L'ESULE BRESCIANO

 

 

Si può ben dire che Giovanni Tebaldini a Brescia non sia considerato un genius loci. Anche se la città gli ha intitolato una via, pochi bresciani conoscono il suo nome e il ruolo da lui avuto nella cultura musicale italiana.

Nacque nella parrocchia di Sant’Agata il 7 settembre del 1864, da Clemente, armaiolo e fervente garibaldino (uno dei mille nell’impresa in Sicilia e nell’Italia meridionale), e da Emilia Ceretelli, cugina di Padre Giovanni Piamarta. La vita quotidiana della famiglia era ai limiti della sussistenza, anche per i quattro figli da crescere. In casa, però, si respirava aria di musica: il padre, cantore nelle chiese, per un periodo diresse le esecuzioni in duomo. Sovente, con emozione, Tebaldini rievocava il 6 gennaio del 1875 quando fu chiamato a cantare (con voce ancora da contralto), un “tantum ergo” in “a solo” nella Chiesa dei Miracoli. Nei “Ricordi verdiani”, a proposito dei suoi primi rapporti con l’opera del Maestro di Busseto, ha scritto:

 

 «Adolescenti vivevamo in una città di provincia, istorica, tradizionalmente eroica, patria a letterati di fama, ma dove la musica si coltivava per riflesso di una personalità illustre – Antonio Bazzini – da pochi iniziati e da pochi privilegiati. E noi, vivendo in più modesta sfera, non potevamo appartenere a quella schiera, dove però – lo sapemmo poi – alitava un certo qual senso di riservatezza antiverdiana che da Milano aveva diffusa e propagandata Hans von Bülow con alcuni suoi seguaci. Verdi noi lo ascoltavamo in teatro in serate popolari, una o due volte all’anno, ed alla domenica dalla banda cittadina in piazza. Tratto tratto ci accadeva di soffermarci per le vie ad ascoltare il suono degli organetti a cilindro o dei più moderni verticali a strimpellare “la donna è mobile”, “oh che baccano sul caso strano”, “son Pereda son ricco d’onore”, che tornavamo a casa canticchiando o fischiettando sommessamente, ma col cuore gonfio di indistinti desideri! Quali mai? 1875. Era l’anno nel quale al Teatro Grande di Brescia si stava preparando l’andata in iscena dell’Aida con interpreti celebratissimi. Un corista coinquilino, spesso, mi conduceva seco – lasciandomi poscia seduto sull’erba nella piazzetta adiacente il retro teatro – ad ascoltare le prove; così, fin dal primo giorno, mi rimase impressa la solennità dell’irruente brano corale del 1° atto “su dal Nido al sacro lido / sien barriera ai nostri petti”».

 

Nell’autobiografia di Tebaldini (scritta in terza persona) si legge: «Si iniziò giovanissimo [sette anni] allo studio della musica - teoria e canto - presso l’Istituto Filarmonico Venturi col M° Paolo Chimeri, indi con privati maestri – Baldassare Vachelli, Giovanni Premoli, Roberto Remondi – per il pianoforte, l’organo e l’armonia. All’Istituto Venturi ebbe anche lezioni di violino dal M° Giacinto Conti. Per gli studi letterari – causa grave malattia – non poté andare oltre la III elementare. Quindicenne fu organista in alcune chiese della città e maestro dei cori al Teatro Guillaume (Sociale) ove negli anni 1879-’80 prese parte alle esecuzioni delle opere Linda di Chamonix, Barbiere di Siviglia, Saffo, Attila, Figlia del Reggimento».

Nello stesso periodo faceva parte della Gioventù Cattolica fondata da Piamarta e frequentava l’Istituto Pavoni recandosi spesso alla Tipografia situata nella magnifica Sala “Pietro da Cemmo”.

Tebaldini resterà poco nella città natale. Nel 1880 si recherà a Macerata per istruire, con successo, i cori al Teatro “Lauro Rossi” e a Milano al Teatro “Castelli”, per la stagione lirica della Prima Esposizione Nazionale. 

Nel 1881 fu nominato organista a Vespolate, primo tra dodici concorrenti esaminati dal maestro Cagnoni. Cominciò così la sua vita errabonda e nel 1883 entrò come studente al Conservatorio di Musica di Milano, diretto dal bresciano Antonio Bazzini, “avendo a maestri il Panzini per armonia contrappunto e fuga, e il Ponchielli nella composizione”. Diventato collaboratore del quotidiano “La Lega Lombarda”, sarà proprio un suo articolo critico, in parte negativo, su una Messa del suo insegnante Polibio Fumagalli, a causargli l’espulsione da quell’Istituto. Bazzini, che lo stimava, non poté aiutarlo, perché il regolamento non glielo consentiva. Quindi, egli si recò in Germania per frequentare (primo italiano) la famosa scuola di musica sacra di Ratisbona, grazie a una borsa di studio della Wagnerverein. Da lì inizierà la sua lunga, appassionata e fruttuosa carriera artistica di musicologo, compositore, paleografo, conferenziere, direttore d’orchestra, organista, didatta, riformatore di musica sacra…

Da un suo quaderno di “Conferenze e Corsi di Istruzione” si apprende che tornò il 24 agosto del 1888 al Circolo Artistico di Brescia per tenere un “Discorso in lode di Antonio Bazzini”, in occasione di una serata a lui dedicata (pubblicato dalla Tipografia Pavoni).

Il 27 gennaio 1891 sarà ancora a Brescia con la Schola Cantorum della Basilica di San Marco a Venezia per eseguire musiche di Pierluigi da Palestrina nella Chiesa di Sant’Afra. Due giorni dopo Piamarta gli fa pervenire questa lettera: “[…] Gli argomenti di fatto sono d’una forza incontrastabile a convincere anche i più increduli; ed è perciò ch’io amerei che tu ti degnassi a fare tutti i sacrifici possibili per dare qua e là saggi della tua scuola che già si è acquistata anche qui una buona fama. […] Intravvedo un pietoso disegno della Provvidenza coll’aver inspirato a te il forte pensiero di dare un colpo decisivo ad una profanazione che si era imposta da secoli nella Chiesa e che furentemente si arrabbatta per rimanere in seggio. […] Abituàti ab immemorabili audire cantilene da teatro, qui si è smarrito la potenza di intendere perfino soggetti di musica sacra. […] Avanti dunque, affronta impavido le difficoltà che ti si offriranno; e inaugura in vari punti della nostra Italia la musica, che deve potentissimamente contribuire ad avvicinare a G.[esù] C.[risto] una società per due terzi scredente”. E fu così che Tebaldini s’impegnò nella riforma della musica sacra e più tardi nell’applicazione - determinata e competente - del Motu proprio emanato dal Papa.

Il 2 aprile 1904 eccolo di nuovo a Brescia, nella Sala del Circolo della Gioventù Cattolica, per una conferenza su “I musicisti bresciani dal XVI al XVIII secolo” (testo pubblicato il 4 aprile su “Il Cittadino di Brescia”).

Tra gennaio e febbraio del 1924, nella Sala Maggiore della Camera di Commercio per la Scuola Superiore di Studi Sociali, terrà cinque lezioni sulla “Storia della Musica in Europa nel secolo XIX”: In una nota autografa precisa: “Pubblico di duecento persone sempre assidue, costanti, attente. Per la maggior parte professori delle Scuole Medie della città. Considero questa mia apparizione a Brescia quale mio debutto in patria. Il successo è stato notevole. Nella prima, seconda ed ultima lezione (questa durata due ore e mezza) fui in vena; nella terza stavo poco bene, così alla quarta. Al chiudere dell’ultima lezione venni salutato da acclamazioni e con l’augurio espresso ad alta voce che abbia a tornare presto. Per gli esempi musicali ebbi a collaboratori la Sig. Prof. Adele Bignami Mazzuchelli e il Prof. Vittorio Brunelli. Fra i presenti costanti: il M° Paolo Chimeri, il M° Premoli (già miei insegnanti, ma da me allontanatisi), il M° Romanini, Direttore dell’Istituto Venturi, gli amici Maestri Bettoni e Capitanio, il poeta Angelo Canossi, l’Onorevole Frugoni. Ho fatto del mio meglio, ma con l’anima sfatta, oltreché per altri motivi, pur per il pensiero della povera Pia [la figlia minore scomparsa] che mi attanagliava e mi prostrava. Ho potuto annunciare al pubblico – ma con amara soddisfazione – che Ildebrando Pizzetti, mio allievo a Parma, è stato assunto al posto di Direttore del Conservatorio di Milano».

Per l’Istituto Artigianelli, fondato da Piamarta nel 1886, era stato incaricato di comporre due inni: uno nel 1928 e l’altro nel 1936, cinquantesimo anniversario dell’Istituto stesso, e fu tra i primi a rilasciare una testimonianza per promuoverne la beatificazione, avvenuta solo nel 1997. Per il venticinquesimo della fondazione dell’Istituto, il Piamarta gli aveva fatto progettare il nuovo organo che egli stesso inaugurò il 16 giugno 1912 con l’esecuzione della sua Missa Brevis e di altre composizioni di musica sacra.

Nel 1941 fu invitato a commemorare Verdi presso l’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti presieduto dal conte Fausto Lechi. È stato rintracciato il testo, ma sembra che l’incontro non si fosse concretizzato. Si legge nella corrispondenza a Lechi: “[…] Quanto alla conferenza mia, mantengo, il proposito manifestatoLe, tanto più considerato che tre circostanze la renderanno assai diversa da quella annunciata dall’Avv.to Grassi, e cioè: 1) La mia relazione personale col Grande Maestro, durata cinque anni; 2) Il tema del torniamo all’antico che ho cominciato a mettere in pratica co’ miei Concerti storici di Venezia dei quali, nelle prossime settimane, celebrerò anch’io il cinquantesimo anniversario; 3) Lo studio su Verdi e Wagner testé licenziato per la stampa a Roma d’incarico del Sindacato Nazionale Musicisti. Calcolo di poter essere a Brescia, a siffatto intento, nella seconda metà di aprile […]”.

È certo, comunque, che l’Ateneo  ristampò il programma del famoso “Concerto Storico” che egli aveva organizzato e diretto con musiche di antichi maestri da lui dissepolti dagli archivi veneziani e trascritti in partitura moderna: Monteverdi, Cavalli, Bassani, Legrenzi, Rovetta, Ziani…

Che il cordone ombelicale con la sua Brescia non si fosse mai interrotto, lo prova il fatto che, in quello stesso anno, egli donò all’Istituzione bresciana oltre trecento libri di cultura musicale, parecchi con dedica degli autori, e importanti documenti sulla sua carriera artistica. “Mi riservo di completare il dono anche con lettere della mia carriera fuori di Brescia […] Questo per attestare che se a Brescia, come artista nulla a me è stato concesso di fare né di compiere, nondimeno, avendo sempre portato in cuore affetto profondo per la patria diletta, il mio ultimo pensiero è stato ad essa riserbato” (da una lettera di Tebaldini al Presidente dell’Ateneo, datata 19.XI.’940). Ancora oggi le pubblicazioni sono presso la Biblioteca dell’Ateneo, mentre la documentazione su commissioni, incarichi, conferenze e lezioni, un buon numero di spartiti, tutti i programmi dei suoi settanta concerti (fino al 1932) - come risulta dalla pubblicazione “L’Archivio Storico dell’Ateneo di Brescia” del 1996 - sono depositati nell’Archivio di Stato, così pure una parte della copiosa corrispondenza con il Professor Vincenzo Lonati, segretario dell’Ateneo, appassionato di musica e suo fedele amico. Si tratta di lettere in cui Tebaldini parla della sua attività e dà giudizi su fatti e persone del mondo musicale. Il 25 febbraio 1941 gli scriveva: “[…] non pensi che la piccola Sala dell’Ateneo, ove non sono mai apparso, possa impressionarmi se avrò il compenso di un pubblico eletto, il quale non mi conoscerà che per sentito dire all’ultimo momento, ma che appunto per questo si interesserà forse alla mia tarda apparizione. Io ritenevo aver chiuso a Cagliari, cinque anni fa, ogni mia iniziativa. Ma a Brescia farò il ritornello della cadenza finale. […]”.

E il 15 marzo: “[…] Giovedì 20 marzo ricorre il 50mo del mio Concerto Storico di Venezia del quale ho fatto fotografare il programma che Le invio in busta separata. […] Contavo 26 anni e mezzo ed ebbi per esso l’ausilio più assiduo di Casa Fortuny. Tempi che non tornano, malgrado il chiasso che si va facendo per esaltare quanto oggi, artifiziosamente, si crede resuscitare e rigenerare. Ai nostri tempi, aiutati da nessuno, ne reggeva la Fede nell’Ideale. Ci rimettevamo anche di saccoccia: si faticava per nulla…, cioè no, per conseguire una mèta… e ne eravamo paghi, anzi felicissimi. A proposito di questo 50mo che mi riguarda, e di cui penso far cenno nella mia conferenza all’Ateneo (se il buon Dio permetterà che arrivi a Brescia per tenerla), vorrei chiedere al Sig. Presidente Conte Lechi, a Lei ed al Consiglio, se credessero di prendere loro stessi l’iniziativa di una riproduzione in fac-simile tipografico-litografico, da distribuire ed inviare poscia agli Istituti Accademici Musicali, a studiosi, ecc. per ricordare quel che è stato fatto in materia di resurrezione storica, quando tutti dormivano della grossa. […]”.

La sua speciale donazione - come traspare da vari scritti – esprime il legame sentimentale con Brescia, il bisogno di ‘riapparire’ nella città da artista ormai arrivato, ma soprattutto il desiderio di non far disperdere alcune tracce della storia personale e di voler restare vivo fra la sua gente e gli studiosi del luogo.

Anche se a Brescia Tebaldini non aveva tenuto che rari incontri pubblici, mai aveva dimenticato la sua terra dove, tra l’altro, erano la sorella Brigida, i numerosi amici e l’adorata figlia Anna Pia, sepolta in quel cimitero (spentasi a soli sedici anni, quando era considerata una pianista prodigio, già esibitasi in pubblico).

La stampa locale aveva dato regolare notizia delle sue vicende artistiche ai concittadini, a partire dai successi come maestro di cori, quale Secondo Maestro della Cappella Musicale di San Marco a Venezia, di direttore in quella di Padova e del Conservatorio a Parma, al tempo in cui frequentava Verdi. Erano segnalate sue esecuzioni: la Messa di Sant’Antonio, quella da Requiem per Vittorio Emanuele II al Pantheon di Roma, scritta con l’amico Marco Enrico Bossi ed altre. Era anche seguita la sua partecipazione ai Congressi di Musica Sacra, dove aveva ricevuto l’apprezzamento del vescovo di Mantova Giuseppe Sarto che, divenuto Papa Pio X, lo aveva più volte ricevuto e, nel 1906, insignito della Commenda di San Silvestro.

Da critico musicale, Tebaldini, all’inizio della carriera (1886), aveva recensito su “La Sentinella Bresciana” le rappresentazioni di Marion Delorme e Lituani di Ponchielli al Teatro Grande, di Arvoel di Alberto Franchetti. Poi sulla “Gazzetta Musicale di Milano”, edita da Ricordi, aveva curato “corrispondenze” per gli spettacoli di musica lirica. In anni successivi “Il Cittadino di Brescia” aveva ospitato suoi saggi e, dal 1946 al ’51, ”Il Giornale di Brescia” i suoi ricordi su Verdi, Arrigo Boito, Toscanini e Ponchielli.

Spesso in “La Lega Lombarda” (1886 e segg.) si era firmato con lo pseudonimo di “Cidno”, dal Monte Cidneo alle falde del quale era stata costruita Brescia; in altre testate “G. Bressan”, confermando l’orgoglio per le sue origini bresciane. E, nell’autografo della sua ultima composizione, Padre, se mai questa preghiera giunga al tuo silenzio del 1947 su parole di Ada Negri, appare la scritta “Giovanni Tebaldini Brixiensis sonum dedit”.

Il 25 novembre 1953, anno dopo la sua morte, avvenuta a San Benedetto del Tronto l’11 maggio, Vittorio Brunelli ne tenne la commemorazione nel Salone “Pietro da Cemmo”, seguita dall’esecuzione di suoi brani musicali: Lux Aeterna e Requiem dalla Messa per Umberto I, Sanctus dalla Messa di Sant’Antonio premiata a Parigi, A sé stesso e Adagio dal Quintetto pel Natale. Il testo è pubblicato in “Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1952” (vedi “Antologia critica”).

Del Maestro Tebaldini si è tornato a parlare il 10 maggio scorso nella ricorrenza del cinquantenario della morte. L’Ateneo ha voluto ricordarne la figura di artista poliedrico con una approfondita relazione del Maestro Mario Conter e l’audizione di tre sue composizioni registrate nel corso della recente Rassegna Internazionale di Musica Sacra di Loreto dove gli è stato reso un degno omaggio.

 

(testo di Anna Maria Novelli  pubblicato in “BresciaMusica”, a. XVI, n. 81, Brescia, aprile 2002, con il titolo Giovanni Tebaldini a cinquant’anni dalla scomparsa - Una multiforme attività)

     

 

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