GIOVANNI TEBALDINI NELLA MUSICA SACRA

di Anna Maria Novelli1

 

Giovanni Tebaldini, musicista e musicologo di spicco tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento anche in ambito europeo, è caduto via via nell’oblio, tanto che oggi solo gli studiosi ne conoscono la multiforme produzione. Eppure la sua è stata una figura autorevole e resta un punto di riferimento specialmente nel campo della musica sacra. Vale la pena, perciò, ripercorrere, sia pure per grandi linee, il suo lungo cammino, per molti versi esemplare, in questo particolare settore.

Nato a Brescia, nella parrocchia di Sant’Agata il 7 settembre 1864, da bambino, accompagnando il padre cantore di chiesa, entrò a far parte del coro delle voci bianche e, da adulto, gli piaceva rievocare il 6 gennaio 1875, quando fu chiamato ad ‘esibirsi’ come solista in un “Tantum ergo” nella Chiesa dei Miracoli. Altri stimoli a intraprendere gli studi musicali gli erano venuti dal cugino della madre, Giovanni Piamarta, fondatore degli “Artigianelli”, proclamato beato nel 1997.

Tebaldini iniziò giovanissimo a seguire le lezioni di teoria e canto presso l’Istituto Filarmonico “Venturi” con il M° Chimeri; indi quelle di pianoforte, organo e armonia con Vachelli, Premoli e Remondi. A soli quindici anni, già suonava l’organo in alcune chiese della città ed era maestro dei cori al Teatro Guillaume. Nel 1881 vinse il concorso da organista a Vespolate e, nell’ottobre di quell’anno, tornando dalla borgata novarese dove aveva sostenuto l’esame, a Milano fu attratto “dall’annuncio di un Congresso di musica sacra che si teneva in quei giorni nella Chiesa monumentale di San Paolo. Cercai di intrufolarmi anch’io fra il pubblico assistendo a qualcuna delle discussioni già avviate da quella Associazione Italiana di S. Cecilia che, per iniziativa del Rev.do e benemerito Don Guerrino Amelli, aveva dato i suoi primi promettentissimi frutti”*.

Nell’estate del 1882, con il Congresso di Arezzo, “ad opera di pochi che agivano appartati, si iniziava in Italia attiva propaganda per la restaurazione della musica sacra, fissando a modello la polifonia vocale cinquecentesca che si mirava di far risorgere nella sua ideale purezza”, da Pierluigi da Palestrina a Orlando di Lasso, da Cristoforo Morales a Tomaso Lodovico da Vittoria, da Luca Marenzio a Francesco Suriano, da Andrea Gabrieli a Giovanni Croce; con la esumazione dei Recercari e delle Fughe dei grandi organisti, da Claudio Merulo a Gerolamo Frescobaldi, dai Couperin a Giovanni Sebastiano Bach. Tra i sostenitori, il canonico Giuseppe Sarto di Treviso, il quale inviò il suo modesto obolo di lire due… e continuò ad incoraggiare e a seguire l’azione dei riformatori da Patriarca di Venezia e poi da Papa (Pio X).

Tebaldini, non potendo partecipare a quella manifestazione, ne ascoltò l’eco attraverso la stampa. I dibattiti fra ratisbonensi e solesmensi, col misero sfondo dei cosiddetti ‘cantofermisti’ italiani – purtroppo digiuni di canto gregoriano – fecero sorgere nel suo animo “il desiderio di conoscere de auditu e da vicino quel che si intendesse per paleografia musicale, per canto gregoriano e per polifonia vocale”. Comprese così come fosse fondamentale acquisire cognizioni più solide in materia e una formazione specifica approfondita.

Nel 1883 si iscrisse al Conservatorio di Musica di Milano, avendo a maestri Angelo Panzini, per armonia contrappunto e fuga, e Amilcare Ponchielli, per composizione. In quel contesto andò formandosi la convinzione che alle inesauribili fonti dell’arte musicale dei nostri massimi musicisti del passato si potesse attingere nuovo vigore per altre conquiste. E per tutta la vita rivendicò, a sé e all’originario gruppo, il primato della riviviscenza della tradizione: “Hanno un bell’affannarsi alcuni musicologi rabdomanti a dire e ripetere nervosamente, in ogni circostanza, che il movimento per la riforma degli studi musicali in Italia è cominciato da un trentennio [intorno al 1912] per opera loro. No! La riforma fondamentale degli studi musicali da noi è cominciata sessanta anni addietro per l’opera assidua, appassionata, tenace e multanime promossa e vivificata nella solitudine, e quasi nell’abbandono, del piccolo Cenacolo di [Via] Santa Sofia in Milano”.

Era quella la sede della Scuola Corale serale di musica sacra dell’Amelli che Tebaldini frequentava per specializzarsi, scambiare idee, lavorare come pianista accompagnatore, anche per pagarsi gli studi.  Da lì il religioso andava gettando le basi per una radicale riforma della musica sacra: aveva costituito l’Associazione Italiana di Santa Cecilia, pubblicava fin dal 1877 il periodico “Musica Sacra”; gestiva una calcografia, dove, tra l’altro, curò la ristampa dei Cinquanta Salmi di Benedetto Marcello; appoggiava la campagna per la costruzione di nuovi organi, al fine di rendere possibile, anche nelle scuole, lo studio delle composizioni del passato. “Anzitutto occorrevano, non soltanto interpreti in possesso della tecnica scolastica e di una relativa esperienza direttoriale, ma altresì docenti dotati delle qualità necessarie alla formazione ab imis di elementi - che allora non esistevano - atti all’esecuzione delle opere che si intendevano far rivivere corpo ed anima”.

Tebaldini, dunque, partecipava con entusiasmo agli incontri del Cenacolo. “A sera si adunavano pochi amici e neofiti a leggere e passare musica di vario genere e stile sia vocale che organistica. Quale corollario di quelle ‘prove’, discussioni animate su ogni inerente argomento”. “L’anima nostra e la nostra mente giovanile si aprirono alle visioni di un ideale d’arte che per noi, neofiti, costituiva come una fonte di vive, profonde, insospettate emozioni”.

Divenne così assiduo collaboratore di “Musica Sacra” e convinto sostenitore del rinnovamento degli organi. C’era, infatti, chi voleva “accontentare qualche discutibile celebrità organistica allora in auge, piuttosto che rendere omaggio al razionalismo costruttivo, alle esigenze universali dell’organistica, alle vere tradizioni storiche”.

In quegli anni “la musica da teatro aveva profanato il tempio”; quella sacra viveva la sua profonda crisi causata principalmente dall’ineducazione delle masse e dalla mancanza di docenti capaci di comprendere le vere e sane ragioni della riforma. “Riforma nel gusto; nell’indirizzo; nelle scuole; osservanza delle prescrizioni liturgiche; rispetto soprattutto alla Chiesa di Cristo Redentore nostro. Questo si declamava. Teatrale la musica che in essa si eseguiva. Non soltanto, ma banale, triviale, ben spesso grottesca. Se si fosse portata non in teatro, ma in un circo equestre, sarebbe stata fischiata. Ed invece in Chiesa era tollerata, anzi talvolta perfino ricercata e… preferita!”. E Tebaldini al riguardo tornava a dire: “La vera musica sacra – non quella che attinge le sue fonti agli elementi mondani e profani – parla al cuore dei fedeli che credono, che soffrono, che amano e che sperano, attraverso la realtà, inquantoché essi vivono realmente della vita ideale che i testi sacri musicati vanno evocando. La musica sul teatro invece no! Anche nei momenti i più intensamente vivi, i più commoventi, i più accesi, l’emozione che ne sorge non è che per conseguenza diretta”.

La sua rigorosa concezione sulla musica liturgica lo aveva indotto a scatenare più di una polemica. Vedasi, ad esempio, quella, di risonanza internazionale, su “Gounod e la musica sacra”.

Il critico Luigi Ronga, nel necrologio apparso nel 1952 sul “Bollettino Ceciliano”, lo definiva “spirito alacre e combattivo, pronto a gettarsi nella polemica più aperta e ardita e a continuare la lotta, sempre e unicamente preoccupato della nobiltà dell’ideale da conseguire”.

Rientrava nel suo lucido e coerente piano la critica ai Conservatori che non offrivano una preparazione adeguata: scarsa considerazione per le opere classiche, quindi esecuzioni difficili per gli allievi. Ecco allora la necessità di far studiare il canto gregoriano, la polifonia, l’organo. Rientrava nell’ottica di servire gli interessi della musica sacra la sua pubblicazione, Metodo di studio per l’Organo Moderno, del 1894, realizzata insieme con Marco Enrico Bossi, e la traduzione dal tedesco del Trattato di composizione di Peter Piel, nonché la diffusione dei testi delle conferenze su La musica sacra in Italia; La musica sacra nella storia e nella liturgia; La musica sacra nelle sue origini e nelle sue finalità; G. P. da Palestrina e la musica spirituale…

Usando parole convincenti, sapeva infiammare le platee e mise al servizio della causa anche questa dote. L’indagine interiore, l’esaltazione dell’arte vera erano entrate a far parte del suo stile di vita.

Nel 1913 trattò ironicamente il tema “Il grottesco nella musica sacra”, citando una serie di episodi realmente accadutigli, attestanti quanto fosse arduo abbattere la povertà del pensiero popolare tutto rivolto al divertimento, anche durante le funzioni religiose e, men che mai, alla devozione e all’elevazione mistica.

A Novara, fin dal 1914, nell’ambito di una originale conferenza, stabilì un confronto tra musica e arti figurative, con esempi sonori e proiezioni di immagini, che, peraltro, evidenziava la sua cultura interdisciplinare e innovativa.

Tornando a dire del movimento di rinnovamento, esso andava rafforzandosi e le province venete furono le prime ad attivarsi con intelligenza, seguite da quelle lombarde.

Nel 1884 la Sacra Congregazione dei Riti legalizzava il cecilianesimo e per un altro decennio polemiche, conferenze, articoli, lezioni, esecuzioni, congressi, tutto servì al raggiungimento degli scopi prefissi.

Tebaldini, assunto l’incarico di organista e maestro di coro a Vaprio d’Adda, fu ben accolto dal parroco Don Alberto Annoni, amico e compagno di studi di Amelli, al quale si era rivolto “per avere persona adatta”, e istituì la prima “Schola Ceciliana” della diocesi milanese, con un programma fedele alla prescrizione della Sacra Congregazione dei Riti.

Nel novembre 1885, quando ogni cosa sembrava procedere per il meglio, “Amelli lascia Milano per la quiete solenne e radiosa del grande cenobio di Montecassino”. Terrabugio e Tebaldini, rimasti soli, tenacemente decisero di continuare l’azione iniziata dal loro capofila. Il primo assunse la direzione di “Musica Sacra”; l’altro ne diventò il redattore pressoché unico. Inoltre, quando i cattolici fondarono il giornale “La Lega Lombarda” - diretto dall’ingegner Cesare Nava (poi deputato, ministro e senatore) - Tebaldini ne sarà il critico musicale. Dopo breve periodo, però, incorse nel primo ‘incidente’ della sua nomadica esistenza: osò… scrivere - seppure pacatamente - contro una “Messa” di Polibio Fumagalli, suo professore di organo in Conservatorio, e ne pagò le conseguenze con l’espulsione. Il primo semestre del 1886 fu movimentato. Nella “Gazzetta Musicale” di Ricordi egli si intrattenne su una vivacissima polemica con organisti e organari. Le botte e risposte si susseguirono da Piacenza, Verona, Bergamo, Milano, Padova, ma egli, con argomentazioni valide, riuscì a tenere testa a tutti.

Poi partì per l’‘esilio’ in Sicilia, organista a Piazza Armerina, dove “Il tamburo, la grancassa ed i sistri, con la marcia reale ed i più clamorosi e rancidi pezzi d’opera – nella terra sicula solatia – rimanevano sempre patrimonio intangibile di tutte le Chiese”…

Tornato a Milano, riprese l’attività di musicologo e di organista e cominciò a trarre le conclusioni, per la verità non del tutto lusinghiere, sullo stato della musica sacra in Italia. Le reazioni alla riforma, infatti, provenivano dallo stesso mondo ecclesiastico, nonostante il volere di Leone XIII prima e di Pio X poi. A Roma solo nella Chiesa dell’Anima era istituita una Scuola Gregoriana Tedesca; qualcosa si faceva in San Luigi dei Francesi e in pochi collegi. Ma l’arrivo di Padre Angelo De Santi, chiamato da Leone XIII ad insegnare canto gregoriano presso il Seminario Vaticano, diffuse, anche con i suoi scritti su “La Civiltà Cattolica”, “una parola alta, illuminata, giusta e doverosa” che bastò a smuovere l’ambiente. Diverse testate nazionali si schierarono dalla parte dei riformatori e, nel settembre del 1889, il Congresso Ceciliano Tedesco a Bressanone registrò la partecipazione di molti italiani che intuirono quale fosse la giusta via da percorrere per concretizzare la riforma. Tra essi Tebaldini che a Soave di Verona, per l’Adunanza dei Ceciliani, redasse un programma che venne sottoposto all’approvazione del Santo Padre. Atti ufficiali e programma generale furono pubblicati in “Musica Sacra”, “contribuendo maggiormente allo sviluppo delle idee e dei propositi a cui si informa l’opera della restaurazione della musica sacra”.

Dalla fine del 1888 il nostro si era trasferito in Germania. Incontrato il celebre Professor Franz Xavier Haberl nella Biblioteca del Conservatorio di Bologna, aveva seguito il suo consiglio di frequentare (primo tra gli italiani) la famosa Kirchenmusikschule di Regensburg (Ratisbona), considerata, unitamente al coro della Cattedrale, un santuario “in cui si custodivano e si veneravano le reliquie della polifonia vocale soprattutto italiana”.

Grazie a una borsa di studio della Wagnerverein, per otto mesi aveva potuto beneficiare dell’insegnamento dei più insigni specialisti del settore e farsi apprezzare.

“Il 21 giugno del 1889 il Direttore della Scuola, di cui ero allievo a Ratisbona, mi chiamò nella sua stanza per dirmi che ero stato scelto - a mia insaputa - per l’istituzione della Schola Cantorum di San Marco a Venezia. E questo tre mesi innanzi terminassi il Corso de’ miei studi. Ed a Venezia precisamente cominciai a salire l’erta del mio cammino e del mio Calvario”.

Nella città lagunare, dove iniziò la lunga carriera di maestro di cappella, lavorò fino al 1894 e non lasciò nulla di intentato. Costituì, appunto, un’ammirata Schola Cantorum che sapeva eseguire complesse messe di Palestrina e di altri, alle quali assistevano personaggi della cultura italiana, tra cui Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse, Antonio Fogazzaro. Era assiduo frequentatore del ‘salotto’ dell’artista Mariano Fortuny in cui si riunivano intellettuali impegnati. Dall’agosto 1892 al giugno 1895 diresse l’apprezzata rivista “La Scuola Veneta di Musica Sacra” dove pubblicò molti scritti. L’azione di paleografo si fece più consapevole e determinata, rivolta alla riscoperta delle glorie musicali della classicità, i cui spartiti erano conservati nella Biblioteca Marciana. Si diede a trascrivere e a elaborare riduzioni e ne curò le esecuzioni pubbliche. “In un fulgente pomeriggio domenicale dell’agosto 1890, nella Basilica di San Marco, mentre i raggi del sole dardeggiano sulle cupole aurate e sui grandi mosaici, la Schola Cantorum, da pochi mesi istituita, offre il suo primo saggio di esecuzione. Nello storico tempio è raccolta tutta una folla cosmopolita quale soltanto Venezia può offrire nella stagione estiva. Folla di artisti e di letterati; folla di curiosi, e fors’anche… di increduli. All’esecuzione delle melodie gregoriane a sole voci (Kyrie, Sanctus Benedictus ed Agnus Dei della Messa d’Avvento) l’applauso irrompe spontaneo, frenatosi per l’austerità del sacro Tempio, ma commovente e significativo. Nessuno si attendeva siffatta rivelazione. Il canto gregoriano, da allora, è divenuto materia di profondi studi, specie per gli addottrinati. Il motu proprio di Pio X, emanato tredici anni più tardi, lo prescriverà per tutte le Chiese dell’Orbe cattolico. […] In quel primo saggio, che a Venezia rivelava la bellezza e la purezza delle melodie gregoriane, cercammo attenerci fedelmente alle loro proprietà, sia alle esteriori che alle più intime. E nelle domeniche del successivo Avvento dalla stessa abside aurata potemmo far eseguire l’intera messa gregoriana. […]”.

Il 20 marzo 1891, nella Sala del Liceo Musicale “B. Marcello”, Tebaldini propose un  “Concerto Storico” di musica sacra e profana della Scuola Veneta, che dimostrava tutta la sua maturità artistica in contrapposizione alla banalità e alle degenerazioni del presente. L’accoglienza del pubblico e della stampa a quella prima rievocazione si desume dalle cronache apparse sui giornali cittadini.

Toni Munaro in “Venezia” del 21 marzo: “[…] Quanto alla musica sacra ne avemmo saggi addirittura superbi, i quali commossero profondamente l’uditorio. Del coro soggiungo che nel Responsorio del Rovetta i fanciulli ebbero nel canto delle sfumature così serenamente mistiche da strappare alla folla esclamazioni di meraviglia”.

Pietro Faustini, nella “Gazzetta Musicale di Milano” del 29 marzo: “Musica del secolo XVII a parte, il successo vero e grande fu quello degli alunni della Schola Cantorum. Infatti, ottenere in pochi mesi che dei ragazzi e dei giovanotti digiuni di ogni regola musicale eseguiscano senza sostegno di sorta dei cori a quattro voci e lo facciano con tanta precisione, con impasto sì omogeneo e con sì giusto equilibrio, è veramente far miracoli”.

In un articolo su “La Scala” del 1951 Tebaldini ricorderà: “Per le funzioni centenarie di San Luigi Gonzaga, celebrate a luglio del medesimo anno nella Chiesa dei Gesuiti, era logico per conseguenza che prendesse posto la Schola Cantorum di San Marco. Come Vescovo di Mantova, pontificava Mons. Sarto, il quale volle conoscere ed incoraggiare di persona il giovane maestro direttore invitandolo per una sua visita all’Episcopio ed al Seminario di Mantova, ove infatti la nuova recluta si recava dopo poche settimane paternamente accolto ed incoraggiato. Nella regione lombardo-veneta egli aveva già promosso e organizzato a scopo istruttivo adunanze pratiche diocesane e regionali onde tener vivo e fattivo il principio della riforma”. In agosto è a Trento per un corso di lezioni al Seminario su incarico della Società Ceciliana. Deplorato il passaggio di antichi codici musicali da Trento a Vienna, ebbe “la vigile paterna assistenza di un Commissario di Polizia, il quale però non potette impedire che al pranzo sociale, fra le acclamazioni dei commensali, venisse portata in tavola una magnifica… torta tricolore” (decorata con panna, rose rosse e foglie verdi).

Rigore intellettuale, fede religiosa, ideali artistici ed umani rafforzarono la sua volontà di riportare l’attenzione su una identità musicale italiana pressoché sconosciuta, anche con il proposito di proporre un’alternativa valida alle esecuzioni in chiesa a supporto della riforma della musica sacra che da alcuni anni un manipolo di volenterosi andava propagando. Allora e in seguito seppe strutturare un repertorio di grande valore, che presentava per la prima volta composizioni ancor oggi eseguite. Si pensi, oltre ai compositori della tradizione veneta, a Emilio de’ Cavalieri con Rappresentazione di Anima e di Corpo, da lui trascritta e ridotta, inclusa in un concerto del 12 aprile 1912 all’Accademia di Santa Cecilia di Roma, ripetuta quattro giorni dopo all’Augusteo e nella stessa sede nel 1949 e trasmessa dall’Eiar; quella “Rappresentazione” oggi disponibile in CD e in edizioni diverse. Né si possono tacere i successi di Jephte - Oratorio di Giacomo Carissimi, trascritto nel 1919 per l’Associazione “Alessandro Scarlatti” e più volte eseguito a Napoli e in altre città - e di Euridice del 1916, per le musiche di Jacopo Peri e Giulio Caccini, dato al Conservatorio “G. Verdi” di Milano nel maggio 1916 e a Napoli nel 1920.

Tebaldini e compagni si resero conto che i loro ideali si andavano affermando quando nel 1890, a Genova, all’inaugurazione dell’organo “Trice” parteciparono personalità di indiscussa fama come il francese Alessandro Guilmant. “In quella circostanza la vera arte organaria ed organistica vinse sulla mediocrità imperante”. Lo stesso avvenne a Roma nell’aprile 1891 per il XIII centenario dell’elezione a papa di San Gregorio Magno. Anche lì accorsero molti studiosi e l’interesse fu vivo. La Missa Papae Marcelli di P. da Palestrina, diretta in San Pietro dal M° Mustafà della Cappella Sistina, fu un avvenimento di rilievo. Intanto Scholae Cantorum andavano diffondendosi al pari dello studio del gregoriano. Altro evento da ricordare: l’esecuzione a Milano della Missa Aeterna Christi munera, sotto la direzione di Gallignani. Tebaldini comprese che tante lotte non erano state condotte invano. Positiva anche l’adesione dei salesiani allo studio del gregoriano e dei classici della polifonia; mentre nei conservatori le idee riformatrici, o restauratrici che dir si voglia, stavano attecchendo. Fu così che a Milano, Parma, Firenze, Roma, Napoli (dove andò M. E. Bossi), sorsero scuole d’organo.

Dal 1891 in poi Tebaldini era stato in prima fila in tutti i congressi. In novembre fu segretario in quello nazionale di Musica Sacra di Milano. Si attivò perché si costituisserro le Società Regionali di S. Gregorio della Lombardia e del Veneto e parecchio si fece anche in Emilia dove Gallignani era andato a dirigere il Conservatorio di Parma.

Il 12 ottobre 1892 da Pavia Mons. Sarto gli scriveva: “Ho presentato a ciascuno dei veneratissimi vescovi qui adunati la copia dello Statuto della Società Regionale Lombarda di San Gregorio, e tutti applaudirono allo zelo da cui Ella è animato per promuovere, conforme allo spirito della Chiesa e alle recenti prescrizioni della S. Sede lo studio e la esecuzione della musica sacra, una delle parti principali della liturgia, che tanto influisce per eccitare e mantenere nei fedeli la vera divozione. Perciò può esser ben certo, che per tanti suoi sacrifici, compreso quello della stampa del Periodico – La Scuola Veneta di Musica Sacra – non Le potrà mai venir meno l’appoggio e la protezione di noi tutti; appoggio e protezione che Le sono d’altronde confermati dagli inviti, che tiene di dare speciale indirizzo ai chierici di alcuni nostri Seminarj, nei quali tutti in omaggio alle prescrizioni Pontificie si caldeggia l’insegnamento della musica sacra. E con tale dichiarazione che Le sarà, come spero, di non piccolo incoraggiamento e conforto, godo confermarmi con distinta osservanza / dev.mo e obbl.mo / † Giuseppe Vescovo di Mantova / Segretario della Conferenza”.

Nell’ottobre 1893 a Thiene, durante il Congresso della Società Regionale Veneta di San Gregorio e, successivamente, a Tolmezzo e a Mariano Comense, Tebaldini diede dimostrazione pratica delle sue convinzioni riformiste prendendo la parola e perfino accompagnando al piano i bambini della Schola Cantorum di Venezia.

Il Decreto emanato dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1894 lasciò piena libertà ai vescovi di usare il canto che avesse legami con la tradizione popolare, quindi gli italiani si schierarono con i Benedettini di Solesmes, piuttosto che con i libri corali di Ratisbona.

Le esecuzioni mirabili del ’94 per il terzo centenario di Palestrina un po’ in tutta Italia (Tebaldini tenne la prolusione commemorativa a Parma, sede del Comitato Permanente per la musica sacra), quelle a Venezia per le Feste della Basilica Marciana (dirette da don Lorenzo Perosi che dal 1895 era subentrato a Tebaldini alla direzione della Cappella Musicale), le altre organizzate da Tebaldini stesso a Padova (dove nel frattempo si era trasferito),  presenziate da Mons. Sarto,  per il VII centenario della nascita di Sant’Antonio a Padova, diedero prova della grande qualità delle composizioni classiche che da sole legittimavano la riforma.

Per l’occasione, Giuseppe Verdi era stato contattato da Camillo Boito, architetto della Basilica e fratello di Arrigo, affinché si premurasse di comporre una messa, ma preso da altri impegni, si era visto costretto a declinare l’invito e fu Tebaldini ad onorare l’incarico con una Messa Solenne, pubblicata da Ricordi ed eseguita per anni in Italia e all’estero.

Per quelle festività aveva scelto musiche di autori le cui partiture giacevano obsolete nella Biblioteca Antoniana, ridando loro nuova vita (Palestrina, T. L. da Vittoria, G. A. Bernabei. L. G. da Viadana, Pitoni, Martini, Porta, Pasquali, Colombani, Belli da Longiano, Ghizzolo, Ratti, Tartini e, per altre occasioni, anche Suriano, Gabrielli, Bay, Turini, Colonna, B. Marcello, Vinaccesi).

Il Maestro Guido Alberto Fano, che aveva assistito alle esecuzioni, vent’anni dopo le ricordava nel libro, Nella vita del ritmo (Ricciardi Editore, Napoli, 1916):

“Mi si ravvisa nello spirito un ricordo personale. Ero nella prima giovinezza, in quel periodo della vita in cui tutto nell’anima si tramuta in sogno. Il bel tempio di Sant’Antonio in quel giorno che sto rievocando, come sempre nel periodo delle feste dedicate al Santo Protettore della città, era stivato di gente. L’altar maggiore di Donatello era stato di recente ripristinato per opera di Camillo Boito; un magnifico organo era stato appena costruito; un mite profumo d’incenso vanito inebriava i sensi e la fantasia. Per la prima volta allora, sotto la direzione di Giovanni Tebaldini, io udii salmodiare melodie gregoriane, modulare musiche del divino Palestrina. Orbene la commozione interna che ne provai fu tale che non dimenticherò mai più; fu per me imbevuto fino allora di musica moderna, specie drammatica e strumentale, una vera rivelazione; e ricordo che ricevetti un’impressione così viva, che parevami, mi sia permessa l’immagine, di avere nel mio spirito, come scolpito, lo spirito di quei primi cristiani annientanti la propria individualità nella contemplazione estetica del Divin Redentore”.

Tebaldini documentò anche la sua appassionata e fruttuosa opera di ricercatore con un serio, specialistico volume, l’Archivio della Cappella Antoniana in Padova (1896), che gli valse il consenso di tanta stampa, di estimatori come Arrigo Boito e l’amicizia di Giuseppe Verdi, iniziata con una corrispondenza che aveva per oggetto un Te Deum di Padre Vallotti scoperto da Tebaldini all’Antoniana. I due s’incontrarono nell’ottobre del 1897 e la frequentazione s’intensifico dopo che il giovane maestro, a soli 33 anni, fu nominato direttore del Conservatorio di Parma (dicembre) e durò fino alla morte di Verdi. In suo omaggio Tebaldini aveva organizzato applauditi concerti e, per la prima esecuzione dei Pezzi Sacri verdiani del 1898 a Parigi, pubblicò un approfondito studio su tali composizioni nella “Rivista Musicale Italiana” dei F.lli Bocca.

Anche a Parma non aveva trascurato la causa della musica sacra e, per far conoscere ai suoi allievi il “recitar cantando”, istituì una cattedra, da lui stesso tenuta, di canto gregoriano e polifonia palestriniana. Quel corso venne seguito anche da Ildebrando Pizzetti che nel febbraio del 1913 inseriva una riconoscente lettera dedicatoria nel suo libro La musica dei Greci:

“Carissimo Maestro,

si ricorda?… Quattordici anni or sono Ella iniziava al Conservatorio di Parma le sue belle lezioni di Canto gregoriano, invitando ad assistervi gli alunni delle Scuole di Composizione.

Si ricorda? Non so. Ma ben me ne ricordo io, ed ho sempre in mente i suoi insegnamenti preziosi, e ricordo il fervore che faceva vibrare la Sua voce, mentre Ella si studiava di far comprendere e sentire ai giovani discepoli la divina bellezza delle antiche melodie onde volle essere espressa la fervida intimità degli uomini cui la parola di Cristo uomo aveva recato il conforto di una speranza suprema. Ella parlava a noi giovani delle melodie liturgiche latine, e ce le faceva conoscere ed ammirare, perché in essa è un meraviglioso tesoro di espressioni che un musicista non può ignorare senza vergogna. Ma c’era, …allora, chi voleva vedere nelle sue lezioni una pura e semplice manifestazione di clericalismo e di propaganda clericale!…

Ma non voglio ora ricordarle i per Lei tristi anni del Suo direttorato al Conservatorio di Parma; dico tristi per Lei perché la Sua intelligentissima opera di riforme didattiche, che avrebbe dovuto essere non solo riconosciuta ma benedetta, dentro e fuori del Conservatorio, fu avversata, osteggiata accanitamente senza ragione alcuna…

Io so, ed è la verità vera, che anni fecondi di buoni risultati ce n’erano stati ben pochi, per il Conservatorio di Parma, prima che Ella se ne assumesse la direzione: e ve ne son stati anche meno, dopo. E per me so che al Suo esempio e ai Suoi insegnamenti io debbo non solo alcuni degli anni di mia vita più dolci a ricordare, ma anche l’aver sentita la necessità di studiare amorosamente le antichissime musiche e teorie musicali. De’ miei studi intorno alle musiche antichissime, latine e greche in ispecie, è testimonianza questo modesto opuscolo, ed io La prego di accettarne la dedica in segno della memore gratitudine e del non mutabile affetto che nutre per Lei il Suo Ildebrando Pizzetti”.

Dopo un’esercitazione degli studenti del Conservatorio con opere italiane del XVIII secolo, il 18 dicembre 1898, da Milano, Verdi gli indirizzava questo incoraggiante messaggio: “Maestro Tebaldini, / Grazie. / Mi rallegro che in una esercitazione musicale di un Conservatorio Italiano siasi eseguita musica italiana! / È una meraviglia! / Saluti. G. Verdi”.

Ma subito dopo la scomparsa del Grande Musicista, iniziò contro di lui una persecuzione da parte della massoneria locale che non vedeva di buon occhio le sue tendenze. Così le aspre lotte lo convinsero a lasciare Parma (1902) per continuare l’azione in una sede più tranquilla e consona alla sua figura di credente dalla profonda spiritualità e alla sua passione per la musica sacra. Considerando Loreto un luogo di culto universale, crocevia di personalità e culture, partecipò al concorso per direttore della Cappella Musicale della Santa Casa e lo vinse, grazie ai numerosi e qualificati titoli accumulati.

Si potrebbe pensare che in quell’ambiente, apparentemente ben disposto verso la musica sacra, egli abbia avuto vita facile. In realtà non fu così e dovette dar prova di energia e di costanza per far trionfare le sue idee artistiche e continuare nell’intento di attuare la riforma. In questo fu confortato dal Cardinale Sarto che, salito al soglio pontificio nel luglio 1903, il 22 novembre emanò il “Motu proprio” che regolamentava le esecuzioni nei luoghi di culto.

Tebaldini si prodigò per divulgare e mettere in pratica, con trasporto e fermezza, quanto caldeggiato dal Santo Padre, nonostante l’opposizione di quelli che non avrebbero voluto ascoltare in chiesa musica liturgica (dagli oppositori definita “letargica”...). In altre parole, “divenne la longa manus musicale dello Stato della Chiesa nella culla del culto mariano italiano” (Inzaghi).

Il noto critico Enrico Magni-Dufflocq, nella “Storia della Musica” (Milano, S. E. I., 1933), lo indica come “colui che seppe lottare contro sacerdoti retrogradi e anticlericali ignoranti, i maggiori responsabili della indifferenza italiana per il patrimonio gregoriano”.

Nella città mariana, sia pure dopo insistenze, poté disporre delle ‘voci’ necessarie ad eseguire messe complesse di insigni antichi come P. da Palestrina, Anerio, Cifra, Porta, Lotti e, tra i moderni, Mitterer, Perosi, Tomadini, Witt…

Dal 1904, per un ventennio, la Cappella Musicale fu chiamata ad esibirsi in circa quaranta occasioni toccando trenta città, soprattutto delle Marche, e fu a Lugo di Romagna per i funerali di Francesco Baracca (1918), a Ravenna e Milano per il VI Centenario Dantesco (1921), a Bologna per i “Concerti Spirituali” (1917 e 1923) e a Lovere di Bergamo per la beatificazione di Suor Bartolomea Capitanio (1924). Anche nei momenti in cui il numero dei cantori era ridotto, Tebaldini diede prova di valente maestria non facendo perdere dignità alla buona musica, posta sapientemente al servizio della liturgia.

La Cappella ebbe il momento di massimo splendore quando accanto a lui operarono l’insegnante di canto Agostino Donini e l’organista Ulisse Matthey con il suo vice Luigi Ferrari Trecate (già allievo di Tebaldini a Parma). Il livello raggiunto era tale da poter sostenere il confronto con i migliori gruppi italiani. Esperti in materia (Padre Amelli, i maestri Mascheroni, Coronaro e Goller), dopo aver assistito ad alcune esecuzioni, manifestarono la loro ammirazione in termini entusiastici. E il musicologo Giuseppe Radiciotti si augurava che la Loreto intellettuale assecondasse “l’opera del maestro Tebaldini, infaticabile, coscienzioso, intelligentissimo artista, che si è proposto di far della storica cappella centro e scuola di vera musica sacra, faro luminoso che diffonda i suoi benefici raggi su l’intera regione, e da questa su tutte le altre parti d’Italia” (“Rivista Marchigiana Illustrata”, aprile 1907).

Altra occupazione altamente meritoria del Maestro nel periodo loretano fu il riordino e la catalogazione di opere musicali di altissimo valore, conservate presso la Santa Casa, come già fatto a Venezia e a Padova, per riesumare, con intenti non solo archeologici ma propositivi, un inestimabile patrimonio. A compendio dell’attività di paleografo, pubblicò L’Archivio Musicale della Cappella Lauretana – catalogo storico-critico (1919) e in quella sede lasciò molte partiture di sue composizioni, in gran parte autografe, nonché materiale documentario.

Oltre alla direzione della Cappella Musicale, spesso il Tebaldini - come accennato – assolveva al compito di dirigere concerti nelle Marche e nelle altre regioni italiane; teneva dotte e amene conferenze: occasioni che, tra l’altro, gli permettevano di intrattenere rapporti con i personaggi più illustri della cultura italiana, i quali, a loro volta, arrivavano a Loreto. Contemporaneamente continuava l’azione di critico musicale iniziata fin dagli esordi.

Nei ventidue anni di permanenza in quel posto, compose molti pezzi di vera musica sacra, stimolato dalle festività liturgiche che, nella solennità del Santuario, acquistavano un particolare significato: messe, oratori, mottetti, offertori, salmi, inni, con parecchi brani per organo. Tra le più note: Caecilia Famula tua Domine (1903); Litanie Lauretane (1904); Missa Solemnis in honorem B. M. V. Lauretanae Coelestis Patronae Omnium Aeronautarum del 1921 (edita da Boileau et Bernasconi di Barcellona); Caecilia Nuptiae (1901-‘30); Quintetto gregoriano pel Natale (1933); Il Sacro Poema della Pentecoste (1938); Rapsodia di Pasqua (1937-’39).

Recentemente sono stati catalogati 140 titoli, ai quali sono da aggiungere 45 partiture di musica profana e oltre 100 trascrizioni e riduzioni, che meriterebbero di essere riascoltate…

Una volta in pensione, fu chiamato a Napoli da Francesco Cilèa, che dirigeva il Conservatorio “San Pietro a Majella” e che istituì per lui una cattedra speciale di “canto gregoriano ed esegesi palestriniana”. Anche nella città partenopea si fece stimare e, tra l’altro, organizzò, con Emilia Gubitosi e Franco Michele Napolitano, le stagioni concertistiche dell’Associazione “Scarlatti”. 

Nel periodo bellico, ormai anziano, si ritirò a San Benedetto del Tronto presso la figlia Brigida. Non potendo più muoversi col dinamismo di un tempo, fino alla morte (avvenuta l’11 maggio 1952) si tenne occupato soprattutto con l’attività di musicologo. Dettò importanti saggi su Verdi, i ‘rendiconti’ su quanto aveva fatto per la musica sacra in Italia, per la “R.M.I.”, sette puntate sul quotidiano “L’Italia” rievocanti le tappe più salienti della riforma, e, per la rivista “La Scala” (diretta dall’amico Franco Abbiati), memorie in cui dimostrava tutta la sua sapienza musicale.

Un silenzio lungo cinquant’anni ha avvolto l’opera e la personalità di Tebaldini. Sarebbe auspicabile, invece, che le nuove generazioni conoscano il suo eclettismo, l’articolata attività e le sue alte idealità. Anche per questo si è costituito ad Ascoli Piceno un “Centro Studi e Ricerche” che sta promuovendo la rivalutazione del personaggio. Dal 2001 si è registrato un risveglio di interesse favorito pure dal centenario verdiano. È stato pubblicato un corposo libro sul sodalizio tra i due: Idealità convergenti – Giuseppe Verdi e Giovanni Tebaldini, a cura di chi scrive e di Luciano Marucci (Editrice D’Auria, Ascoli Piceno), comprendente ricordi, saggi, testimonianze, commenti.

A Loreto, San Benedetto del Tronto e Brescia - città più di altre legate alla biografia tebaldiniana - nel primi mesi di quest’anno si sono avuti commemorazioni e concerti di sue musiche sacre e profane. La seconda Rassegna Internazionale di Musica Sacra “Virgo Lauretana” - per scelta del direttore artistico Arturo Sacchetti - ha organizzato un suo memorial. Otto le opere nel programma di tre serate: la prima dedicata a pezzi per organo e per organo e voci; un’altra alla produzione cameristica - in cui il Quintetto gregoriano pel Natale figurava accanto a Pratella, Mascagni, Perosi - e la terza per orchestra con l’Epicedio, ancora di Tebaldini, e il Giudizio Universale di Pietro Raimondi. Momenti che hanno riportato all’attualità aspetti significativi delle sue composizioni, sorprendendo per l’elevata qualità della musica e la duttilità dell’ingegno.

Ulteriori apporti stanno giungendo dall’apertura di un sito web che propone una sorta di edizione on line, suscettibile di continui arricchimenti, con vari elaborati e materiali di ricerca - editi e inediti - di e su Tebaldini, tra cui la catalogazione di tutte le musiche sacre, profane e delle trascrizioni e riduzioni; la bibliografia generale; l’antologia critica.

Al di là di ciò che egli ha saputo produrre nei diversi campi praticati, oggi si può ben dire che le sue ragioni in favore della musica sacra - espresse con tenace volontà, forza morale e consequenzialità - appaiono ancor più credibili in quanto provenienti da un critico musicale di vasta cultura. La sua scelta, infatti, non fu solo dettata dalla fede cattolica: derivava da una acuta analisi storica, dalla necessità di ridare dignità e senso a un genere alla base della nostra civiltà; da esigenze tutt’altro che personali, di chi crede nella musica come espressione artistica legata a contenuti umani e spirituali e non come esercizio di astratte teorie tecnico-linguistiche, dalla trasgressione fine a se stessa o dal vuoto virtuosismo.

 

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* Le frasi virgolettate riportate nel testo, senza citazione dell’autore, sono tratte da scritti di Tebaldini.

 

(da “Rivista Internazionale di Musica Sacra”, Nuova serie, a. XXIII, Lucca, n. 2, 2002, pp. 133-44)

 

1.  Novelli Anna Maria (San Benedetto del Tronto, 1942 – vive e lavora ad Ascoli Piceno) ha insegnato fino al 2002. È nipote di Giovanni Tebaldini e opera presso il Centro Studi e Ricerche a lui intitolato. Da ricercatrice di storia locale, in collaborazione con Luciano Marucci e Renato Novelli, ha pubblicato il libro-inchiesta A memoria d’uomo - Cultura Popolare nel Piceno tra Sociologia e Arte (1998) e ha coordinato “Laboratori di ricerca” per conto dell’Istituto per il Movimento di Liberazione nelle Marche di Ascoli Piceno, collaborando alla realizzazione di uno schedario didattico per la fruizione del Museo delle Anfore di San Benedetto del Tronto. Sempre con Marucci, ha curato il libro-catalogo Rodare la fantasia con Rodari ad Ascoli (2000),  l’esposizione “FantaIronia” e gli atti relativi alla Giornata di studi sullo scrittore; per il centenario verdiano del 2001 l’edizione Idealità convergenti. Giuseppe Verdi e Giovanni Tebaldini.  Nello stesso anno ha redatto la parte storica del libro Per un Epicedio. Ha collaborato a periodici di pedagogia (“Tuttoscuola”), letteratura (“Hortus”), storia (“Il Santo”), musica (“Rivista Internazionale di Musica Sacra”, “BresciaMusica”), tradizioni (“Hat”) e arte contemporanea (“Juliet”). Suoi reportages di viaggi sono apparsi su “Avventure nel Mondo”. Ha diretto “Laboratori di creatività” ispirati alle tecniche dell’artista e designer Bruno Munari e di Rodari e partecipato, come animatrice, a due edizioni della “Settimana dei Bambini del Mediterraneo” di Ostuni. Attualmente è impegnata anche nella elaborazione dei materiali informativi per questo sito web.

 

 

 

 

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