 (a soli 14 anni) con la mazurka La Leggerina, a cui seguirono la romanza Il Fiore (1882), la petite berceuse Elle dort (1883), la Tristia Mazurka (op. 1 n. 2) e la polka Sul Cusio  (op. 1 n. 3), i valzer Felice talamo e Ore d’ozio (1887)  e Fantasia Araba (1887): bozzetto sinfonico sul primo libretto di Luigi Illica. Passò poi a numerose liriche ispirate ai versi di Antonio Fogazzaro (suo grande amico), di Giacomo Leopardi, di Petrarca, Gabriele D’Annunzio, fino all’ultima composizione del 1947, Padre, se mai questa preghiera giunga al tuo silenzio, su testo poetico di Ada Negri.

È interessante notare come egli, in qualità di critico e ricercatore, abbia scritto più di quattrocento tra saggi di storia, estetica e critica musicale; articoli su giornali e periodici pubblicati un po’ in tutta Italia. Degni di citazione quelli su Boito, Pedrell, Perosi, Pizzetti, Ponchielli, Rossini, Spontini, Toscanini, Verdi. In particolare, diede alle stampe la prima edizione de’ La Musica Sacra nella Storia e nella Liturgia (1893) presso la Libreria Editrice Palma di Milano, riedita dalla Tipografia Unione Cattolica di Macerata nel 1904; la Relazione del Congresso Nazionale di Musica Sacra tenuto a Milano nel novembre del 1891; In memoria di Carlo Andreoli nel 1910; La Musica e le Arti figurative nel 1913; Amilcare Ponchielli su “Musica d’oggi” del luglio 1934; Giovanni Legrenzi su Musica d’oggi dell’aprile 1937. Collaborò alla Gazzetta Musicale di Milano dal 1885 al 1900, con articoli che trattano argomenti di musica sacra, nonché corrispondenze da Regensburg, Monaco di Baviera, Brixen e importanti saggi su Frescobaldi, Zarlino, Tartini, Padre Martini, G. B. Pergolesi, per terminare con il Discorso tenuto nel teatro Verdi di Busseto il 28 ottobre (1900) nell’occasione della visita del Conservatorio di Parma al Maestro di Sant’Agata.

Molto polemici sono i suoi articoli su La Lega Lombarda in cui stigmatizza la Messa di Polibio Fumagalli (7-8 febbraio 1886) e le canzoni profane in chiesa (n. 28 e 76 del 1888) o Telepatia. musicale (dove evidenziò assonanze tra l’Elettra di Richard Strauss e la Cassandra  di Vittorio Gnecchi) che ebbe un’eco internazionale. Educativi, invece, i suoi saggi su Musica Sacra che trattano la questione degli organi e degli organisti (novembre-dicembre 1885), la Musica Sacra di Nini (marzo 1886), la Musica da Teatro e la Musica da Chiesa (luglio 1888), Gounod e la Musica Sacra (marzo 1889), Girolamo Frescobaldi (gennaio 1890), la Missa Papae Marcelli (luglio 1890), Lettera aperta al Prof. Polibio Fumagalli insegnante d’Organo al Conservatorio di Milano (marzo 1891), Il canto gregoriano e la polifonia classica (novembre 1891), Conferenza sul canto gregoriano al Seminario Maggiore di Novara (giugno 1892).

Sul Bollettino Ceciliano pubblicò soltanto due articoli, uno del 1922 intitolato Cantantibus Organis, e l’altro del settembre 1933 In memoria di Ambrogio Amelli. Sarà infine Franco Abbiati che gli permetterà di collaborare alla già citata La Scala, bella e ammirata rivista musicale purtroppo finita ingloriosamente nei depositi scaligeri della Bovisa a causa del titolo che portava, per la giustizia usurpato al più grande e più potente Teatro d’opera italiano.

Colto ed ameno conferenziere, tenne più di centosettanta discorsi e commemorazioni, in Italia e all’estero.

Diresse oltre settanta concerti, privilegiando la musica italiana del ‘500 e ‘600.

 

(saggio pubblicato con il titolo Notizie su Giovanni Tebaldini in La musica a Milano, in Lombardia e oltre,  Vol. II, a cura di Sergio Martinotti, Ed. Vita e Pensiero, Milano, 2000, pp. 387-397)

 

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1.   Inzaghi Luigi (Pavia, 1943 – vive e lavora a Baranzate, Milano) ha studiato musica con il padre, maestro di banda, e all’Istituto “F. Vittadini” di Milano. Laureatosi in Storia della Musica presso l’Università Cattolica di Milano sotto la guida di G. Vecchi e S. Martinotti, ha seguito corsi di Paleografia musicale e quelli della Scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali. Ha lavorato con il prof. Claudio Sartori all’Ufficio Ricerche Fondi Musicali. Ha pubblicato, su vari quotidiani, interviste ai più noti interpreti del nostro tempo, collaborato con importanti editori per le enciclopedie musicali e scritto libri su Rolla, Ponchielli, A. Galli, Boito, Bottesini, Sammartini, Ragazzini, Bonci, Tebaldini e altri. Ha prodotto diversi dischi, tenuto conferenze sui musicisti oggetto dei suoi studi, curato un nutrito numero di edizioni di canzoni popolari italiane e la raccolta Canzonette inedite (Ed. Meravigli) di Donizetti. Nel 1995 è stato nominato “esperto” per la certificazione dei violini cremonesi. Nel 1999 ha ricevuto il Premio Speciale Pieve Santo Stefano per il libro A Messa con l’Imperatore.

 

 

 

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