Promotori Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno Assessorato alla Cultura
Comune di San Benedetto del Tronto Assessorato al Turismo
Associazione Corale Polifonica “Giovanni Tebaldini” San Benedetto del Tronto
Patrocinio Regione Marche Anbima Marche
Sede Auditorium Comunale San Benedetto del Tronto
Relatori Anna Maria Novelli Pierpaolo Salvucci Vincenzo Catani Guerrino Tamburrini
Coordinatore Bruno Gabrielli
Progettazione grafica Enrico Tamburrini
Sommario
Presentazione Luciano Marucci
Introduzione Bruno Gabrielli
Relazioni • Il Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini” Anna Maria Novelli
• Giovanni Tebaldini e San Benedetto del Tronto Pierpaolo Salvucci
• Il “Motu proprio” di San Pio X e Giovanni Tebaldini Vincenzo Catani
• “Sicut Cervus” (da “Tria Motetta”) di G. Tebaldini Guerrino Tamburrini
Intervento musicale Corale Polifonica “G. Tebaldini”
Appendice Biografia di Giovanni Tebaldini Conversazione col S. Pontefice Pio X sulla musica sacra Giovanni Tebaldini
Presentazione
L’Associazione Corale Polifonica “Giovanni Tebaldini” di San Benedetto del Tronto, costituitasi di recente, oltre a coltivare l’esercizio del canto polifonico classico e popolare, a promuovere la ricerca musicale, fin dagli esordi ha cercato di valorizzare la figura e l’opera del Maestro dal quale ha preso il nome, che ha trascorso l’ultima stagione della vita nella città rivierasca dove è morto nel 1952. L’ esperto direttore della “Corale”, M° Guerrino Tamburrini, in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche “G. Tebaldini” di Ascoli Piceno e il sostegno di Enti locali, si è prefissato di studiare la produzione tebaldiniana e di far eseguire annualmente sue composizioni. Quando nel 1942 Tebaldini approdò a San Benedetto, era già anziano ma ancora impegnato, anche se con ambizioni diverse, rapportate all’età. Portava con sé le esperienze di una vita operosa e combattiva, che lo aveva visto protagonista di primo piano perfino nell’ambito europeo, in dialettica con grandi personalità. Da vocazione musicale, competenza e fede cattolica aveva tratto energie per affermare, con rigore, i suoi principi in tutta la multiforme attività, come musicista e musicologo, direttore d’orchestra e di cori, organista, conferenziere e didatta. Era stato un profondo conoscitore della più gloriosa tradizione musicale, che aveva esaltato le sue idealità artistiche; nel contempo, un riformatore, specialmente nell’ambito della musica sacra, sia nella teoria che nella pratica. Nell’ultimo decennio della sua lunga esistenza, dunque, si era trovato costretto a ridimensionare il campo d’azione e rivisitava il suo vissuto, scrivendo articoli per quotidiani e riviste specializzate e componendo opere che avevano il carattere di testamento spirituale. Il cono d’ombra che aveva oscurato il suo nome nei decenni successivi alla scomparsa, da qualche tempo viene progressivamente rimosso. Si vanno giustamente riconsiderando le sue qualità umane e artistiche. Da più parti, infatti, provengono segnali di interesse per le esemplari testimonianze che egli ha lasciato, utili a far apprezzare la sua individualità e il contesto culturale dell’epoca, ma pure a indicare alle nuove generazioni valori ormai persi. È lodevole che anche San Benedetto abbia sentito il dovere di contribuire in tal senso. Dopo la manifestazione attuata per il cinquantenario della morte (2002), ecco l’istituzione della “Corale” e l’evento del 17 dicembre 2004 che l’ha ufficializzata, permettendo a molti di scoprire le peculiarità di Tebaldini e la sua non comune statura di intellettuale e di artista, a vanto della città che lo aveva ospitato.
Luciano Marucci
Il tavolo dei relatori del Convegno con Anna Maria Novelli, Vincenzo Catani, l'Assessore Bruno Gabrielli e Pierpaolo Salvucci
Introduzione Bruno Gabrielli*
Apro il Convegno su “L’opera di Giovanni Tebaldini nel Piceno” portandovi il saluto del Sindaco Domenico Martinelli, il quale si congratula per l’organizzazione curata dalla Corale polifonica intitolata al Maestro, che alla fine si esibirà per la prima volta pubblicamente nella nostra città. L’iniziativa è il naturale proseguo della manifestazione di due anni fa, per il cinquantenario della scomparsa del musicista e musicologo, al quale San Benedetto ha intitolato una via, così come Loreto e Brescia, sua città natale. Questa giornata è stata promossa in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini” di Ascoli Piceno, appoggiata dagli Assessorati alla Cultura dell’Amministrazione Provinciale e del Comune di San Benedetto. Lo scopo del Convegno è quello di far conoscere il musicista Tebaldini, sambenedettese di adozione, e di metterne in risalto l’attività e i rapporti col nostro territorio. Prima di dare inizio ai lavori, porgo il saluto della Dottoressa Olimpia Gobbi, Assessore alla Cultura della Provincia di Ascoli Piceno, la quale, impossibilitata ad intervenire per precedenti impegni, si scusa per l’assenza e porge al Maestro Tamburrini i migliori auguri per la riuscita dell’iniziativa. Doveva essere fra noi anche Mons. Gervasio Gestori, vescovo diocesano, assente per impegni inderogabili, il quale ha inviato un sentito messaggio augurale. Altri attestati di partecipazione sono giunti dal Cardinale Roberto Tucci, dal Professor Arcangelo Paglialunga della Sala Stampa Vaticana; dalla Sezione musicale della Biblioteca Palatina di Parma, dalla musicologa Bianca Maria Brumana dell’Università di Perugia, dall’organista Roberto Cognazzo di Torino... A questo punto cedo la parola, per un saluto, al Presidente dell’ “Anbima Marche”, Nicola Fabbroni, e al Presidente della Corale “Tebaldini”, Gabriele Lanciotti.
Nicola Fabbroni: Il mio, più che un saluto, vuole essere una testimonianza. Sono onorato di rappresentare l’ “Anbima Marche”, la più grande Associazione nazionale di espressioni musicali come bande, cori e gruppi folcloristici. Per me è un dovere, ma è anche un onore, essere in mezzo a voi per conoscere meglio il grande maestro Tebaldini, che ha rappresentato, specialmente nel campo della musica sacra qualcosa di molto importante, ormai entrato nella storia. Ma di questo sapranno dire meglio di me i relatori. Tenevo essere testimone all’evento e sono lieto che San Benedetto si stia impegnando a far conoscere la figura di questo valente musicista. In fondo, l’ “Anbima”, nella sua azione di sostegno ai cori, continua la linea tracciata da Tebaldini. Proprio in questi giorni, negli incontri con complessi bandistici e cori, ho ricordato la figura di Santa Cecilia, patrona dei musicisti e in particolare dei cultori della musica sacra, attività nella quale Tebaldini è stato un faro luminoso. Perciò, complimenti al Maestro Tamburrini e alla debuttante Corale “Tebaldini”!
Gabriele Lanciotti: La nostra “Corale”, nata come gruppo della Parrocchia di San Pio X, ha ampliato il suo orizzonte e le aspirazioni. Si è costituita in Associazione, assumendo il nome di Giovanni Tebaldini e stabilendo rapporti di collaborazione con il Centro Studi e Ricerche di Ascoli Piceno, anch’esso intitolato al personaggio. Attualmente è composta da una trentina di elementi di ogni estrazione sociale, i quali dedicano al canto parte del loro tempo libero, sotto la guida costante e competente del Maestro Guerrino Tamburrini. Colgo l’occasione per ringraziare i parenti di Tebaldini, il Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini”, la Provincia di Ascoli Piceno e il Comune di San Benedetto del Tronto. Auguro a tutti buon lavoro e buon ascolto.
Bruno Gabrielli: Passiamo ora agli interventi dei relatori. Il primo è dell’insegnante Anna Maria Novelli, nipote di Tebaldini, che, insieme al marito Luciano Marucci, gestisce il Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini” di Ascoli Piceno. Ci parlerà proprio dell’attività del “Centro”. Sarà poi la volta del Professor Pierpaolo Salvucci, musicologo sambenedettese, che con parole e immagini, ci farà rivivere la presenza di Giovanni Tebaldini a San Benedetto del Tronto dove vivono ancora parenti, amici e conoscenti. Don Vincenzo Catani, parroco della Chiesa San Pio X, illustrerà l’importanza storica della riforma della liturgia e della musica sacra operata da Papa Pio X nel 1903 e dell’apporto dato ad essa da Giovanni Tebaldini Da ultimo interverrà il Maestro Tamburrini, docente di composizione al Conservatorio “Pergolesi” di Fermo e direttore della Corale “Tebaldini”, che entrerà nello specifico dell’arte del musicista, analizzando il suo mottetto Sicut cervus, che, al termine, sarà eseguito dalla “Corale” insieme con altri brani.
* Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di San Benedetto del Tronto
Il Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini” Anna Maria Novelli
Ringrazio gli intervenuti per la loro presenza, le autorità che hanno contribuito all’attuazione di questa iniziativa e il Maestro Guerrino Tamburrini che ne è l’ideatore e l’organizzatore. Visto che mi è stato lasciato l’onore di aprire questo pomeriggio di studi su Giovanni Tebaldini, prima di entrare nel vivo dell’argomento assegnatomi, cercherò di inquadrare, sia pure sinteticamente, la sua figura nell’attuale panorama musicale italiano. Tebaldini, che era stato un protagonista di primo piano tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, è ancora oggi conosciuto? Tra gli addetti ai lavori certamente sì. Viene ricordato in saggi e dizionari enciclopedici come uno dei più tenaci ed esperti riformatori della musica sacra; uno dei primi trascrittori in notazione moderna di partiture dei grandi talenti del passato, riproposti anche in memorabili concerti da lui diretti fin dal 1891 a Venezia; e poi a Padova, Parma, Roma (all’Augusteo e alla Filarmonica); a Napoli per l’Associazione “Alessandro Scarlatti”; a Milano, Ravenna e in città marchigiane (Loreto, Jesi, Fermo). Tebaldini, ripartendo dalla gloriosa tradizione italiana, convinto seguace del detto verdiano “Torniamo all’antico e sarà un progresso”, aveva avuto il merito di avviare il rinnovamento del gusto musicale, ancora caratterizzato dal Romanticismo, dal melodramma ottocentesco o da tendenze esterofile. Palestrina, Monteverdi, Giovanni e Andrea Gabrieli, Bassani, Legrenzi, Frescobaldi, De’ Cavalieri, Caccini, Peri, Carissimi, questi i principali nomi che egli fece conoscere e apprezzare, da cui trarre nuova linfa vitale. Altra novità da lui introdotta come didatta al Conservatorio di Parma, quando ne era direttore -successivamente caldeggiata dal Ministero della Pubblica Istruzione - la formazione interdisciplinare degli studenti. Un musicista non doveva sapere soltanto di musica o di tecniche degli strumenti; doveva essere informato in più ambiti della cultura e Tebaldini, per affermare e praticare i suoi principi, nell’ambiente parmense si era battuto contro i reazionari. Lì istituì un Corso speciale di polifonia palestriniana e nella classe scoprì le capacità dell’allievo Ildebrando Pizzetti, divenuto il più grande musicista del Novecento italiano. Tutti riconoscono che Tebaldini fu determinante nella formazione tecnico-culturale, oltre che spirituale, del giovane. I suoi insegnamenti si ritrovano nelle opere pizzettiane, soprattutto nell’uso del coro e del “recitar cantando”. Di Tebaldini resta fondamentale il “Metodo per lo studio dell’organo moderno”, realizzato con l’amico Marco Enrico Bossi, per un secolo testo di riferimento nei conservatori e ancora oggi nel catalogo della Carisch, utilizzato da chi vuole intraprendere seriamente lo studio di tale strumento. Da paleografo, altro suo lavoro che gli ha dato grandi riconoscimenti, la catalogazione degli Archivi Musicali della Basilica di Sant’Antonio a Padova e della Santa Casa di Loreto, documentata in due pubblicazioni. Quella di Padova gli fece meritare anche gli elogi di Verdi e Boito. Come dirà fra poco il Professor Salvucci, nell’ entrare in merito ai rapporti di Tebaldini con il Piceno e San Benedetto, è stato uno dei primi ad uscire dallo specifico con la sua poliedrica attività. Tra l’altro, fin dal 1908 organizzava conferenze su tematiche musicali con la proiezione di dipinti e l’esecuzione di esempi inerenti, evidenziando le relazioni tra le due discipline. A quelle sue propositive dissertazioni accorrevano gli intellettuali e perfino la Regina Margherita. Circa i suoi meriti di compositore, musicologo, organista, paleografo, direttore d’orchestra e di cosi, conferenziere..., rimando al curriculum. Tebaldini, insomma, nel suo tempo fu considerato un genio multiforme, molto apprezzato in vita, ma nei decenni successivi alla scomparsa caduto nell’oblio. Per restituirgli l’attenzione che merita, assolvendo così a un dovere morale, nel 1999 è stato aperto ad Ascoli Piceno un Centro Studi e Ricerche a lui intitolato che, tra l’altro, gestisce un importante sito web (www.tebaldini.it), inizialmente attivato dall’Amministrazione Provinciale in collaborazione con il “Centro”. Concepito come edizione in progress, viene costantemente aggiornato e arricchito, tanto che conta già più di 1000 pagine suddivise in 29 sezioni. Gli interessati vi possono attingere una quantità di informazioni per approfondire la conoscenza, tutt’altro che esteriore, del personaggio: dalla biografia alla cronologia, dalla catalogazione delle composizioni (sacre, profane e trascrizioni) alla bibliografia generale, dai rapporti con personalità ai luoghi della sua nomadica esistenza e così via, fino agli studi specialistici recenti. In pratica il sito rappresenta la proiezione del “Centro” all’esterno attraverso la rete informatica. Della sua funzione e consistenza si stanno accorgendo i motori di ricerca di internet che gli vanno riservando spazi sempre più ampi. L’Archivio cartaceo del Centro Studi e Ricerche, dal canto suo, è andato arricchendosi con pubblicazioni, articoli di e su Tebaldini, partiture, manoscritti inediti, fototeca e altre documentazioni. Si sta costituendo anche una fonoteca con le registrazioni delle esecuzioni che di tanto in tanto vengono organizzate. La bibliografia è particolarmente ricca, in quanto il Maestro, fin dalla giovane età, era stato critico musicale di quotidiani e assiduo collaboratore dei maggiori prestigiosi periodici specializzati. Inoltre, tra il 1892 e il ’94, egli stesso aveva fondato, diretto e redatto quasi da solo la rivista “La Scuola Veneta di Musica Sacra”, che affiancava “Musica sacra” e “La Civiltà Cattolica” nel propagandare la necessità di cambiare le esecuzioni liturgiche degenerate, come del resto quelle che si ascoltano oggi in chiesa, le quali non trasmettono alcuna emozione e non contribuiscono all’elevazione spirituale. Grazie al lungo lavoro di ricerca presso le istituzioni pubbliche, ecclesiastiche e le raccolte private, sono state recuperate quasi tutte le partiture e catalogate con l’indicazione delle collocazioni, mentre i dati tecnici sono integrati con le esecuzioni e le note didascaliche. Il “Centro” provvede alle trascrizioni dei manoscritti e va costantemente alla ricerca di carteggi, tra Tebaldini e altri protagonisti del mondo culturale di allora, conservati nei fondi musicali italiani e stranieri. Cura pure la pubblicazione di libri. Sono già stati dati alle stampe due volumi: Per un Epicedio (Grafiche D’Auria) di Luciano Marucci e Luigi Inzaghi, incentrato su un brano per orchestra che Tebaldini compose nel 1944-‘45 per onorare i fratelli Paolo e Bruno Brancondi, trucidati dai tedeschi; Idealità convergenti - Giuseppe Verdi e Giovanni Tebaldini (D’Auria Editrice) sul rapporto tra i due musicisti, con ricordi, saggi, testimonianze e commenti. Altri sono in fase di progettazione. Partecipata e concreta è stata la collaborazione con gli organizzatori delle manifestazioni che hanno reso omaggio a Tebaldini nel cinquantenario della morte (2002), tenutesi ad Ascoli, Loreto, Brescia e a San Benedetto. In tali occasioni sono stati realizzati anche filmati e registrazioni musicali. Come pure quella per due convegni nazionali: uno a Parma su “Pizzetti oggi”, in cui si è parlato degli anni della formazione di Pizzetti e del ruolo di Tebaldini; l’altro a Napoli su Mario Pilati, con la relazione “Tebaldini, Pilati e il culto della musica antica a Napoli”. Per dare continuità ideale all’azione interdisciplinare di Tebaldini a cui accennavo prima, il Centro ha attuato una esposizione virtuale, intitolata “Fisiognomica Ideale”, che ha visto coinvolti famosi artisti chiamati a realizzare un “ritratto ideale” del Maestro, attuando così una dialettica tra arte visiva e musicale. La mostra telematica è visitabile nel già citato sito internet. A seguito dell’attività del “Centro” e della consultazione del sito web, si va allargando l’azione di riscoperta del personaggio. Qualche esempio tra i più recenti. Sta per essere pubblicato un articolo sul costruttivo rapporto tra Tebaldini e Mario Pilati, valente musicista e critico napoletano, scomparso a soli 38 anni. Ciò è stato possibile per la collaborazione con la figlia Laura, residente in Svizzera, che conserva gelosamente le testimonianze di Tebaldini. Sulla “Rivista Internazionale di Musica Sacra”, edita dalla “Lim” di Lucca, apparirà il testo di due lezioni di Tebaldini, tra le tante rimaste inedite, su “Il canto gregoriano nella musica moderna”. I relativi autografi sono conservati, insieme ad altri, presso l’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Brescia a cui egli aveva donato molti materiali sulla sua carriera. Nel mese scorso sono state ritrovate le lettere di Tebaldini al collega Corrado Barbieri, vice direttore della Cappella musicale di Loreto. La Fondazione Carilo ha acquistato il carteggio che sarà oggetto di una prossima pubblicazione, curata gratuitamente dal “Centro Studi”. Altre ricerche stanno dando risultati soddisfacenti e, in mancanza di risorse finanziarie, si cerca di coinvolgere istituzioni per evitare che nulla vada disperso. L’organista Dino Rizzo di Busseto sta riscoprendo le composizioni sacre e, per l’Editore Carrara di Bergamo, specializzato in partiture per organo, ha redatto l’edizione critica di “Sonata”, per organo e voci, ispirata alla “Matthaus Passion” di Johann Sebastian Bach, composta nel 1901, eseguita a Brescia e a Napoli, ma mai pubblicata. La presentazione è apparsa sull’ultimo numero della rivista “Arte Organistica e Organaria”. A Brescia, a cura dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti, sono usciti gli Atti della Manifestazione commemorativa di Tebaldini, tenuta nel cinquantenario della scomparsa (maggio 2002) e l’Associazione Culturale “La Piramide” con la Federazione Musicale Internazionale ha promosso, per il 6 febbraio 2005, il 3° Concorso Internazionale Pianistico (under 19) “Pia Tebaldini”, figlia del musicista, morta a soli 15 anni, che avrebbe potuto raccogliere la sua eredità artistica, essendo una pianista prodigio, già esibitasi con successo in pubblico. A Vicenza, a cura dell’Accademia Olimpica e del Conservatorio di Musica, il 28 gennaio prossimo, si terrà una Tavola Rotonda su “Fogazzaro e la Musica”, con la presentazione del libro Io ti baciavo in sogno di Oreste Palmiero, in cui, tra l’altro sono riportati il carteggio tra lo scrittore e Tebaldini, nonché le principali partiture. Nel concerto in programma verranno proposte le composizioni Tempesta d’amore e Signora dolce, ave! di Tebaldini. L’ultimo impegno del “Centro”, in ordine di tempo, è stato quello di seguire la studentessa Marta Farina, laureatasi a pieni voti presso l’Università di Perugia con uno studio sul tema “Tebaldini maestro di Pizzetti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento”. Al di là dei capitoli da lei sviluppati, in cui si addentra in aspetti inediti o fino ad ora trattati marginalmente, l’assunto ha comportato la digitazione di oltre trecento lettere, poi corredate da più di settecento note sui personaggi menzionati e sulla contestualizzazione di fatti che ricostruiscono uno spaccato della vita musicale italiana di quel periodo. Chiaramente la tesi ha avuto un riscontro molto positivo e si attende di poterla editare. Altri due studenti delle Università di Bologna e di Verona sono in procinto di affrontare significative tematiche: quella sull’estetica tebaldiniana - che ha connotato tutta la sua vita artistica - e l’altra sul legame tra le sue musiche profane e la produzione letteraria. Anche la decisione del Maestro Tamburrini di intitolare a Tebaldini la Corale Polifonica da lui diretta e di far conoscere le sue composizioni attraverso l’esecuzione di brani, è un altro segno di apprezzamento dell’opera del musicista. Ci sarebbe ancora molto altro da dire, ma occorre dare spazio a tre relazioni e all’esibizione della “Corale Polifonica”. Quindi, faccio punto e passo la parola al Professor Salvucci che da alcuni anni segue con interesse il destino postumo di Tebaldini.
Giovanni Tebaldini e San Benedetto del Tronto Pierpaolo Salvucci
Prendo la parola dopo Anna Maria Novelli per trattare un particolare momento della vita del Maestro: i suoi ultimi dieci anni di vita, qui a San Benedetto del Tronto. Mi soffermerò, in particolare, sulla sua attività di musicologo e compositore. Quegli anni saranno vissuti nell’assordante silenzio culturale di questa terra assai avvezza alle fatiche della locale marineria, ma poco incline alla cultura e all’arte. Ancora oggi, a cinquantadue anni dalla sua morte, la figura di Giovanni Tebaldini a San Benedetto del Tronto rimane pressoché sconosciuta. La recente nascita di un’Associazione Corale a lui dedicata, la manifestazione musicologica e concertistica allestita in questo Auditorium nel cinquantesimo della sua morte e l’appuntamento odierno, ci auguriamo possano essere i primi di una lunga serie di appuntamenti artistico-culturali finalizzati alla migliore conoscenza di un così importante personaggio. Rinnovo i miei saluti ad Anna Maria e Renato Novelli, nipoti di Tebaldini, e a Luciano Marucci, confermando loro viva ammirazione per l’imponente e meritoria attività di recupero e valorizzazione di un vastissimo corpus documentale. Tebaldini vive il travaglio della musica fra il tardo Ottocento e il primo Novecento, riferito alla crisi del sistema tonale, che comporterà tutta una serie di scelte linguistiche: dall’impressionismo musicale alla dodecafonia, dalla neomodalità al recupero della musica popolare nei paesi dell’Est. Egli è partecipe in prima persona, di profondi cambiamenti nel linguaggio musicale che interessarono tutta l’Europa e non solo, a partire dal secondo Ottocento, dichiarandosi paladino della tradizione musicale polifonica e dell’antica modalità gregoriana per l’evoluzione dell’arte musicale italiana. Nel 2001, in occasione del centenario verdiano, si è verificato un florilegio editoriale poche volte verificatosi nel nostro Paese. Accanto alla ristampa di alcuni titoli, ne sono apparsi altri nuovi, come quelli realizzati sotto l’egida del Centro Studi Verdiani, che hanno contribuito ad accrescere le già ampie conoscenze musicologiche sul genio di Bussetto e su quelle figure legate ai molteplici aspetti della sua vita artistica e non. È in questa prospettiva che emerge la prestigiosa figura di Giovanni Tebaldini, ritenuto da Verdi ”amico fraterno”. Proprio a lui il bussetano affidò molte intime esternazioni, dissertando su diversi argomenti, di carattere musicale, stilistico, estetico e di repertorio, come mai gli era riuscito di fare con altri. E alla collaborazione di Tebaldini si deve la nascita del Te Deum, così come Verdi lo ha concepito. Nato a Brescia il 7 settembre 1864, il Nostro fu musicista, direttore di Coro e d’Orchestra, nonché direttore di Conservatorio, didatta, paleografo, musicologo, conferenziere, giornalista, critico musicale. Uomo di grande cultura e levatura morale, amato e stimato da alcuni illustri personaggi della musica, dell’arte e della cultura in genere. Per citarne alcuni: Arrigo e Camillo Boito, Giulio Ricordi, Pietro Mascagni, Francesco Cilèa, Arturo Toscanini, Lorenzo Perosi, Ildebrando Pizzetti, Antonio Fogazzaro, Franco Abbiati, Gino Roncaglia, oltre al citato Verdi e al Papa Pio X che, insieme a Marco Enrico Bossi e pochi altri, lo aveva chiamato ad applicare la riforma della musica sacra esplicitata nell’ormai celeberrimo Motu proprio.In tal senso, proprio da Loreto irradiò la sua azione soprattutto nelle Marche. Già presente in questa regione nel 1881, quale Maestro di coro, presso il Teatro “Lauro Rossi” di Macerata, nel 1905 si recò, probabilmente per la prima volta, nel Piceno: a Montefiore dell’Aso, con la Cappella musicale della Santa Casa, e ad Ascoli per la festa di Sant’Emidio, quando venne eseguito un suo “Inno” composto per l’occasione. Sempre come direttore di cappella, nel 1906 fu a Civitanova e a Cupra Marittima. L’anno successivo lo troviamo a Sant’Elpidio a Mare per una conferenza su “La funzione sociale dell’arte” e vi tornò nel 1913 per la Commemorazione verdiana. Fu nuovamente a Civitanova Marche nel 1918, mentre nel 1921 giunse a Grottammare per il IV Centenario della nascita di Sisto V. Nel marzo 1922 fu chiamato a Ripatransone per le esequie del musicista Emidio Cellini (suo amico) e in agosto a Fermo per un discorso su “La musica nel soggetto eucaristico”, nell’ambito di un congresso, dove tenne anche concerti vocali-strumentali. Nel 1923 a Rapagnano diresse la Missa pontificalis di Lorenzo Perosi.Dal 1935 fu spesso al Trivio di Ripatransone, dove Brigida (detta Dina), una delle due figlie, era stata assegnata quale vincitrice del concorso magistrale. Per inciso dirò che Tebaldini aveva avuto sei femmine, quattro delle quali decedute per malattia in tenera o giovane età. Ormai a riposo, dopo aver diretto per ventidue anni la Cappella Musicale della Santa Casa, essere stato per cinque anni docente al Conservatorio di Napoli e per altri due direttore dell’Ateneo Musicale “Claudio Monteverdi” di Genova, il Maestro ricopriva incarichi ministeriali, accanto all’attività di conferenziere e direttore di formazioni musicali in diverse città italiane. Successivamente arrivò a San Benedetto del Tronto, dove la figlia, una volta sposatasi, si era trasferita. Nella città rivierasca si stabilì definitivamente solo nel 1942, dimorando in una casa allora di campagna, oggi numero civico 134 di Via Asiago. Il suo arrivo a San Benedetto coincise con una forte contrazione dei rapporti artistico-culturali diretti, che continuarono attraverso la corrispondenza. Nel nuovo ambiente riuscì a stabilire poche, ma feconde amicizie: con il dottore Ludovico Giovannetti e l’oculista Giovanni Bozzoni, entrambi con interessi musicali. Il primo aveva la figlia Lary soprano in carriera; mentre il secondo amava collezionare strumenti musicali e si dilettava nell’arte liutaia. A quest’ultimo il Maestro farà dono della sua bacchetta di direttore d’orchestra a suo tempo ricevuta dall’Associazione “A. Scarlatti” di Napoli, di cui fu uno dei fondatori. Nel nostro borgo marinaro conobbe, inoltre, il direttore didattico Enrico Liburdi - persona di grande cultura e sensibilità - con il quale condivise molti momenti della sua esistenza. Lo storico era solito aiutare quotidianamente il Maestro nel riordino della biblioteca e del carteggio. In quel periodo San Benedetto manifestava già la vocazione al turismo balneare, ospitando il riposo estivo di alcuni personaggi di rilievo della cultura. Fu così che Tebaldini ebbe modo di frequentare il musicista bolognese Antonio Certani e il noto direttore d’orchestra Vincenzo Bellezza. Quest’ultimo - protagonista di lodevoli concertazioni al Covent Garden di Londra, al Metropolitan di New York e al Liceo di Barcellona - alloggiava in una villa nei pressi di viale Secondo Moretti, distrutta qualche decennio fa per far posto al palazzone dell’ex Upim, dove aveva ospitato, tra gli altri, Pietro Mascagni e signora, il tenore Beniamino Gigli ed altre figure celebri dell’ambiente musicale. Nel frattempo, nella vicina Villa Rosa di Martinsicuro, si era stabilito il soprano bolognese Grazia Franchi Ciancabilla, prima interprete dell’ultima opera di Tebaldini, dal titolo Padre se mai questa preghiera giunga al tuo silenzio, su versi di Ada Negri, composta nel 1947 a San Benedetto, riproposta a Loreto nel 2002, durante la seconda “Rassegna Internazionale di Musica Sacra”. Nel salotto della Signora Franchi, donna e artista assai stimata dal Maestro, si organizzavano concerti, nonché incontri nei quali egli era solito raccontare momenti del suo vissuto artistico e le sue tante frequentazioni di personaggi famosi. Trasferitosi con la famiglia di sua figlia in via Crispi 28, oggi civico n. 66, il Maestro divenne un assiduo frequentatore dei Padri Sacramentini, presso i quali impartiva lezioni di pianoforte ai seminaristi e non solo. Risalgono al 1945 due sue conferenze: la prima sul tema “Scienza e Fede” fu tenuta nel mese di febbraio per i seminaristi dell’Istituto dei Padri Sacramentini; la seconda, sul tema “Per la Fede”, il 7 aprile nell’allora Chiesa del Sacro Cuore dei Padri Minori Conventuali (oggi Chiesa Parrocchiale Sant’Antonio da Padova). Nel periodo febbraio-maggio 1945 ultimò la composizione Epicedio, per orchestra, eseguita dalla “Scarlatti” di Napoli nel 1948: opera di altissimo livello musicale, composta in onore dei Martiri Lauretani Paolo e Bruno Brancondi, trucidati dai tedeschi a Castelfidardo nel 1944. Dalla partitura, nutrita di nobili sentimenti umani, traspare tutta la profonda fede in Dio che animava Tebaldini, trasfigurata in una policromia timbrica davvero preziosa e rara per l’epoca. Nonostante la perifericità di San Benedetto rispetto ai grandi centri musicali italiani, il Maestro qui compose, scrisse articoli per quotidiani e saggi musicologici per riviste specializzate. Si ricordano le sue memorie su Verdi, Boito, Toscanini, Ponchielli, Berlioz, Palestrina. Non mancò di intrattenere una fitta corrispondenza con Ildebrando Pizzetti, figura fra le più prestigiose del Novecento musicale europeo, che era stato suo allievo prediletto ai tempi del Conservatorio di Parma. Continui anche i rapporti epistolari con i maggiori musicologi del tempo, fra questi il critico Franco Abbiati, autore, tra l’altro, di una corposa biografia su Verdi e di una monumentale Storia della musica in cinque volumi. Concrete testimonianze di questo periodo le fornisce Enrico Liburdi che, dopo la morte del Maestro, scriverà alcuni articoli su di lui e gli dedicherà una interessante pubblicazione dal titolo La lunga giornata di un artista. Giovanni Tebaldini. Risalgono al periodo sambenedettese alcuni saggi, a cominciare da quello Per la resurrezione della musica sacra, apparso sulla “Rivista Musicale Italiana”, oppure Un nido di memorie, rievocazioni di esperienze personali in sette puntate, pubblicate sul quotidiano “L’Italia”. Altri articoli furono dedicati ai rapporti con Antonio Fogazzaro, alla figura di Pio X e ai settant’anni di Lorenzo Perosi, per la testata “La Domenica”. Tutto questo in una realtà urbana fortemente decisa a superare i disastri provocati dal conflitto bellico. Riviste come “Musica” e “Mondo Musicale” diedero spazio ai suoi contributi musicologici, così come “Il Giornale di Brescia”, che nel 1948 pubblicò i suoi ricordi su Arrigo Boito e Arturo Toscanini, rispettivamente in due e tre puntate. Al celebre direttore d’orchestra, che nel luglio di quell’anno, tramite Enrico Polo (cognato del grande direttore d’orchestra e celebre violinista), gli aveva espresso vivi apprezzamenti per quelle pubblicazioni, Tebaldini scrisse questa lettera: “Ad Arturo Toscanini porgo sensi di viva gratitudine e di riconoscenza per le parole buone e di compiacimento avute per me con l’amico Enrico Polo a riguardo dei due articoli su Boito pubblicati sul “Giornale di Brescia” il 6 e 10 giugno p. p. Nella forzata solitudine in cui sono costretto a vivere, lontano da tutto e da tutti, mi conforta e mi consola grandemente la Voce di Lui, Maestro insigne, che, dalle cime cui è arrivato, non isdegna esprimere il Suo compiacimento a chi nell’ombra e nel silenzio, per la propria intima Gioia e per la Gioia altrui, ama rievocare le ore gaudiose del passato onde riviverle, pur da lungi, nelle ore del presente. Al Maestro e all’Amico dei giorni combattuti e pur densi di vita trascorsi con fede nel Santuario ove Egli mosse i primi passi su le vie dell’Arte, da povero morituro (Ave Caesar, morituri Te salutant) e dal profondo del Cuore e dell’Anima, porgo il mio grazie vivissimo. E un caldo fraterno abbraccio”. A sua volta, Toscanini ricambiò i sentimenti di stima e amicizia il 24 luglio 1948 con una foto dalla significativa dedica: “A Giovanni Tebaldini… Ricordando tempi lontani e cari eppur vicini nella memoria dolce e viva. Affettuosamente. Arturo Toscanini”. Il periodo post-bellico coincise anche con la revisione di alcuni suoi lavori musicali. Da ricordare lo spartito di Voci del cuore, scritto nel 1887, su versi del poeta e letterato Giuseppe Lesca, cui San Benedetto diede i natali e al quale è intitolata la Biblioteca comunale. Rimaneggiò anche Lux in tenebris, una raccolta di sette liriche su testi di Antonio Fogazzaro, a cui aggiunse Da te, da te, solo da te!, dedicata a Mario Rinaldi, critico de “Il Messaggero” di Roma, molto legato al Maestro, al pari di colleghi Abbiati e Medici. Tardiva fu per il Maestro la nomina ad Accademico di Santa Cecilia, giunta solo nel 1950 e, quindi, da lui accolta con moderata soddisfazione. L’anno seguente coincise con la realizzazione dell’ennesimo contributo musicologico. “Atti e Memorie”, infatti, ripubblicò un suo discorso sul compositore Gaspare Spontini, tenuto a Maiolati nel lontano 1924. Su incarico di Abbiati, Tebaldini scrisse un saggio su Verdi, dal titolo Fuori del teatro, inserito, con quelli di illustri studiosi, in una prestigiosa pubblicazione realizzata dal Teatro alla Scala di Milano nel cinquantesimo anniversario della morte di Verdi e riportato nel pregevole volume Idealità convergenti, a cura di Anna Maria Novelli e Luciano Marucci. Nel quadro delle manifestazioni dedicate a Verdi nel cinquantenario della morte, anche Tebaldini volle dare il suo contributo. Il 6 giugno del 1951 lo Studentato dei Padri Sacramentini ospitò una sua conferenza, mentre il 10 ottobre la locale sezione della Gioventù Musicale – fondata dal dottor Giovanni Bozzoni – organizzò una commemorazione e un concerto lirico presso il Salone delle Feste del Circolo Cittadino. Vi presero parte: Tebaldini, in qualità di relatore, il soprano Lary Giovannetti Scipioni e il tenore Antonio Galiè, accompagnati al pianoforte dal Maestro Eraldo Grati. Sarà quello il suo ultimo intervento pubblico. Ormai colpito da sordità acuta, a San Benedetto le sue giornate trascorrevano nel disbrigo della corrispondenza con figure di rilievo, primo fra tutti l’affezionato Ildebrando Pizzetti. Il 17 marzo - come era solito fare ogni anno nella ricorrenza di San Giuseppe - inviò una lettera alla Casa di Riposo per Musicisti di Milano, esprimendo ancora tutta la sua devozione nei confronti di Verdi. E il 4 aprile 1952 – a poco più di un mese dalla sua morte - scrisse al Commendator Leonzio Foresti manifestandogli il proposito di redigere un proprio contributo musicologico su Luca Marenzio, anch’egli originario di Brescia. L’ultima sua lettera, datata 12 aprile 1952, rimasta purtroppo incompiuta perché colpito da paresi, era indirizzata alla vedova di Francesco Cilèa, suo amico fraterno. Quest’ultimo, nel 1925, all’atto del pensionamento di Tebaldini, lo aveva nominato titolare della cattedra di “Esegesi del canto gregoriano e della polifonia palestriniana” presso il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli, di cui era direttore. Dalla lettera, umanamente toccante, qui di seguito riportata, emerge il suo profondo malessere fisico ed esistenziale: “Avrei avuto il dovere di essere più sollecito nel ringraziarLa della Sua del 23 xmbre [dicembre]. Non l’ho fatto perché gravemente percosso da miei malanni; in certi momenti mi sentii sull’orlo della fossa. Quando mi risvegliai, m’accorsi d’avere parecchi debiti da soddisfare, e fra i primi metto quelli che avevo con Lei e con la memoria del caro Illustre Maestro che nella vita Le fu prezioso compagno. Forse Lei ha letto che nella “Scala” ho cominciato a dire di “Ponchielli”. Il seguito apparirà a giorni nel n° di aprile della rivista. Ma quanta fatica! Non mi sento più capace di nulla, e mi assediano da ogni parte. L’amico Baccaredda mi scrive da Palermo che sostando a Roma, s’è incontrato con Lei. Ciò m’ha fatto piacere. Potessi anch’io fare altrettanto! Invece son qui, e qui rimango, sino a quando mi porteranno a Loreto per l’ultima volta, senza che io me ne accorga. Ah, Signora Rosy, cos’è mai la vita! Ma perché il Signore – nel quale io credo – mi ha mantenuto in vita fino alla vigilia degli 88 anni? A che fare? A dar fastidio agli altri!”. Di rilievo anche la scelta di Abbiati, allora critico musicale del “Corriere della Sera”, di avvalersi di Tebaldini per la stesura di alcuni saggi quando iniziò la pubblicazione della rivista “La Scala”. Si ricordano quelli su Berlioz contro Palestrina, su Pio X, Verdi e, per ultimo, su Amilcare Ponchielli. Il 15 aprile, con il Maestro gravemente ammalato, la suddetta rivista pubblicò il suo articolo, scritto precedentemente, dal titolo Cielo e mar, proprio sul suo maestro di composizione al Conservatorio di Milano, che gli aveva dato anche lezioni private nella propria abitazione, a volte trattenendolo a mangiare “polenta e osei”. Sempre su Ponchielli, il Nostro aveva realizzato un ampio studio monografico, rimasto inedito. Il suo cammino terreno si concluse l’11 maggio 1952, quando era ormai prossimo agli 88 anni. Unanimi furono le attestazioni di stima e ammirazione per questo uomo di grande cultura, arte e fede. Forse consapevole di essere al termine dei propri giorni, il 14 e il 28 marzo Tebaldini aveva scritto due lettere ad Abbiati in cui, accanto ai riferimenti all’articolo su Ponchielli e al suo epilogo esistenziale, ricordava con malinconia gli amati luoghi lombardi, riecheggiando, a suo modo, le struggenti emozioni dei crociati nei pressi della tomba di Rachele, nella notte precedente l’ultima battaglia, e consegnatoci da Verdi nel celebre coro “O Signore dal tetto natio”, da I Lombardi alla prima crociata (1843). Nella prima delle due lettere, quando parla dei suoi luoghi lombardi, scrive tra l’altro: “ove, con Bossi, s’andava a uccellare con le canne di vischio, per finire la domenica a suonare l’organo in parrocchia”. Nella seconda, invece, riferendosi all’articolo su Ponchielli, afferma: “[…] Adesso occorre dire di Gioconda e lo farò valendomi d’alcune lettere importantissime del povero Maestro. Il quale ha fatto di tutto per scansarsi dal musicare il libretto di Boito. Credo sia stato Giulio Ricordi ad imporgli l’aut aut: o magna sta minestra o salta sta finestra. […] Raccimolando qua e là pagine sparse di cose mie, ho potuto raccogliere le liriche Dolori ed ebrezze [Ebbrezze de l’anima] alle quali metterò in fronte il facsimile della lettera di Verdi col suo giudizio. Lucide, infine, le conclusioni: […] Vorrei dirti aufwiedersehen, ma temo che il rivederci sarà molto difficile per entrambi. Intanto voglio far presente una cosa che desidero tu sappia e cioè che la mia tomba al Cimitero di Loreto è già fissata… e pagata”. Nel necrologio di Abbiati su “La Scala” riportò brani di tali lettere, concludendo: “[…] Questa la sua memoria, la sua poesia, il suo brio. Questo l’animo di Giovanni Tebaldini, il papà spirituale di tutti noi che viviamo oltre i cinquanta. Maestro d’amore e di dottrina, esempio di tenacia e serenità che non è più”. Giovanni Tebaldini, dunque, è stato e rimane ancora una delle personalità più illuminate dell’arte e del sapere musicale, capace, come pochi, di lasciare una preziosa eredità documentale e intellettuale, da cui trarre preziosi insegnamenti: non può esserci competenza tecnico-musicale e didattica scevra da un adeguato sapere storico-musicologico, nonché da un’intima e nobile sensibilità. In conclusione, il mero tecnicismo senza contenuti umani e spirituali non ha mai sublimato la musica, e ciò Giovanni Tebaldini lo ha saputo testimoniare durante tutta la vita! [La relazione era completata da una proiezione di immagini e didascalie in Power Point]
Il soprano bolognese Grazia Franchi Ciancabilla in abito di scena
Tebaldini commemora Verdi al Circolo Cittadino di San Benedetto (10 ottobre 1951)
Il musicista con i protagonisti del Concerto Verdiano: Eraldo Grati (pianista), Lary Giovannetti (soprano), Antonio Galiè (tenore)
Il “Motu proprio” di San Pio X e Giovanni Tebaldini Vincenzo Catani
All’inizio del Novecento la musica sacra aveva compiuto un lunghissimo percorso storico, dal momento che possiamo collocare la sua fondazione nel canto gregoriano, essenzialmente monodico, che affonda le radici nel sec. VI, durante il pontificato di Gregorio Magno (Papa dal 590 al 604). Si tratta del più ricco patrimonio musicale della Chiesa cristiana, unica e universale espressione artistica fino al sorgere della polifonia nel Rinascimento. La polifonia germoglia quando si comincia a sovrapporre, alla linea monodica del canto antico, all’inizio una sola nota, poi più note tenute alla quinta superiore e con quarte e ottave parallele. Si arriva così al contrappunto, che riproduce un disegno melodico fatto da una seconda voce ad una o più battute di distanza maggiore o minore di altezza. Ad essa se ne aggiungono una terza, una quarta, fino a numeri sempre più elevati e complicati. Maestro sommo della polifonia fu Giovanni Pierluigi da Palestrina, della scuola romana, ma occorre anche ricordare il fiammingo Orlando di Lasso, lo spagnolo Luis de Victoria, i veneziani Andrea e Giovanni Gabrieli e altri ancora. Con la polifonia la musica esce dalle chiese e progredisce verso nuovi orientamenti di carattere profano. Nascono, infatti, il “dramma per musica”, il melodramma, l’oratorio, l’opera, dove la polifonia si affianca a parti monodiche. Questi nuovi sviluppi della musica esercitarono una grande influenza sulla musica sacra: cominciarono i cori misti, collocati fuori dal presbiterio, che usavano anche la lingua volgare. La causa di questo cambiamento va senza dubbio ricercata nel fatto che non si è mantenuta netta la distinzione tra musica liturgica (usata esclusivamente per la liturgia e soprattutto per le parti fisse e mobili della messa) e musica sacra in genere (come le cantate, gli oratori, le passioni…), che esprime il sentimento religioso individuale e collettivo, ma non sempre si adatta alla funzione liturgica. Ad esempio, la monumentale Messa in si minore di Bach è indubbiamente un’opera di grande valore religioso oltre che musicale, ma per le sue enormi proporzioni si adatta male all’uso di una celebrazione liturgica. Lo stesso si può dire dei Vespri della Beata Vergine di Monteverdi, della Missa solemnis di Beethoven o della mastodontica Messa da Requiem di Verdi, dove, tra l’altro, per dare teatralità al Dies irae, può anche essere usato un colpo di cannone. Dal Seicento in poi dentro le chiese e durante le funzioni liturgiche entra sempre più la musica legata all’opera profana e si moltiplicano le messe, i mottetti, gli inni o i salmi che assumono tempi e modalità tipici dell’arte teatrale, accentuando soprattutto la lunghezza dei brani, la ripetitività delle frasi, il tono musicale improntato a grandezza e barocchismo. Qualche volta si intonano addirittura parti della messa sulle melodie di celebri pezzi operistici e in tal modo la spiritualità e la delicatezza del canto gregoriano rimane un puro ricordo. Spesso si va in chiesa come quando si va al teatro. Allo stesso organo si affiancano i vari strumenti musicali e, specialmente con le trombe, si accentuano alcuni passaggi musicali con uno strepito che vuole soprattutto impressionare. Naturalmente in questo modo l’assemblea in chiesa è del tutto assente, non partecipa al canto liturgico e assiste passivamente alla esecuzione del coro. In tale contesto si inserisce la figura di Giuseppe Sarto, eletto Papa col nome di Pio X (1903-1914), grande pastore e “grande parroco della Chiesa cattolica”, come verrà definito in seguito. Sostenitore di una catechesi semplice e immediata; contrario alle lungaggini delle celebrazioni liturgiche, dovute soprattutto a canti prolissi e ripetitivi, appena eletto Papa, la prima riforma che attua, sarà proprio quella della musica sacra. L’interesse di Pio X per il problema ha inizio quando, modesto sacerdote della diocesi di Treviso, segue dibattiti e convegni sull’argomento. Continuerà ad appoggiare la causa da Vescovo di Mantova, Patriarca di Venezia e Pontefice. Raccogliendo l’eredità del “movimento ceciliano”, in modo particolare l’azione riformatrice promossa alla fine dell’Ottocento da Giovanni Tebaldini e Lorenzo Perosi, il 22 novembre 1903, tre mesi dopo la sua elezione, Pio X emana il Motu proprio sulla riforma della musica sacra, ribadendo i principi fondamentali della musica liturgica. Tebaldini scriverà: “si deve [a lui] d’aver fatto risorgere, salvati e consacrati quattordici secoli di storia dell’Arte.” Per arrivare all’ideazione e alla formulazione del decreto, fondamentali furono i rapporti tra il futuro Papa Pio X e Giovanni Tebaldini, che aveva lavorato a lungo per riavvicinare i fedeli al canto gregoriano e per riportare alla luce - trascrivendola in notazione moderna e facendola eseguire in memorabili concerti da lui diretti - tanta musica sacra del passato, rimasta per troppo tempo nascosta e abbandonata. Nel contempo venivano combattute le contaminazioni che profanavano sempre più la musica che si praticava nei luoghi di culto. Molti sono stati i contatti tra Giuseppe Sarto e Tebaldini, a partire dall’episcopato di Mantova fino alla cattedra di San Pietro. Questa continua frequentazione e amicizia facilitò, come per osmosi, passaggi di pensieri, sensibilità, desideri, progetti. I due si frequentarono soprattutto a Venezia, quando Tebaldini, venticinquenne, lasciando la scuola musicale di Ratisbona, divenne secondo maestro di Cappella della Basilica di San Marco. Fu certamente un periodo (anche se breve, perché Tebaldini passò, nel 1894, alla Cappella Antoniana a Padova e nel 1902 a quella di Loreto) di comune programmazione della Cappella e della messa in atto di una musica rinnovata e alternativa a quella operistica entrata nelle chiese. Certamente tra loro vi furono colloqui e scambi reciproci sulla riforma della musica liturgica e non siamo fuori del vero se affermiamo che nel Motu proprio ci sono anche i pensieri e i desideri di Tebaldini. Se importante fu il suo contributo alla stesura del Motu proprio, infaticabile fu la sua azione nel sostenerne i principi e soprattutto nel sollecitarne l’attuazione pratica, intervenendo, con articoli specifici su riviste e giornali, contro coloro, chierici e laici, che si opponevano ai dettami del decreto pontificio; scrivendo saggi; promuovendo l’insegnamento del canto gregoriano e della polifonia vocale; tenendo conferenze e lezioni; organizzando concerti; componendo vera musica sacra e così via. Pio X, nell’introduzione, pone subito il problema della riforma della musica liturgica, decaduta in questi ultimi secoli “per funesto influsso che sull’arte sacra esercita l’arte profana e teatrale”. Inviando questo suo primo documento a tutta la Chiesa cattolica, il Papa dà priorità alla partecipazione vera e attiva dei fedeli alla liturgia: Essendo, infatti, Nostro vivissimo desiderio che il vero spirito rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima ed indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa. Il “Motu proprio” nei numeri 1 e 2, accenna a una definizione di musica sacra, parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli. Proprio perché la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli sono gli unici due fini della musica, essa deve possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere, che è l’universalità. Deve essere santa, e quindi escludere ogni profanità, non solo in se medesima, ma anche nel modo onde viene proposta per parte degli esecutori. Ai numeri 3 e 4 viene ribadita la dignità e la primarietà sia del canto gregoriano, chiamato come canto proprio della Chiesa Romana, il solo canto ch’essa ha ereditato dagli antichi padri, che ha custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici, sia della polifonia sacra, che assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano. Al numero 6 viene ancora una volta stigmatizzata la negatività della musica operistica all’interno delle celebrazioni liturgiche: Fra i vari generi della musica moderna, quello che apparve meno acconcio ad accompagnare le funzioni del culto è lo stile teatrale, che durante il secolo scorso fu in massima voga, specie in Italia. Esso per sua natura presenta la massima opposizione al canto gregoriano ed alla classica polifonia e … l’intima struttura, il ritmo e il cosiddetto convenzionalismo di tale stile non si piegano, se non malamente, alle esigenze della vera musica liturgica. Ai numeri 7, 8 e 9 si condanna ogni alterazione e riduzione del testo liturgico: Il testo liturgico deve essere cantato come sta nei libri, senza alterazione e posposizione di parole, senza indebite ripetizioni, senza spezzettarne le sillabe e sempre in modo intelligibile ai fedeli che ascoltano. I numeri 12, 13 e 14 si occupano dei cantori, che hanno in chiesa vero officio liturgico e di conseguenza partecipano in pieno all’azione liturgica. Oggi si sente che queste disposizioni sono un po’ datate, specialmente quando si parla della voce solista e dell’esclusione delle donne dal coro liturgico (credo, però, che il motivo sia sempre quello di non cadere nel pericolo della teatralità operistica). Dal numero 15 al 21 si parla degli strumenti musicali. L’organo è lo strumento principe della liturgia e gli strumenti devono accompagnare il canto, non primeggiare o peggio ancora eseguire più o meno pezzi strumentali all’interno della celebrazione, si vietano quegli strumenti che richiamano con troppa evidenza l’uso profano: È proibito in chiesa l’uso del pianoforte, come pure quello degli strumenti fragorosi o leggeri, quali sono il tamburo, la grancassa, i piatti, i campanelli e simili. È rigorosamente proibito alle cosiddette bande di suonare in chiesa. Il numero 22 regola il tempo dell’esecuzione del canto, che non deve essere esorbitante e fare attendere il sacerdote all’altare più di quello che comporti la cerimonia liturgica. E questo perché, come si dice al numero 23, In generale è da condannare come abuso gravissimo, che nelle funzioni ecclesiastiche la liturgia apparisca secondaria e quasi a servizio della musica, mentre la musica è semplicemente parte della liturgia e sua umile ancella. L’augurio finale che il documento fa (e che facciamo anche nostro) è nel numero 28: Si procuri di sostenere e promuovere in ogni miglior modo le scuole superiori di musica sacra dove già sussistono, e di concorrere a fondarle dove non si possiedono ancora. Troppo è importante che la Chiesa stessa provveda all’istruzione dei suoi maestri, organisti e cantori, secondo i veri principi dell’arte sacra. E siamo tutti consapevoli della bontà di questo ultimo augurio. Le nostre celebrazioni eucaristiche sono certamente più partecipate e più ricche di spiritualità. Quando un coro aiuta, sostiene, incoraggia il canto dell’assemblea ed entra nello spirito della preghiera e della lode al Signore, a sua volta aiuta l’assemblea a lodare e benedire il Signore.
Sicut cervus da “Tria Motetta” di Giovanni Tebaldini Guerrino Tamburrini
Il mottetto è una composizione sacra destinata all’uso liturgico, il cui testo è quasi sempre tratto dal Libro dei Salmi, anche se in esso non mancano testi sacri non liturgici. Proprio questa vastità di contenuti spiega la ricchezza e l’importanza che tale forma di musica sacra ha assunto presso i maggiori polifonisti rinascimentali, fino a raggiungere il culmine della sua evoluzione con Palestrina, il cui stile venne riconosciuto dall’autorità ecclesiastica come modello esemplare della composizione liturgica. Le immagini poetiche dell’Antico Testamento stimolano il compositore a muoversi con grande libertà e a mettere in evidenza le singole frasi e le parole più significative proposte dal testo, alla ricerca di una sottolineatura espressiva che anticipa un nuovo modo di sentire il rapporto parola-musica e che, all’inizio del 1600, segnerà l’avvio del melodramma. Il secondo libro dei Mottetti a 4 voci di Palestrina, pubblicato a Venezia nel 1581, contiene alcuni tra i più importanti esempi di questo genere, dal delicato Sicut cervus al capolavoro della raccolta, il Super flumina Babylonis. Giovanni Tebaldini, fondatore, sostenitore del movimento ceciliano e tenace assertore dei dettami del “Motu proprio” di San Pio X, nell’intento di ricondurre la musica sacra nell’alveo della polifonia palestriniana, compone Tria Motetta, una trilogia comprendente Super flumina Babylonis, Sicut cervus e Justus ut palma florebit; tre brani che costituiscono uno dei vertici della musica mottettistica palestriniana. Quella di Tebaldini è stata certamente un’operazione coraggiosa perché, se da un lato ha inteso rifarsi all’arte di Palestrina, dall’altro si è in qualche modo dovuto misurare con il massimo esponente della musica sacra, dimostrando, tuttavia, inventiva melodica, ricchezza di mezzi espressivi e padronanza delle tecniche della composizione corale. Sicut cervus, il secondo di Tria Motetta, nella liturgia preconciliare faceva parte della liturgia del Sabato Santo e veniva cantato durante la benedizione del fonte battesimale. Il testo è preso dal Salmo 41: Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum: ita desiderat anima mea ad te, Deus. Sitivit anima mea ad Deum vivum (meum): quando veniam et apparebo ante faciem Dei mei (Domini)? Fuerunt mihi lacrimae meae panes die ac nocte, dum dicitur mihi per singulos dies: Ubi est Deus tuus? [Le parole tra parentesi sono varianti rispetto al testo liturgico] “Come il cervo anela alle sorgenti delle acque: così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia è assetata del Dio vivente (del mio Dio): quando verrò e comparirò al cospetto del mio Dio (del Signore)? Le mie lacrime sono il mio cibo giorno e notte, mentre mi viene chiesto tutti i giorni: Dov’è il tuo Dio?” Palestrina nel suo Mottetto si limita a mettere in musica solo la prima frase (Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum: ita desiderat anima mea ad te, Deus), facendo ripetere ogni volta alle voci le frasi musicali proposte ed intervenendo con variazioni nella ripetizione delle stesse e in fase di cadenza; Tebaldini mette in musica il testo completo, senza operare ripetizioni di frasi, ad eccezione dell’ultima: “Ubi est Deus tuus?”. Mentre nel Mottetto di Palestrina è presente un contrappunto molto ricco e tutte le frasi musicali vengono presentate in imitazione tra le varie voci, in quello di Tebaldini vengono alternate sezioni omofoniche e sezioni contrappuntistiche. Quest’ultime sono solo due e si riferiscono alle frasi: ita desiderat anima mea ad te, Deus e fuerunt mihi lacrimae meae panes die ac nocte. Tebaldini divide il testo in tre parti e in sei sezioni: Prima parte 1 Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum (omofonico) 2 ita desiderat anima mea ad te, Deus (contrappuntistico) Seconda parte 3 Sitivit anima mea ad Deum meum (omof.) 4 quando veniam et apparebo ante faciem Domini? (omof.) Terza parte 5 Fuerunt mihi lacrimae meae panes die ac nocte (contrap.) 6 dum dicitur mihi per singulos dies: Ubi est Deus tuus? (omof.) Nella prima parte possiamo notare come il tema principale del Sicut cervus sia identico a quello di Palestrina, che è un’elaborazione dell’omonimo motivo gregoriano.
L’andamento della prima sezione è omofonico, con alcune articolazioni diverse delle voci, dovute all’entrata sincopata dei bassi e da poche note di passaggio. Le prime due sezioni sono collegate fra loro dai contralti che chiudono in ritardo la prima sezione; sulla loro conclusione nasce il motivo della seconda, anticipato dai soprani. Qui Tebaldini utilizza la tecnica dell’incastro, un accorgimento adoperato spesso dai polifonisti per collegare le varie sezioni di un mottetto. Anche il motivo di ad fontes, proposto dai soprani
e quello imitativo di ita desiderat, in modo particolare la parte dei tenori, formata da una triade ascendente, sono derivati dalle rispettive melodie gregoriane.
La seconda frase è in contrappunto imitato e fugato: le quattro voci entrano in successione, anche se l’imitazione è solo ritmica. La prima parte si chiude con una cadenza sospesa sulla dominante di Si minore. La seconda parte comprende due sezioni in stile omofonico: nella prima (sitivit anima mea) la sillabazione stentata della parola sitivit su un accordo ripetuto simboleggia l’incedere incerto dell’anima assetata, che riprende forza e si rianima solo in Dio (ad Deum meum), mentre nella seconda l’interesse è dato da armonie dissonanti (accordi di nona, di settima e appoggiature), che vogliono rappresentare il timore dell’anima che dovrà comparire al cospetto del Signore. Queste due sezioni, dominate dalla tonalità seriosa di Si minore, costituiscono il nucleo centrale della composizione, la meno polifonica, ma la più ricca di colore e di espressività. Una cadenza sospesa sulla dominante di Re maggiore prepara l’entrata della terza parte - la quinta sezione - il cui motivo emerge immediatamente in quanto il piglio è quello tipico di un attacco in contrappunto imitativo. L’imitazione questa volta è perfetta, con risposta tonale; mentre le voci si imitano a coppie - prima le femminili poi quelle maschili - realizzando un accenno di contrasto stereofonico tra il timbro chiaro delle voci femminili e quello scuro delle maschili. L’attacco di quarta ascendente del fuerunt è derivato dall’omonimo motivo gregoriano, anche se l’atteggiamento della sezione è tipico della polifonia cinquecentesca.
Le rimanenti parole (panes die ac nocte) proseguono l’andamento polifonico delle quattro voci, ma il motivo questa volta non viene imitato in modo perfetto. La sesta sezione ritorna in forma omofonica, mentre una cadenza sospesa sulla dominante di Re maggiore, alle parole per singulos dies, prepara l’entrata dell’ultima frase (Ubi est Deus tuus?), l’unica ripetuta due volte. L’interrogativo “Dov’è?” è reso la prima volta attraverso una modulazione al Mi minore e, la seconda volta, con una cadenza imperfetta sulla tonica di Re maggiore. Ambedue le cadenze sono sospese e, quindi, simboleggiano l’attesa di una risposta che tarda ad arrivare. Da notare che la cadenza sospesa è quella maggiormente presente nel Mottetto, rappresenta il collante fra tutte le sezioni e contribuisce a dare unità a tutta la composizione. Nelle sezioni omofoniche del Mottetto domina incontrastata l’armonia, rivestita di smaglianti colori e ricca di inaspettate sorprese foniche e armoniche. Tebaldini realizza una robusta struttura armonico-fraseologica, che crea alterni momenti lirici, contemplativi e drammatici, mentre la timbrica si colora di un lirismo mistico e implorante. Anche se la composizione non raggiunge la complessità del contrappunto palestriniano, riesce a suscitare forti emozioni attraverso un’attenta accentuazione ritmica del testo e un’articolazione di frasi melodiche, armoniche e molto incisive. Per Tebaldini, cristiano convinto, il testo è preghiera ed elevazione dello spirito e, perciò, ne sottolinea le forti immagini e i profondi sentimenti. Non solo, è anche un insieme di situazioni, di figurazioni poetiche e di fonemi che egli tende ad amplificare, a rimarcare e a interpretare musicalmente nel suo contenuto, sia immanente che trascendente. Quella del Sicut cervus è una musica senza artifizi, le frasi sono semplici ed espressive, ma accurata è la scelta degli effetti fonici e sapiente l’uso delle gradazioni timbriche. È una splendida collana di brevi e caratteristici momenti musicali nei quali possiamo ritrovare intensi e significativi accenni del severo e autentico animus religioso dell’Autore. Nelle due sezioni contrappuntistiche, le frasi esposte dalle parole ispirano corrispondenti idee musicali, presentate da ogni voce in successione e sviluppate secondo l’importanza, sia dal punto di vista musicale che del testo. Una cadenza o una semicadenza porta all’esposizione e allo sviluppo del successivo motivo tematico. L’attacco del “Fuerunt” ha un incipit di esaltante dimensione ascensionale. Le voci si rincorrono a due a due ad imitazione, privilegiando due spunti molto caratteristici: un salto di quarta ascendente (di quinta nella risposta tonale), animato da un’incisiva percussione ritmica e da un disegno melismatico discendente che ne completa il discorso musicale. Il mottetto Sicut cervus svela la forte fede e le incrollabili certezze di Tebaldini credente: la pesantezza della vita umana e la tensione verso il soprannaturale; l’angoscia dell’esistere e la trascendente ragione del soffrire come ascesi per la vita futura. Tebaldini era certamente affezionato alle parole del salmista. Scrivendo da San Benedetto del Tronto alla Signora Luisa Brancondi di Loreto, il 9 settembre del 1949, così si esprimeva: “[…] L’altro ieri ho compiuto gli 85 anni. La gente, quella pochissima che mi conosce, mi rivolge felicitazioni ed auguri di longevità. E non sa che io anelo alla fine! Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum! Stare al mondo a che fare? Per sopravvivere alla propria impotenza? […] L’ho cantata nel mio Quintetto del Natale eseguito ormai un po’ dappertutto. Misericordias Domini, in aeternum cantabo! […]”. Parole tanto accorate inducono a pensare che per Tebaldini la composizione del Sicut cervus non costituiva solo un atto puramente artistico, ma una dichiarazione di fede da cui traeva la forza per andare avanti nella vita terrena in attesa di poter cantare in eterno la misericordia del Signore. Dopo questa necessaria analisi, è il momento della Corale polifonica “Giovanni Tebaldini” che proporrà all’ascolto il mottetto Sicut cervus di cui ho parlato. La partitura ci è stata gentilmente concessa dal Centro Studi e Ricerche “G. Tebaldini” di Ascoli Piceno. Come secondo brano, per augurio natalizio, verrà eseguito il canto pastorale Dormi non piangere di Licinio Refice (anch’egli promotore del rinnovamento della musica sacra) in una mia elaborazione a 4 voci dispari. L’esibizione della “Corale” da me diretta si chiuderà con l’Ave verum di Mozart, uno dei vertici della musica sacra di tutti i tempi. Siederà all’organo il M° Pierpaolo Salvucci. Alla prima uscita ufficiale chiede il sostegno del pubblico; ribadisce la propria disponibilità a proseguire lo studio di partiture di Tebaldini, per poterne diffondere la conoscenza, e ringrazia quanti hanno condiviso le finalità dell’intera manifestazione.
Il pubblico presente al Convegno
Partitura a stampa “Tria Motetta”
[omissis]
Intervento musicale
Corale Polifonica “Giovanni Tebaldini”
G. Tebaldini Sicut cervus, a 4 voci dispari
L. Refice Dormi non piangere, a 4 voci dispari (adattamento di G. Tamburrini)
W. A. Mozart Ave verum, a 4 voci dispari e organo
Direttore M° Guerrino Tamburrini Organista M° Pierpaolo Salvucci
Esibizione della Corale Polifonica “Giovanni Tebaldini” di San Benedetto del Tronto diretta dal M° Guerrino Tamburrini
Appendice
Biografia di Giovanni Tebaldini
[omissis]
Conversazione col S. Pontefice Pio X sulla musica sacra Giovanni Tebaldini
Il “motu proprio” sulla musica sacra, promulgato da Pio X con la data del 22 di novembre u. s., ha destato e desta molto interesse, sia in Italia che in tutte le nazioni cattoliche. Esso ha dato luogo, è vero, a disparati commenti, ma in pari tempo ha ridestato nella coscienza di numerosi ed eletti artisti il vivo desiderio di adoperarsi con slancio a pro della vagheggiata riforma la quale, oltre essere eminentemente liturgica, apparisce anche idealmente artistica. […] Sere or sono avevo l’onore di essere ammesso in udienza particolare alla presenza di Pio X. - Dunque come va la musica sacra? – mi disse Egli, col fare tanto semplice e paterno che gli è abituale, dopo essersi informato di quanto personalmente e più intimamente poteva riguardarmi. A simile domanda io non potei non rispondere con effusione che ringraziavo - per me e per tutti coloro i quali, negli anni decorsi, avevano lavorato assiduamente e con fede a pro della riforma – di aver voluto sanzionare e consacrare la legittimità di un simile movimento, col “motu proprio” e col successivo “decreto” della S.[acra] C.[ongregazione] R.[iti]. […] [Pio X mi] confermò chiaramente, e senza alcuna riserva, il proposito di prescrivere che il clero tutto, senza distinzione e senza privilegi, ma secondo lo spirito della liturgia ed in conformità a tutte le prescrizioni fondamentali emanate dalla Chiesa dai tempi più remoti fino ai nostri giorni, nell’esecuzione del canto abbia a riprendere il suo posto ed il proprio grado. A raggiungere questo intento, consacrato autorevolmente dal “motu proprio”, in ispecie là dove si accenna alla forma salmodica, che nei vespri il Papa vuole pienamente reintegrata, dovranno contribuire per l’appunto le “scholae cantorum” dei seminari che Egli ha prescritto vengano istituite ovunque, quale mezzo sicuro per ottenere buoni e pratici risultati. L’accorrere di tanti seminaristi ad ascoltare le perfette esecuzioni di canto gregoriano cui in ogni domenica i Padri Benedettini di Sant’Anselmo sull’Aventino, guidati dal P. Janssens, procedono in modo veramente encomiabile ed altamente artistico, segna già un buon passo sulla via pratica della riforma. Quella austera dignità nel conformarsi al rituale; quella spontanea semplicità della declamazione del testo e nella vocalizzazione neumatica; quella mirabile unità ritmica che scaturisce da una perfetta accentuazione, sono elementi vitali per una esatta interpretazione delle melodie tradizionali, avanzo vetusto e venerando di un’arte antica, che sta alla musica moderna come i primi mosaici delle chiese bizantine alle superbe concezioni pittoriche dei grandi ed immaginosi coloristi del cinquecento. I propositi di Pio X senza dubbio mirano allo scopo di far ritornare la liturgia a quella semplicità di forme, a quella purezza rituale, a quella nobiltà artistica cui recano così bella testimonianza le cerimonie celebrate nelle abbazie dei monaci benedettini. Al conseguimento di sì nobile e vasto ideale è a sperare abbiano a recare il loro contributo tutti quelli i quali comprendono ed apprezzano l’alto pensiero del Pontefice. Da esso e per esso, appunto – come avvenne dopo il Concilio di Trento - dovrà germogliare, nel campo della musica sacra, quel rinnovamento cui tutti riguardiamo con fede e con trasporto. Per esso la storia ricorderà in avvenire il nome di Pio X come quello di un Papa che seppe comprendere i diritti dell’arte, chiamando il popolo – dal quale egli è uscito – ad elevarsi verso le sue alte finalità.
(da “Il Giornale d’Italia”, 27 febbraio 1904)
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