GIOVANNI
TEBALDINI NELLA MUSICA SACRA
di Anna Maria
Novelli1
Giovanni Tebaldini,
musicista e musicologo di spicco tra la fine dell’Ottocento e i
primi decenni del Novecento anche in ambito europeo, è caduto via
via nell’oblio, tanto che oggi solo gli studiosi ne conoscono la
multiforme produzione. Eppure la sua è stata una figura autorevole e
resta un punto di riferimento specialmente nel campo della musica
sacra. Vale la pena, perciò, ripercorrere, sia pure per grandi
linee, il suo lungo cammino, per molti versi esemplare, in questo
particolare settore.
Nato a Brescia, nella parrocchia di
Sant’Agata il 7 settembre 1864, da bambino, accompagnando il padre
cantore di chiesa, entrò a far parte del coro delle voci bianche e,
da adulto, gli piaceva rievocare il 6 gennaio 1875, quando fu
chiamato ad ‘esibirsi’ come solista in un “Tantum ergo” nella Chiesa
dei Miracoli. Altri stimoli a intraprendere gli studi musicali gli
erano venuti dal cugino della madre, Giovanni Piamarta, fondatore
degli “Artigianelli”, proclamato beato nel 1997.
Tebaldini iniziò giovanissimo a
seguire le lezioni di teoria e canto presso l’Istituto Filarmonico
“Venturi” con il M° Chimeri; indi quelle di pianoforte, organo e
armonia con Vachelli, Premoli e Remondi. A soli quindici anni, già
suonava l’organo in alcune chiese della città ed era maestro dei
cori al Teatro Guillaume. Nel 1881 vinse il concorso da organista a
Vespolate e, nell’ottobre di quell’anno, tornando dalla borgata
novarese dove aveva sostenuto l’esame, a Milano fu attratto
“dall’annuncio di un Congresso di musica sacra che si teneva in quei
giorni nella Chiesa monumentale di San Paolo. Cercai di intrufolarmi
anch’io fra il pubblico assistendo a qualcuna delle discussioni già
avviate da quella Associazione Italiana di S. Cecilia che,
per iniziativa del Rev.do e benemerito Don Guerrino Amelli, aveva
dato i suoi primi promettentissimi frutti”*.
Nell’estate del 1882, con il
Congresso di Arezzo, “ad opera di pochi che agivano appartati, si
iniziava in Italia attiva propaganda per la restaurazione della
musica sacra, fissando a modello la polifonia vocale cinquecentesca
che si mirava di far risorgere nella sua ideale purezza”, da
Pierluigi da Palestrina a Orlando di Lasso, da Cristoforo Morales a
Tomaso Lodovico da Vittoria, da Luca Marenzio a Francesco Suriano,
da Andrea Gabrieli a Giovanni Croce; con la esumazione dei
Recercari e delle Fughe dei grandi organisti, da Claudio
Merulo a Gerolamo Frescobaldi, dai Couperin a Giovanni Sebastiano
Bach. Tra i sostenitori, il canonico Giuseppe Sarto di Treviso, il
quale inviò il suo modesto obolo di lire due… e continuò ad
incoraggiare e a seguire l’azione dei riformatori da Patriarca di
Venezia e poi da Papa (Pio X).
Tebaldini, non potendo partecipare a
quella manifestazione, ne ascoltò l’eco attraverso la stampa. I
dibattiti fra ratisbonensi e solesmensi, col misero sfondo dei
cosiddetti ‘cantofermisti’ italiani – purtroppo digiuni di canto
gregoriano – fecero sorgere nel suo animo “il desiderio di conoscere
de auditu e da vicino quel che si intendesse per paleografia
musicale, per canto gregoriano e per polifonia vocale”. Comprese
così come fosse fondamentale acquisire cognizioni più solide in
materia e una formazione specifica approfondita.
Nel 1883 si iscrisse al
Conservatorio di Musica di Milano, avendo a maestri Angelo Panzini,
per armonia contrappunto e fuga, e Amilcare Ponchielli, per
composizione. In quel contesto andò formandosi la convinzione che
alle inesauribili fonti dell’arte musicale dei nostri massimi
musicisti del passato si potesse attingere nuovo vigore per altre
conquiste. E per tutta la vita rivendicò, a sé e all’originario
gruppo, il primato della riviviscenza della tradizione: “Hanno un
bell’affannarsi alcuni musicologi rabdomanti a dire e ripetere
nervosamente, in ogni circostanza, che il movimento per la riforma
degli studi musicali in Italia è cominciato da un trentennio
[intorno al 1912] per opera loro. No! La riforma fondamentale degli
studi musicali da noi è cominciata sessanta anni addietro per
l’opera assidua, appassionata, tenace e multanime promossa e
vivificata nella solitudine, e quasi nell’abbandono, del piccolo
Cenacolo di [Via] Santa Sofia in Milano”.
Era quella la sede della Scuola
Corale serale di musica sacra dell’Amelli che Tebaldini frequentava
per specializzarsi, scambiare idee, lavorare come pianista
accompagnatore, anche per pagarsi gli studi. Da lì il
religioso andava gettando le basi per una radicale riforma della
musica sacra: aveva costituito l’Associazione Italiana di Santa
Cecilia, pubblicava fin dal 1877 il periodico “Musica Sacra”;
gestiva una calcografia, dove, tra l’altro, curò la ristampa dei
Cinquanta Salmi di Benedetto Marcello; appoggiava la campagna
per la costruzione di nuovi organi, al fine di rendere possibile,
anche nelle scuole, lo studio delle composizioni del passato.
“Anzitutto occorrevano, non soltanto interpreti in possesso della
tecnica scolastica e di una relativa esperienza direttoriale, ma
altresì docenti dotati delle qualità necessarie alla formazione
ab imis
di elementi - che allora non esistevano - atti all’esecuzione delle
opere che si intendevano far rivivere corpo ed anima”.
Tebaldini, dunque, partecipava con
entusiasmo agli incontri del Cenacolo. “A sera si adunavano pochi
amici e neofiti a leggere e passare musica di vario genere e stile
sia vocale che organistica. Quale corollario di quelle ‘prove’,
discussioni animate su ogni inerente argomento”. “L’anima nostra e
la nostra mente giovanile si aprirono alle visioni di un ideale
d’arte che per noi, neofiti, costituiva come una fonte di vive,
profonde, insospettate emozioni”.
Divenne così assiduo collaboratore
di “Musica Sacra” e convinto sostenitore del rinnovamento degli
organi. C’era, infatti, chi voleva “accontentare qualche discutibile
celebrità organistica allora in auge, piuttosto che rendere omaggio
al razionalismo costruttivo, alle esigenze universali
dell’organistica, alle vere tradizioni storiche”.
In quegli anni “la musica da teatro
aveva profanato il tempio”; quella sacra viveva la sua profonda
crisi causata principalmente dall’ineducazione delle masse e dalla
mancanza di docenti capaci di comprendere le vere e sane ragioni
della riforma. “Riforma nel gusto; nell’indirizzo; nelle scuole;
osservanza delle prescrizioni liturgiche; rispetto soprattutto alla
Chiesa di Cristo Redentore nostro. Questo si declamava. Teatrale la
musica che in essa si eseguiva. Non soltanto, ma banale, triviale,
ben spesso grottesca. Se si fosse portata non in teatro, ma in un
circo equestre, sarebbe stata fischiata. Ed invece in Chiesa era
tollerata, anzi talvolta perfino ricercata e… preferita!”. E
Tebaldini al riguardo tornava a dire: “La vera musica sacra – non
quella che attinge le sue fonti agli elementi mondani e profani –
parla al cuore dei fedeli che credono, che soffrono, che amano e che
sperano, attraverso la realtà, inquantoché essi vivono realmente
della vita ideale che i testi sacri musicati vanno evocando. La
musica sul teatro invece no! Anche nei momenti i più intensamente
vivi, i più commoventi, i più accesi, l’emozione che ne sorge non è
che per conseguenza diretta”.
La sua rigorosa concezione sulla
musica liturgica lo aveva indotto a scatenare più di una polemica.
Vedasi, ad esempio, quella, di risonanza internazionale, su “Gounod
e la musica sacra”.
Il critico Luigi Ronga, nel
necrologio apparso nel 1952 sul “Bollettino Ceciliano”, lo definiva
“spirito alacre e combattivo, pronto a gettarsi nella polemica più
aperta e ardita e a continuare la lotta, sempre e unicamente
preoccupato della nobiltà dell’ideale da conseguire”.
Rientrava nel suo
lucido e coerente piano la critica ai Conservatori che non offrivano
una preparazione adeguata: scarsa considerazione per le opere
classiche, quindi esecuzioni difficili per gli allievi. Ecco allora
la necessità di far studiare il canto gregoriano, la polifonia,
l’organo. Rientrava nell’ottica di servire gli interessi della
musica sacra la sua pubblicazione, Metodo di studio per l’Organo
Moderno, del 1894, realizzata insieme con Marco Enrico Bossi, e
la traduzione dal tedesco del Trattato di composizione di
Peter Piel, nonché la diffusione dei testi delle conferenze su La
musica sacra in Italia; La musica sacra nella storia e nella
liturgia; La musica sacra nelle sue origini e nelle sue
finalità; G. P. da Palestrina e la musica spirituale…
Usando parole
convincenti, sapeva infiammare le platee e mise al servizio della
causa anche questa dote. L’indagine interiore, l’esaltazione
dell’arte vera erano entrate a far parte del suo stile di vita.
Nel 1913 trattò
ironicamente il tema “Il grottesco nella musica sacra”, citando una
serie di episodi realmente accadutigli, attestanti quanto fosse
arduo abbattere la povertà del pensiero popolare tutto rivolto al
divertimento, anche durante le funzioni religiose e, men che mai,
alla devozione e all’elevazione mistica.
A Novara, fin dal
1914, nell’ambito di una originale conferenza, stabilì un confronto
tra musica e arti figurative, con esempi sonori e proiezioni di
immagini, che, peraltro, evidenziava la sua cultura
interdisciplinare e innovativa.
Tornando a dire del movimento di
rinnovamento, esso andava rafforzandosi e le province venete furono
le prime ad attivarsi con intelligenza, seguite da quelle lombarde.
Nel 1884 la Sacra Congregazione dei
Riti legalizzava il cecilianesimo e per un altro decennio polemiche,
conferenze, articoli, lezioni, esecuzioni, congressi, tutto servì al
raggiungimento degli scopi prefissi.
Tebaldini, assunto l’incarico di
organista e maestro di coro a Vaprio d’Adda, fu ben accolto dal
parroco Don Alberto Annoni, amico e compagno di studi di Amelli, al
quale si era rivolto “per avere persona adatta”, e istituì la prima
“Schola Ceciliana” della diocesi milanese, con un programma fedele
alla prescrizione della Sacra Congregazione dei Riti.
Nel novembre 1885,
quando ogni cosa sembrava procedere per il meglio, “Amelli lascia
Milano per la quiete solenne e radiosa del grande cenobio di
Montecassino”. Terrabugio e Tebaldini, rimasti soli, tenacemente
decisero di continuare l’azione iniziata dal loro capofila. Il primo
assunse la direzione di “Musica Sacra”; l’altro ne diventò il
redattore pressoché unico. Inoltre, quando i cattolici fondarono il
giornale “La Lega Lombarda” - diretto dall’ingegner Cesare Nava (poi
deputato, ministro e senatore) - Tebaldini ne sarà il critico
musicale. Dopo breve periodo, però, incorse nel primo ‘incidente’
della sua nomadica esistenza: osò… scrivere - seppure pacatamente -
contro una “Messa” di Polibio Fumagalli, suo professore di organo in
Conservatorio, e ne pagò le conseguenze con l’espulsione. Il primo
semestre del 1886 fu movimentato. Nella “Gazzetta Musicale” di
Ricordi egli si intrattenne su una vivacissima polemica con
organisti e organari. Le botte e risposte si susseguirono da
Piacenza, Verona, Bergamo, Milano, Padova, ma egli, con
argomentazioni valide, riuscì a tenere testa a tutti.
Poi partì per
l’‘esilio’ in Sicilia, organista a Piazza Armerina, dove “Il
tamburo, la grancassa ed i sistri, con la marcia reale ed i più
clamorosi e rancidi pezzi d’opera – nella terra sicula solatia –
rimanevano sempre patrimonio intangibile di tutte le Chiese”…
Tornato a Milano, riprese l’attività
di musicologo e di organista e cominciò a trarre le conclusioni, per
la verità non del tutto lusinghiere, sullo stato della musica sacra
in Italia. Le reazioni alla riforma, infatti, provenivano dallo
stesso mondo ecclesiastico, nonostante il volere di Leone XIII prima
e di Pio X poi. A Roma solo nella Chiesa dell’Anima era istituita
una Scuola Gregoriana Tedesca; qualcosa si faceva in San Luigi dei
Francesi e in pochi collegi. Ma l’arrivo di Padre Angelo De Santi,
chiamato da Leone XIII ad insegnare canto gregoriano presso il
Seminario Vaticano, diffuse, anche con i suoi scritti su “La Civiltà
Cattolica”, “una parola alta, illuminata, giusta e doverosa” che
bastò a smuovere l’ambiente. Diverse testate nazionali si
schierarono dalla parte dei riformatori e, nel settembre del 1889,
il Congresso Ceciliano Tedesco a Bressanone registrò la
partecipazione di molti italiani che intuirono quale fosse la giusta
via da percorrere per concretizzare la riforma. Tra essi Tebaldini
che a Soave di Verona, per l’Adunanza dei Ceciliani, redasse un
programma che venne sottoposto all’approvazione del Santo Padre.
Atti ufficiali e programma generale furono pubblicati in “Musica
Sacra”, “contribuendo maggiormente allo sviluppo delle idee e dei
propositi a cui si informa l’opera della restaurazione della musica
sacra”.
Dalla fine del
1888 il nostro si era trasferito in Germania. Incontrato il celebre
Professor Franz Xavier Haberl nella Biblioteca del Conservatorio di
Bologna, aveva seguito il suo consiglio di frequentare (primo tra
gli italiani) la famosa Kirchenmusikschule di Regensburg
(Ratisbona), considerata, unitamente al coro della Cattedrale, un
santuario “in cui si custodivano e si veneravano le reliquie della
polifonia vocale soprattutto italiana”.
Grazie a una borsa
di studio della Wagnerverein, per otto mesi aveva potuto beneficiare
dell’insegnamento dei più insigni specialisti del settore e farsi
apprezzare.
“Il 21 giugno del
1889 il Direttore della Scuola, di cui ero allievo a Ratisbona, mi
chiamò nella sua stanza per dirmi che ero stato scelto - a mia
insaputa - per l’istituzione della Schola Cantorum di San Marco a
Venezia. E questo tre mesi innanzi terminassi il Corso de’ miei
studi. Ed a Venezia precisamente cominciai a salire l’erta del mio
cammino e del mio Calvario”.
Nella città
lagunare, dove iniziò la lunga carriera di maestro di cappella,
lavorò fino al 1894 e non lasciò nulla di intentato. Costituì,
appunto, un’ammirata Schola Cantorum che sapeva eseguire complesse
messe di Palestrina e di altri, alle quali assistevano personaggi
della cultura italiana, tra cui Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse,
Antonio Fogazzaro. Era assiduo frequentatore del ‘salotto’
dell’artista Mariano Fortuny in cui si riunivano intellettuali
impegnati. Dall’agosto 1892 al giugno 1895 diresse l’apprezzata
rivista “La Scuola Veneta di Musica Sacra” dove pubblicò molti
scritti. L’azione di paleografo si fece più consapevole e
determinata, rivolta alla riscoperta delle glorie musicali della
classicità, i cui spartiti erano conservati nella Biblioteca
Marciana. Si diede a trascrivere e a elaborare riduzioni e ne curò
le esecuzioni pubbliche. “In un fulgente pomeriggio domenicale
dell’agosto 1890, nella Basilica di San Marco, mentre i raggi del
sole dardeggiano sulle cupole aurate e sui grandi mosaici, la Schola
Cantorum, da pochi mesi istituita, offre il suo primo saggio di
esecuzione. Nello storico tempio è raccolta tutta una folla
cosmopolita quale soltanto Venezia può offrire nella stagione
estiva. Folla di artisti e di letterati; folla di curiosi, e fors’anche…
di increduli. All’esecuzione delle melodie gregoriane a sole
voci (Kyrie, Sanctus Benedictus ed Agnus Dei
della Messa d’Avvento) l’applauso irrompe spontaneo, frenatosi per
l’austerità del sacro Tempio, ma commovente e significativo. Nessuno
si attendeva siffatta rivelazione. Il canto gregoriano, da allora, è
divenuto materia di profondi studi, specie per gli addottrinati. Il
motu proprio di Pio X, emanato tredici anni più tardi, lo
prescriverà per tutte le Chiese dell’Orbe cattolico. […] In quel
primo saggio, che a Venezia rivelava la bellezza e la purezza delle
melodie gregoriane, cercammo attenerci fedelmente alle loro
proprietà, sia alle esteriori che alle più intime. E nelle domeniche
del successivo Avvento dalla stessa abside aurata potemmo far
eseguire l’intera messa gregoriana. […]”.
Il 20 marzo 1891, nella Sala del
Liceo Musicale “B. Marcello”, Tebaldini propose un “Concerto
Storico” di musica sacra e profana della Scuola Veneta, che
dimostrava tutta la sua maturità artistica in contrapposizione alla
banalità e alle degenerazioni del presente. L’accoglienza del
pubblico e della stampa a quella prima rievocazione si desume dalle
cronache apparse sui giornali cittadini.
Toni Munaro in “Venezia” del 21
marzo: “[…] Quanto alla musica sacra ne avemmo saggi addirittura
superbi, i quali commossero profondamente l’uditorio. Del coro
soggiungo che nel Responsorio del Rovetta i fanciulli ebbero
nel canto delle sfumature così serenamente mistiche da strappare
alla folla esclamazioni di meraviglia”.
Pietro Faustini, nella “Gazzetta
Musicale di Milano” del 29 marzo: “Musica del secolo XVII a parte,
il successo vero e grande fu quello degli alunni della Schola
Cantorum. Infatti, ottenere in pochi mesi che dei ragazzi e dei
giovanotti digiuni di ogni regola musicale eseguiscano senza
sostegno di sorta dei cori a quattro voci e lo facciano con
tanta precisione, con impasto sì omogeneo e con sì giusto
equilibrio, è veramente far miracoli”.
In un articolo su “La Scala” del
1951 Tebaldini ricorderà: “Per le funzioni centenarie di San Luigi
Gonzaga, celebrate a luglio del medesimo anno nella Chiesa dei
Gesuiti, era logico per conseguenza che prendesse posto la Schola
Cantorum di San Marco. Come Vescovo di Mantova, pontificava Mons.
Sarto, il quale volle conoscere ed incoraggiare di persona il
giovane maestro direttore invitandolo per una sua visita
all’Episcopio ed al Seminario di Mantova, ove infatti la nuova
recluta si recava dopo poche settimane paternamente accolto ed
incoraggiato. Nella regione lombardo-veneta egli aveva già promosso
e organizzato a scopo istruttivo adunanze pratiche diocesane
e regionali onde tener vivo e fattivo il principio della riforma”.
In agosto è a Trento per un corso di lezioni al Seminario su
incarico della Società Ceciliana. Deplorato il passaggio di antichi
codici musicali da Trento a Vienna, ebbe “la vigile paterna
assistenza di un Commissario di Polizia, il quale però non potette
impedire che al pranzo sociale, fra le acclamazioni dei commensali,
venisse portata in tavola una magnifica… torta tricolore”
(decorata con panna, rose rosse e foglie verdi).
Rigore intellettuale, fede
religiosa, ideali artistici ed umani rafforzarono la sua volontà di
riportare l’attenzione su una identità musicale italiana pressoché
sconosciuta, anche con il proposito di proporre un’alternativa
valida alle esecuzioni in chiesa a supporto della riforma della
musica sacra che da alcuni anni un manipolo di volenterosi andava
propagando. Allora e in seguito seppe strutturare un repertorio di
grande valore, che presentava per la prima volta composizioni ancor
oggi eseguite. Si pensi, oltre ai compositori della tradizione
veneta, a Emilio de’ Cavalieri con Rappresentazione di Anima e di
Corpo, da lui trascritta e ridotta, inclusa in un concerto del
12 aprile 1912 all’Accademia di Santa Cecilia di Roma, ripetuta
quattro giorni dopo all’Augusteo e nella stessa sede nel 1949 e
trasmessa dall’Eiar; quella “Rappresentazione” oggi disponibile in
CD e in edizioni diverse. Né si possono tacere i successi di
Jephte - Oratorio di Giacomo Carissimi, trascritto nel 1919 per
l’Associazione “Alessandro Scarlatti” e più volte eseguito a Napoli
e in altre città - e di Euridice del 1916, per le musiche di
Jacopo Peri e Giulio Caccini, dato al Conservatorio “G. Verdi” di
Milano nel maggio 1916 e a Napoli nel 1920.
Tebaldini e compagni si resero conto
che i loro ideali si andavano affermando quando nel 1890, a Genova,
all’inaugurazione dell’organo “Trice” parteciparono personalità di
indiscussa fama come il francese Alessandro Guilmant. “In quella
circostanza la vera arte organaria ed organistica vinse sulla
mediocrità imperante”. Lo stesso avvenne a Roma nell’aprile 1891 per
il XIII centenario dell’elezione a papa di San Gregorio Magno. Anche
lì accorsero molti studiosi e l’interesse fu vivo. La Missa Papae
Marcelli di P. da Palestrina, diretta in San Pietro dal M°
Mustafà della Cappella Sistina, fu un avvenimento di rilievo.
Intanto Scholae Cantorum andavano diffondendosi al pari dello studio
del gregoriano. Altro evento da ricordare: l’esecuzione a Milano
della Missa Aeterna Christi munera, sotto la direzione
di Gallignani. Tebaldini comprese che tante lotte non erano
state condotte invano. Positiva anche l’adesione dei salesiani allo
studio del gregoriano e dei classici della polifonia; mentre nei
conservatori le idee riformatrici, o restauratrici che dir si
voglia, stavano attecchendo. Fu così che a Milano, Parma, Firenze,
Roma, Napoli (dove andò M. E. Bossi), sorsero scuole d’organo.
Dal 1891 in poi Tebaldini era stato
in prima fila in tutti i congressi. In novembre fu segretario in
quello nazionale di Musica Sacra di Milano. Si attivò perché si
costituisserro le Società Regionali di S. Gregorio della Lombardia e
del Veneto e parecchio si fece anche in Emilia dove Gallignani era
andato a dirigere il Conservatorio di Parma.
Il 12 ottobre 1892
da Pavia Mons. Sarto gli scriveva: “Ho presentato a ciascuno dei
veneratissimi vescovi qui adunati la copia dello Statuto della
Società Regionale Lombarda di San Gregorio, e tutti applaudirono
allo zelo da cui Ella è animato per promuovere, conforme allo
spirito della Chiesa e alle recenti prescrizioni della S. Sede lo
studio e la esecuzione della musica sacra, una delle parti
principali della liturgia, che tanto influisce per eccitare e
mantenere nei fedeli la vera divozione. Perciò può esser ben certo,
che per tanti suoi sacrifici, compreso quello della stampa del
Periodico – La Scuola Veneta di Musica Sacra – non Le potrà
mai venir meno l’appoggio e la protezione di noi tutti; appoggio e
protezione che Le sono d’altronde confermati dagli inviti, che tiene
di dare speciale indirizzo ai chierici di alcuni nostri Seminarj,
nei quali tutti in omaggio alle prescrizioni Pontificie si caldeggia
l’insegnamento della musica sacra. E con tale dichiarazione che Le
sarà, come spero, di non piccolo incoraggiamento e conforto, godo
confermarmi con distinta osservanza / dev.mo e
obbl.mo / † Giuseppe Vescovo di Mantova / Segretario
della Conferenza”.
Nell’ottobre 1893 a Thiene, durante
il Congresso della Società Regionale Veneta di San Gregorio e,
successivamente, a Tolmezzo e a Mariano Comense, Tebaldini diede
dimostrazione pratica delle sue convinzioni riformiste prendendo la
parola e perfino accompagnando al piano i bambini della Schola
Cantorum di Venezia.
Il Decreto emanato
dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1894 lasciò piena libertà ai
vescovi di usare il canto che avesse legami con la tradizione
popolare, quindi gli italiani si schierarono con i Benedettini di
Solesmes, piuttosto che con i libri corali di Ratisbona.
Le esecuzioni
mirabili del ’94 per il terzo centenario di Palestrina un po’ in
tutta Italia (Tebaldini tenne la prolusione commemorativa a Parma,
sede del Comitato Permanente per la musica sacra), quelle a Venezia
per le Feste della Basilica Marciana (dirette da don Lorenzo Perosi
che dal 1895 era subentrato a Tebaldini alla direzione della
Cappella Musicale), le altre organizzate da Tebaldini stesso a
Padova (dove nel frattempo si era trasferito), presenziate da
Mons. Sarto, per il VII centenario della nascita di Sant’Antonio
a Padova, diedero prova della grande qualità delle composizioni
classiche che da sole legittimavano la riforma.
Per l’occasione,
Giuseppe Verdi era stato contattato da Camillo Boito, architetto
della Basilica e fratello di Arrigo, affinché si premurasse di
comporre una messa, ma preso da altri impegni, si era visto
costretto a declinare l’invito e fu Tebaldini ad onorare l’incarico
con una Messa Solenne, pubblicata da Ricordi ed eseguita per
anni in Italia e all’estero.
Per quelle
festività aveva scelto musiche di autori le cui partiture giacevano
obsolete nella Biblioteca Antoniana, ridando loro nuova vita
(Palestrina, T. L. da Vittoria, G. A. Bernabei. L. G. da Viadana,
Pitoni, Martini, Porta, Pasquali, Colombani, Belli da Longiano,
Ghizzolo, Ratti, Tartini e, per altre occasioni, anche Suriano,
Gabrielli, Bay, Turini, Colonna, B. Marcello, Vinaccesi).
Il Maestro Guido
Alberto Fano, che aveva assistito alle esecuzioni, vent’anni dopo le
ricordava nel libro, Nella vita del ritmo (Ricciardi Editore,
Napoli, 1916):
“Mi si ravvisa nello spirito
un ricordo personale. Ero nella prima giovinezza, in quel periodo
della vita in cui tutto nell’anima si tramuta in sogno. Il bel
tempio di Sant’Antonio in quel giorno che sto rievocando, come
sempre nel periodo delle feste dedicate al Santo Protettore della
città, era stivato di gente. L’altar maggiore di Donatello era stato
di recente ripristinato per opera di Camillo Boito; un magnifico
organo era stato appena costruito; un mite profumo d’incenso vanito
inebriava i sensi e la fantasia. Per la prima volta allora, sotto la
direzione di Giovanni Tebaldini, io udii salmodiare melodie
gregoriane, modulare musiche del divino Palestrina. Orbene la
commozione interna che ne provai fu tale che non dimenticherò mai
più; fu per me imbevuto fino allora di musica moderna, specie
drammatica e strumentale, una vera rivelazione; e ricordo che
ricevetti un’impressione così viva, che parevami, mi sia permessa
l’immagine, di avere nel mio spirito, come scolpito, lo spirito di
quei primi cristiani annientanti la propria individualità nella
contemplazione estetica del Divin Redentore”.
Tebaldini
documentò anche la sua appassionata e fruttuosa opera di ricercatore
con un serio, specialistico volume, l’Archivio della Cappella
Antoniana in Padova (1896), che gli valse il consenso di tanta
stampa, di estimatori come Arrigo Boito e l’amicizia di Giuseppe
Verdi, iniziata con una corrispondenza che aveva per oggetto un
Te Deum di Padre Vallotti scoperto da Tebaldini all’Antoniana. I
due s’incontrarono nell’ottobre del 1897 e la frequentazione
s’intensifico dopo che il giovane maestro, a soli 33 anni, fu
nominato direttore del Conservatorio di Parma (dicembre) e durò fino
alla morte di Verdi. In suo omaggio Tebaldini aveva organizzato
applauditi concerti e, per la prima esecuzione dei Pezzi Sacri
verdiani del 1898 a Parigi, pubblicò un approfondito studio su tali
composizioni nella “Rivista Musicale Italiana” dei F.lli Bocca.
Anche a Parma non
aveva trascurato la causa della musica sacra e, per far conoscere ai
suoi allievi il “recitar cantando”, istituì una cattedra, da lui
stesso tenuta, di canto gregoriano e polifonia palestriniana. Quel
corso venne seguito anche da Ildebrando Pizzetti che nel febbraio
del 1913 inseriva una riconoscente lettera dedicatoria nel suo libro
La musica dei Greci:
“Carissimo
Maestro,
si ricorda?…
Quattordici anni or sono Ella iniziava al Conservatorio di Parma le
sue belle lezioni di Canto gregoriano, invitando ad assistervi gli
alunni delle Scuole di Composizione.
Si ricorda? Non
so. Ma ben me ne ricordo io, ed ho sempre in mente i suoi
insegnamenti preziosi, e ricordo il fervore che faceva vibrare la
Sua voce, mentre Ella si studiava di far comprendere e sentire
ai giovani discepoli la divina bellezza delle antiche melodie onde
volle essere espressa la fervida intimità degli uomini cui la parola
di Cristo uomo aveva recato il conforto di una speranza suprema.
Ella parlava a noi giovani delle melodie liturgiche latine, e ce le
faceva conoscere ed ammirare, perché in essa è un meraviglioso
tesoro di espressioni che un musicista non può ignorare senza
vergogna. Ma c’era, …allora, chi voleva vedere nelle sue lezioni una
pura e semplice manifestazione di clericalismo e di propaganda
clericale!…
Ma non voglio ora ricordarle i per
Lei tristi anni del Suo direttorato al Conservatorio di Parma; dico
tristi per Lei perché la Sua intelligentissima opera di riforme
didattiche, che avrebbe dovuto essere non solo riconosciuta ma
benedetta, dentro e fuori del Conservatorio, fu avversata,
osteggiata accanitamente senza ragione alcuna…
Io so, ed è la verità vera, che anni
fecondi di buoni risultati ce n’erano stati ben pochi, per il
Conservatorio di Parma, prima che Ella se ne assumesse la direzione:
e ve ne son stati anche meno, dopo. E per me so che al Suo esempio e
ai Suoi insegnamenti io debbo non solo alcuni degli anni di mia vita
più dolci a ricordare, ma anche l’aver sentita la necessità di
studiare amorosamente le antichissime musiche e teorie musicali. De’
miei studi intorno alle musiche antichissime, latine e greche in
ispecie, è testimonianza questo modesto opuscolo, ed io La prego di
accettarne la dedica in segno della memore gratitudine e del non
mutabile affetto che nutre per Lei il Suo Ildebrando Pizzetti”.
Dopo un’esercitazione degli studenti
del Conservatorio con opere italiane del XVIII secolo, il 18
dicembre 1898, da Milano, Verdi gli indirizzava questo incoraggiante
messaggio: “Maestro Tebaldini, / Grazie. / Mi rallegro che in una
esercitazione musicale di un Conservatorio Italiano siasi eseguita
musica italiana! / È una meraviglia! / Saluti. G. Verdi”.
Ma subito dopo la scomparsa del
Grande Musicista, iniziò contro di lui una persecuzione da parte
della massoneria locale che non vedeva di buon occhio le sue
tendenze. Così le aspre lotte lo convinsero a lasciare Parma (1902)
per continuare l’azione in una sede più tranquilla e consona alla
sua figura di credente dalla profonda spiritualità e alla sua
passione per la musica sacra. Considerando Loreto un luogo di culto
universale, crocevia di personalità e culture, partecipò al concorso
per direttore della Cappella Musicale della Santa Casa e lo vinse,
grazie ai numerosi e qualificati titoli accumulati.
Si potrebbe
pensare che in quell’ambiente, apparentemente ben disposto verso la
musica sacra, egli abbia avuto vita facile. In realtà non fu così e
dovette dar prova di energia e di costanza per far trionfare le sue
idee artistiche e continuare nell’intento di attuare la riforma. In
questo fu confortato dal Cardinale Sarto che, salito al soglio
pontificio nel luglio 1903, il 22 novembre emanò il “Motu proprio”
che regolamentava le esecuzioni nei luoghi di culto.
Tebaldini si prodigò per divulgare e
mettere in pratica, con trasporto e fermezza, quanto caldeggiato dal
Santo Padre, nonostante l’opposizione di quelli che non avrebbero
voluto ascoltare in chiesa musica liturgica (dagli oppositori
definita “letargica”...). In altre parole, “divenne la longa
manus musicale dello Stato della Chiesa nella culla del culto
mariano italiano” (Inzaghi).
Il noto critico Enrico
Magni-Dufflocq, nella “Storia della Musica” (Milano, S. E. I.,
1933), lo indica come “colui che seppe lottare contro sacerdoti
retrogradi e anticlericali ignoranti, i maggiori responsabili della
indifferenza italiana per il patrimonio gregoriano”.
Nella città mariana, sia pure dopo
insistenze, poté disporre delle ‘voci’ necessarie ad eseguire messe
complesse di insigni antichi come P. da Palestrina, Anerio, Cifra,
Porta, Lotti e, tra i moderni, Mitterer, Perosi, Tomadini, Witt…
Dal 1904, per un
ventennio, la Cappella Musicale fu chiamata ad esibirsi in circa
quaranta occasioni toccando trenta città, soprattutto delle Marche,
e fu a Lugo di Romagna per i funerali di Francesco Baracca (1918), a
Ravenna e Milano per il VI Centenario Dantesco (1921), a Bologna per
i “Concerti Spirituali” (1917 e 1923) e a Lovere di Bergamo per la
beatificazione di Suor Bartolomea Capitanio (1924). Anche nei
momenti in cui il numero dei cantori era ridotto, Tebaldini diede
prova di valente maestria non facendo perdere dignità alla buona
musica, posta sapientemente al servizio della liturgia.
La Cappella ebbe
il momento di massimo splendore quando accanto a lui operarono
l’insegnante di canto Agostino Donini e l’organista Ulisse Matthey
con il suo vice Luigi Ferrari Trecate (già allievo di Tebaldini a
Parma). Il livello raggiunto era tale da poter sostenere il
confronto con i migliori gruppi italiani. Esperti in materia (Padre
Amelli, i maestri Mascheroni, Coronaro e Goller), dopo aver
assistito ad alcune esecuzioni, manifestarono la loro ammirazione in
termini entusiastici. E il musicologo Giuseppe Radiciotti si
augurava che la Loreto intellettuale assecondasse “l’opera del
maestro Tebaldini, infaticabile, coscienzioso, intelligentissimo
artista, che si è proposto di far della storica cappella centro e
scuola di vera musica sacra, faro luminoso che diffonda i suoi
benefici raggi su l’intera regione, e da questa su tutte le altre
parti d’Italia” (“Rivista Marchigiana Illustrata”, aprile 1907).
Altra occupazione altamente
meritoria del Maestro nel periodo loretano fu il riordino e la
catalogazione di opere musicali di altissimo valore, conservate
presso la Santa Casa, come già fatto a Venezia e a Padova, per
riesumare, con intenti non solo archeologici ma propositivi, un
inestimabile patrimonio. A compendio dell’attività di paleografo,
pubblicò L’Archivio Musicale della Cappella Lauretana – catalogo
storico-critico (1919) e in quella sede lasciò molte partiture
di sue composizioni, in gran parte autografe, nonché materiale
documentario.
Oltre alla
direzione della Cappella Musicale, spesso il Tebaldini - come
accennato – assolveva al compito di dirigere concerti nelle Marche e
nelle altre regioni italiane; teneva dotte e amene conferenze:
occasioni che, tra l’altro, gli permettevano di intrattenere
rapporti con i personaggi più illustri della cultura italiana, i
quali, a loro volta, arrivavano a Loreto. Contemporaneamente
continuava l’azione di critico musicale iniziata fin dagli esordi.
Nei ventidue anni di permanenza in
quel posto, compose molti pezzi di vera musica sacra, stimolato
dalle festività liturgiche che, nella solennità del Santuario,
acquistavano un particolare significato: messe, oratori, mottetti,
offertori, salmi, inni, con parecchi brani per organo. Tra le più
note: Caecilia Famula tua Domine (1903); Litanie Lauretane
(1904); Missa Solemnis in honorem B. M. V. Lauretanae Coelestis
Patronae Omnium Aeronautarum del 1921 (edita da Boileau et
Bernasconi di Barcellona); Caecilia Nuptiae (1901-‘30);
Quintetto gregoriano pel Natale (1933); Il Sacro Poema della
Pentecoste (1938); Rapsodia di Pasqua (1937-’39).
Recentemente sono stati catalogati
140 titoli, ai quali sono da aggiungere 45 partiture di musica
profana e oltre 100 trascrizioni e riduzioni, che meriterebbero di
essere riascoltate…
Una volta in pensione, fu chiamato a
Napoli da Francesco Cilèa, che dirigeva il Conservatorio “San Pietro
a Majella” e che istituì per lui una cattedra speciale di “canto
gregoriano ed esegesi palestriniana”. Anche nella città partenopea
si fece stimare e, tra l’altro, organizzò, con Emilia Gubitosi e
Franco Michele Napolitano, le stagioni concertistiche
dell’Associazione “Scarlatti”.
Nel periodo bellico, ormai anziano,
si ritirò a San Benedetto del Tronto presso la figlia Brigida. Non
potendo più muoversi col dinamismo di un tempo, fino alla morte
(avvenuta l’11 maggio 1952) si tenne occupato soprattutto con
l’attività di musicologo. Dettò importanti saggi su Verdi, i
‘rendiconti’ su quanto aveva fatto per la musica sacra in Italia,
per la “R.M.I.”, sette puntate sul quotidiano “L’Italia” rievocanti
le tappe più salienti della riforma, e, per la rivista “La Scala”
(diretta dall’amico Franco Abbiati), memorie in cui dimostrava tutta
la sua sapienza musicale.
Un silenzio lungo cinquant’anni ha
avvolto l’opera e la personalità di Tebaldini. Sarebbe auspicabile,
invece, che le nuove generazioni conoscano il suo eclettismo,
l’articolata attività e le sue alte idealità. Anche per questo si è
costituito ad Ascoli Piceno un “Centro Studi e Ricerche” che sta
promuovendo la rivalutazione del personaggio. Dal 2001 si è
registrato un risveglio di interesse favorito pure dal centenario
verdiano. È stato pubblicato un corposo libro sul sodalizio tra i
due: Idealità convergenti – Giuseppe Verdi e Giovanni Tebaldini,
a cura di chi scrive e di Luciano Marucci (Editrice D’Auria, Ascoli
Piceno), comprendente ricordi, saggi, testimonianze, commenti.
A Loreto, San Benedetto del Tronto e
Brescia - città più di altre legate alla biografia tebaldiniana -
nel primi mesi di quest’anno si sono avuti commemorazioni e concerti
di sue musiche sacre e profane. La seconda Rassegna Internazionale
di Musica Sacra “Virgo Lauretana” - per scelta del direttore
artistico Arturo Sacchetti - ha organizzato un suo memorial.
Otto le opere nel programma di tre serate: la prima dedicata a pezzi
per organo e per organo e voci; un’altra alla produzione cameristica
- in cui il Quintetto gregoriano pel Natale figurava accanto
a Pratella, Mascagni, Perosi - e la terza per orchestra con l’Epicedio,
ancora di Tebaldini, e il Giudizio Universale di Pietro
Raimondi. Momenti che hanno riportato all’attualità aspetti
significativi delle sue composizioni, sorprendendo per l’elevata
qualità della musica e la duttilità dell’ingegno.
Ulteriori apporti stanno giungendo
dall’apertura di un sito web che propone una sorta di edizione on
line, suscettibile di continui arricchimenti, con vari elaborati e
materiali di ricerca - editi e inediti - di e su Tebaldini, tra cui
la catalogazione di tutte le musiche sacre, profane e delle
trascrizioni e riduzioni; la bibliografia generale; l’antologia
critica.
Al di là di ciò che egli ha
saputo produrre nei diversi campi praticati, oggi si può ben dire
che le sue ragioni in favore della musica sacra - espresse con
tenace volontà, forza morale e consequenzialità - appaiono ancor più
credibili in quanto provenienti da un critico musicale di vasta
cultura. La sua scelta, infatti, non fu solo dettata dalla fede
cattolica: derivava da una acuta analisi storica, dalla necessità di
ridare dignità e senso a un genere alla base della nostra civiltà;
da esigenze tutt’altro che personali, di chi crede nella musica come
espressione artistica legata a contenuti umani e spirituali e non
come esercizio di astratte teorie tecnico-linguistiche, dalla
trasgressione fine a se stessa o dal vuoto virtuosismo.
_____
* Le frasi
virgolettate riportate nel testo, senza citazione dell’autore, sono
tratte da scritti di Tebaldini.
(da “Rivista Internazionale di
Musica Sacra”, Nuova serie, a. XXIII, Lucca, n. 2, 2002, pp. 133-44)
1. Novelli Anna Maria (San
Benedetto del Tronto, 1942 – vive e lavora ad Ascoli Piceno) ha
insegnato fino al 2002. È nipote di Giovanni Tebaldini e opera
presso il Centro Studi e Ricerche a lui intitolato. Da ricercatrice
di storia locale, in collaborazione con Luciano Marucci e Renato
Novelli, ha pubblicato il libro-inchiesta A memoria d’uomo -
Cultura Popolare nel Piceno tra Sociologia e Arte (1998) e ha
coordinato “Laboratori di ricerca” per conto dell’Istituto per il
Movimento di Liberazione nelle Marche di Ascoli Piceno, collaborando
alla realizzazione di uno schedario didattico per la
fruizione del Museo delle Anfore di San Benedetto del Tronto.
Sempre con Marucci, ha curato il
libro-catalogo Rodare la fantasia con Rodari ad Ascoli
(2000), l’esposizione “FantaIronia” e gli atti relativi alla
Giornata di studi sullo scrittore; per il centenario verdiano del
2001 l’edizione Idealità convergenti. Giuseppe Verdi e Giovanni
Tebaldini. Nello stesso anno ha redatto la parte storica
del libro Per un Epicedio. Ha collaborato a periodici di
pedagogia (“Tuttoscuola”), letteratura (“Hortus”), storia (“Il
Santo”), musica (“Rivista Internazionale di Musica Sacra”, “BresciaMusica”),
tradizioni (“Hat”) e arte contemporanea (“Juliet”). Suoi reportages
di viaggi sono apparsi su “Avventure nel Mondo”. Ha diretto
“Laboratori di creatività” ispirati alle tecniche dell’artista e
designer Bruno Munari e di Rodari e partecipato, come animatrice, a
due edizioni della “Settimana dei Bambini del Mediterraneo” di
Ostuni. Attualmente è impegnata anche nella elaborazione dei
materiali informativi per questo sito web.
back home
|