LORENZO PEROSI

 

Tebaldini-Perosi1: un incontro fortunato, una sintonia ideologica, un rapporto di stima reciproca. Ma lasciamo parlare lo stesso Tebaldini attraverso i brani più significativi di un lungo articolo su Perosi del 19112.  

 

“Nell’autunno del 1893, già tornato [Perosi] dalla Kirchenmusikschule di Ratisbona, cui a mia volta, quattro anni innanzi avevo appartenuto, conservandone in cuore i più grati ricordi, mi trovai col Perosi al piccolo congresso regionale di musica sacra tenuto a Mariano Comense. Egli non vestiva peranco l’abito talare in quei giorni, e nella sua modesta mise di aspirante al sacerdozio, col molle cappello nero, la cravatta a nodo e l’abito dimesso dello stesso colore, non avrebbe permesso a chicchessia indovinare in lui l’uomo destinato a sollevare in breve attorno a sé tanto clamore e tanta ammirazione.

Di Perosi giovinetto avevo però sentito parlare assai favorevolmente parecchi anni addietro al Conservatorio di Milano, ove egli si era fatto apprezzare all’organo suonando Bach e Mendelssohn con meravigliosa disinvoltura e sicurezza. Ma del giovane maestro m’erano arrivate più recenti notizie da Ratisbona. Desideravo quindi rendermi ragione della fama che già andava creandosi attorno al suo nome e che gli aveva meritato il posto di direttore di cappella nella cattedrale e nel seminario di Imola. Infatti, quando egli salì sul vecchio organo della prepositurale di Mariano e cominciò a preludiare su temi gregoriani e proprii, provai come un’impressione di dolce trasporto. Veramente nobile, la sua esile figura andò man mano delineandosi a’ miei sguardi dall’alto di quella tribuna. E sentii per quelle prime impressioni – ripeteva egli quei bellissimi Trio i quali apparvero poscia nelle edizioni Pustet – che la causa della musica sacra in Italia avrebbe avuto in Lorenzo Perosi un campione valoroso degno di trovare seguaci operosi ed entusiasti. Così infatti doveva avvenire!

L’anno appresso nella imminenza delle grandi feste centenarie in onore del Santo Taumaturgo di Padova, richiesto dell’opera mia alla Basilica Antoniana, credetti dover accettare la nuova posizione rinunciando al posto che dall’ottobre 1889 occupavo a San Marco di Venezia quale fondatore e direttore della Schola Cantorum. Troppe difficoltà, troppe lotte, troppe opposizioni aveva incontrato l’azione mia, intesa a promuovere la riforma della musica sacra in quella storica cappella nei nomi e per le opere di Palestrina, dei Gabrieli, di Rovetta, di Legrenzi e di Lotti. Né, per l’assenza del cardinale Patriarca, riusciva a me agevole di rompere tutti gli indugi.

Nei cinque mesi che corrono dal maggio all’ottobre del 1894 io tenni contemporaneamente la direzione di entrambe le Cappelle: la Marciana di Venezia e l’Antoniana di Padova.

Intanto la Fabbriceria di San Marco, affidandosi al senno del Padre De Santi [esperto regista della riforma], per l’ufficio che sarebbe rimasto vacante, impegnò senz’altro Don Lorenzo Perosi.

Esultai in cuor mio ben sapendo che le sorti della storica cappella erano ormai assicurate. Così in un giorno dell’estate incipiente ci incontrammo di nuovo nell’episcopio di Mantova, testimone al nostro conversare, consigliere affettuoso nelle nostre discussioni, quegli che poscia doveva assurgere ai fastigi del Supremo Pontificato col nome di Pio X. In tal modo, ed in simili circostanze, feci a Perosi la consegna dell’ufficio da me sino ad allora occupato in Venezia, e da quel giorno la sua carriera artistica si incamminò per la via luminosa del trionfo. Nei  cinque anni nei quali mi trovai maestro a San Marco io avevo mirato sopratutto a restituire alla pratica quotidiana della Cappella quella musica sacra antica e moderna, la quale sembravami meglio rispondesse al concetto artistico, liturgico e storico su cui si basa l’edificio della riforma. Il Perosi, oltre a ciò, volle affermare la propria individualità, dando libero sfogo agli impulsi dell’animo ed alla fantasia traboccante, col dettare sin da allora composizioni sacre fra le più importanti che di lui si conoscano”.

 

Tebaldini prosegue analizzando con lucidità la prima e la seconda maniera delle composizioni di Perosi. Quella “veneziana” con Messe, Antifone, Mottetti, Salmi, Inni, che, eseguiti in tutta Italia, diedero “effetto a quella riforma della musica sacra – pur nelle parrocchie di campagna – che, forse, per altre vie non si sarebbe potuta raggiungere” e quella “sistina” in cui il contenuto lirico “prende diverso carattere, diviene più robusto: maggiore coesione statica regge l’architettura generale della composizione e si eleva alla grandiosità dell’ambiente ove egli crea, alla maestà delle cerimonie per le quali detta le nuove composizioni”.

 

Tebaldini difende la musica perosiana dalle critiche gratuite con cognizione di causa:

“Alcuni hanno affermato che esse risentono di eccesiva drammaticità e che per conseguenza non rispondono alle prescrizioni del motu proprio pontificio. Ma debbo subito far noto che simili obiezioni – le quali sembrerebbero formulate da puristi ad oltranza – non provengono, al fin fine, che da gente la quale – sino a ieri, si può dire – ha osteggiato sistematicamente qualunque pur modesto tentativo di riforma inteso a sopprimere nella Chiesa le volgarità più potenti. Ora ad esse fa buon gioco il poter additare nelle composizioni del Perosi quel carattere lirico di modernità cui egli – come altri maestri, compositori del nostro tempo – si è abbandonato quasi con l’impeto della passione umana di cui può essere capace un artista credente e cattolico. E dico – notisi bene – passione umana sottointendendola contenuta nei limiti e nei confini delle leggi liturgiche e della pura lirica religiosa; perché il compositore di musica sacra, anche quando sia compreso e viva nella pura sfera ideale dell’ascetismo, non cesserà mai per questo fatto, di sentire e manifestare i suoi sentimenti per le vie del cuore. La qual cosa non significa certamente abbandonarsi a quella libertà assoluta di concezione ed a quel sensualismo che genera la musica da chiesa di stile teatrale – sia pur aristocratica e raffinata – ovvero – il che è peggio ancora – la musica sacra banale, volgare e triviale”.

 

E spiega chiaramente quali siano stati i meriti di Perosi rispetto alla riforma:

“Quando egli apparve nell’arringo della riforma, l’azione che durava da ben venti anni, erasi informata – e ciò era doveroso – all’ideale della reintegrazione della grande arte antica. Proposito loro era quello di far rivivere e di riuscire a diffondere fra il popolo la sublime polifonia dei maestri del passato. Molte chiese, anche modeste, eransi avviate per questa via; ma la riforma in generale procedeva lentamente […]. Lorenzo Perosi salvò la situazione. La causa della riforma  dovette forse sacrificare di intensità, ma acquistò meravigliosamente in latitudine e la nostra schiera dei neofiti per opera del Perosi inalberò il vessillo dell’arte degna del tempio, degna di essere accolta nel cuore di tutti. La sua musica melodica, piana, facile assai, spesso ricca di sentimento, traboccante di fede, conquistò tante anime semplici assetate di ideale, ed il dominio di essa durò a lungo ininterrottamente”.

Marino Sanarica, nel suo libro su Perosi3, spesso cita Tebaldini, a dimostrazione di quanto l’attività dell’uno fosse connessa a quella dell’altro:

“Quel ruolo provvidenziale, l’aveva già benissimo intuito - il che è tutto dire – Giovanni Tebaldini, durante il Congresso di Mariano Comense!

Non c’era personaggio in quel congresso, che meglio potesse intendere Lorenzo. Maggiore di lui di otto anni, il bresciano pure aveva dovuto sgobbare non poco, come autodidatta, e in condizioni meno favorevoli rispetto a quelle del tortonese, prima di potersi iscrivere al Conservatorio di Milano e diplomarvisi4 sotto la guida di Amilcare Ponchielli. Convinto – come poi si convincerà Lorenzo – che per liberare la musica italiana dalla siccità improduttiva, esiziale della sufficienza e involuzione provincialistica, nulla valesse quanto farle risalire l’acqua dalle falde della musica sacra e profana delle origini, andò a far tesoro dell’esperienza e dottrina musicale degli insostituibili Maestri Haberl e Haller, alla Kirchenmusikschule di Ratisbona, cinque [quattro] anni prima di Lorenzo. Sotto quelle guide severe e intransigenti il suo spirito s’era fatto anche più forte e autoritario – ciò che lo rese inflessibile nella sua concezione estetica di sacro riformatore e apostolo in marsina… Scriveva nel più puro stile polifonico e non ammetteva critiche o contestazioni da parte della mediocrità vuoi del campo sacro, vuoi profano. Così non gli mancarono gli avversari – e i più ingenerosi li ebbe tra i preti - che mal sopportavano che un laico dettasse loro legge, anche se quel laico profondeva generosamente, disinteressatamente il meglio del suo sapere, della sua esperienza, delle sue energie a una delle cause più nobili della chiesa.

Quando strinse amicizia con Lorenzo, era Direttore delle Cappella Marciana di Venezia – direzione che due anni dopo doveva cedere all’amico, come vedremo – retrocedendo5 alla Cappella Antoniana di Padova. Non retrocedeva invece il suo nome. Da Padova passava presto alla direzione del Conservatorio di Parma, poi alla Direzione della Cappella di Loreto e, alla fine, al Conservatorio di Napoli, a occuparvi la cattedra di esegesi palestriniana. [Segue uno stralcio da F. Abbiati, Storia della Musica, vol. V, p. 93, Ed. Garzanti, Milano, 1949, già inserito nell’ “Antologia critica” di questo sito].

[…] Lo scritto [cioè, l’articolo di Tebaldini sopra riportato] non contiene solo autorevolissimi giudizi sull’astro musicale nascente, ma anche quelli sulla piena luce e gloria. Onesto, sincero, grande Tebaldini! […] Quell’ottimo scritto ci sorprende addirittura e ci commuove, se riflettiamo che venne stilato nei giorni in cui la denigrazione, la stroncatura, la demolizione dell’idolo di ieri sembravano di prammatica e ghiottonerie per giornali e riviste e libri… - nei giorni in cui, Don Lorenzo Perosi, già attanagliato da penosissima triplice crisi spirituale, artistica, psico-nervosa, aveva fatto il silenzio e il deserto attorno a sé e al suo nome, si dichiarava fallito, vietava la stampa, l’esecuzione della propria musica, quando non la distruggeva o l’alterava, e commetteva cert’altre stranezze, prestandosi alla derisione e al compatimento. Quello era il banco di prova della vera amicizia verso l’idolo di ieri, tramutato nello sventurato e nel segno di contraddizione di turno. E Giovanni Tebaldini, nonostante certe miseriuzze, era un amico vero e un giudice imparziale.

Ma torniamo a Lorenzo. Deluso e scontento per quanto ha trovato a Imola – ché la situazione era ben diversa da quella prospettata dal gesuita De Santi e dal segretario del Vescovo! – si sfoga con l’amico e musicista congeniale, Tebaldini, in una prima lettera [8 novembre 1893], all’indomani del suo arrivo e in una seconda [6 dicembre 1893]. […]

Possiamo immaginare come avrebbe preso la cosa l’amico Tebaldini, buon cattolico ma non clericale, duro di carattere, intransigente, autoritario, esclusivo nei suoi propositi e determinato a realizzarli senza farsi condizionare da mentori o consiglieri in marsina o in tonaca – e per questo, se pur considerato elemento di punta nelle battaglie pro Musica sacra, non amato e tanto meno accarezzato.

 

Nel 1894, come già visto, le sorti di Tebaldini e Perosi si intrecciano perché le autorità ecclesiatiche decidono di trasferire Tebaldini a Padova, dove c’era da dare solennità e autorevolezza alla Cappella Antoniana che l’anno dopo avrebbe dovuto sostenere le cerimonie delle feste centenarie di Sant’Antonio, e di nominare maestro di cappella di San Marco a Venezia, al posto di Tebaldini, il giovane Perosi.

E Tebaldini, che a Venezia aveva trovato nel M° Coccon e in altri una certa resistenza alle sue innovazioni, lasciava volentieri il posto. Perosi troverà buone fondamenta per il rinnovamento musicale, gettate da Tebaldini, e l’appoggio del nuovo Patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto.

Il giornale veneziano “La Difesa” alla fine dell’anno traccia un bilancio dei primi mesi dell’attività perosiana e riporta le impressioni di un “maestro intelligente e provetto e tutt’altro che facile alle lodi” dopo l’ascolto della Missa Patriarcalis:

“Questa prima prova del giovane maestro di cappella di San Marco mi parve come la rivelazione di un nuovo tipo di musica sacra italiana, nel quale trovansi felicemente accoppiati i due elementi indispensabili della liturgia e dell’arte. Originalità, semplicità, chiarezza e diatonicità della melodia, congiunta a forma sempre più eletta e sobriamente varia nell’unità di concetto; classico andamento e intreccio delle parti formano i pregi di quella composizione, che rivela fin d’ora la vena abbondante che emana da un cuore robusto di fede e da una mente viva di peregrine cognizioni nel campo liturgico e  musicale, avvezza al familiare colloquio con il Palestrina e coi grandi della sua scuola.

Dopo di ciò, bisogna confessare che i fanciulli hanno fatto meravigliare per la loro sicurezza di intonazione e prontezza e facilità di voce; il che va pure a lode del maestro, che ha saputo, in un tempo così breve, preparare quei cari putti, con una fatica e un sacrificio, che solo un verace amore dell’arte sa ispirare. […]

Marino Sanarica è convinto che il  maestro intelligente e provetto e tutt’altro che facile alle lodi sia senz’altro Giovanni Tebaldini e nel suo libro su Perosi (a pag. 102) scrive tra l’altro:

“Se si riflette, inoltre, all’indovinato accenno della Difesa sui Responsori natalizi e dell’analogo approfondito rilievo che ne fa il Tebaldini nell’articolo succitato – penetranti e gioconde melodie – il dubbio sul mentore e sul maestro provetto cade affatto. Non c’era, nel 1894, a Venezia e a Padova – donde il Tebaldini poteva raggiungere la città della laguna quando e come voleva – non c’era, dico, un maestro, all’infuori del bresciano, che avesse idee chiare in materia di musica sacra e che sapesse intuire e intendere il nuovo corso impresso alla musica sacra da quell’audace ragazzo di genio. Tolto Tebaldini, non c’era altro maestro intelligente e provetto e tutt’altro che facile alle lodi… Bossi, per lo meno, non era ancora a Venezia”5

«La musica perosiana – è ancora Saranica che parla – fu sempre in grande onore presso la Cappella lauretana, specie negli anni della direzione artistica dell’insigne Tebaldini. Ciò che conferma quanto il bresciano – irriducibilmente crudo ai presuntuosi, ai mediocri, agli arraffoni, fossero pure coperti dall’ammanto regio e papale – avesse in conto l’arte del pretino di Tortona e quanto, inoltre, fosse ancora e sempre alieno dal coltivar sensi d’invidia, di gelosia, di rivalsa nei confronti di colui che gli è stato sbattuto in faccia a soppiantarlo alla Marciana. Per diversi anni – egli ha scritto – i riti santi della notte di Natale, nella veneranda Basilica, conobbero sempre gli incantevoli canti perosiani.

“Dai responsori a due voci – semplici, ma così pieni di vaga ispirazione – al Te Deum a quattro; dalle Missae Pontificalis (I e II) alla Eucharistica, per l’atmosfera, ove nel centro troneggia la Santa Casa, hanno risuonato gioiosamente le melodie perosiane. È l’ora del mattutino notturno. I fanciulli cantano in letizia: hodie per totum mundum melliflui facti sunt coeli; e ad essi risponde il coro degli adulti: o magnum mysterium!

Le luci della Basilica, a mano a mano si accendono: la folla si addensa innanzi alla grande cappella istoriata dal pennello di Ludovico Seitz.

Dopo il canto di quelle Laudi dalle quali Gabriele D’Annunzio seppe trarre le immagini più accese; dopo il salmo Misericordia Domini in aeternum cantabo, si intona il Te Deum grandioso, solenne. Sulla polifonia sorretta dall’organo, a mo’ di corale, primeggia e sovrasta la melodia ambrosiana: fiat misericordia tua, Domine, super nos. […]”6».

Tebaldini scrisse di nuovo, in lode dell’amico, nell’ottobre del 1923, in occasione di una “festa”  musicale, tenutasi a Fabriano, dove Perosi aveva soggiornato qualche mese per rimettersi in salute. Festa voluta da “poche ma illuminate persone di fervido cuore e di nobili sensi. […] La tranquillità e la calma valsero a ridonare all’illustre maestro un po’ di quella energia e di quella forza di volontà che per un certo tempo sembravano avere da lui esulato in modo fatale ed insanabile; di guisa che furono possibili le esecuzioni di Fabriano. Le quali nel mondo artistico italiano dovevano meritare e giustamente, tutto l’interessamento e l’attenzione così delle persone colte che della folla; la quale in Lorenzo Perosi ravvisa sempre una delle maggiori e più legittime personalità della moderna musica italiana”.

 

L’amicizia sincera, la stima profonda tra i due non vennero mai meno. Al riguardo è significativo citare anche una testimonianza del Prof. Arcangelo Paglialunga - attento studioso e amico di Perosi - che in una lettera del 17 giugno 2000, indirizzata alla nipote del musicista bresciano, dice:

“Le dirò che don Lorenzo Perosi parlava spesso con me del maestro Tebaldini, del quale ha conservato il ricordo affettuoso fino al termine della sua vita. Io sono in possesso della lettera autografa di don Lorenzo a Tebaldini scritta durante la guerra: non fu spedita perché l’Italia era divisa in due e rimase pertanto tra le carte del Maestro. Fu ritrovata verso il 1954, quando ormai il maestro Tebaldini non c’era più; ebbi in dono quella lettera dalla signorina Felicina Perosi, sorella di don Lorenzo. È un documento che mi è molto caro”.

 

La lettera di cui sopra, stilata a Roma, è datata 1. I. 1945:

“Egregio Maestro

La tua lettera mi è un vero balsamo in questi giorni burrascosi. Ti ringrazio degli auguri per il mio 72mo genetliaco, e spero di poterti presto rivedere, per raccontarci degli antichi giorni veneziani, delle vicende della Cappella Sistina, e dell’aiuto che insieme alla bontà del Santo Padre Pio XII, e di mio Fratello Marziano, mi potresti dare”.

 

La corrispondenza Perosi-Tebaldini ha lasciato una traccia indelebile sul loro sodalizio. Nel volume su L’epistolario vaticano di Lorenzo Perosi, curato nel 1996 da Mons. Sergio Pagano per l’Editrice Marietti, sono riportate quattro belle lettere di Tebaldini, tra cui quella del 20 giugno 1906, che vale la pena trascrivere almeno in parte:

“Caro Perosi,

tornando ieri da un breve viaggio di propaganda al seminario di Jesi, dove si va istituendo l’Associazione diocesana di Santa Cecilia, monsignor Vescovo nostro mi ha chiamato per parteciparmi il breve pontificio col quale il Santo Padre Pio X mi nomina Commendatore dell’Ordine di San Silvestro.

Se da un lato mi sono sentito confuso innanzi a questa prova solenne di benevolenza per parte del Santo Padre, dall’altra la notizia è giunta proprio in un momento opportuno e mi ha confortato assai, dopo alcuni dei soliti dispetti fatti a me ed a mons. Vescovo sempre in odio alla causa sacrosanta della riforma. Mons. Vescovo stesso mi ha persuaso quale parte tu abbia avuto nel sollecitare per me questa onorificenza; la quale circostanza è di grave peso, sia per provare la nobiltà del tuo animo, sia per attestare l’amicizia cordiale che tu mi professi. Farò, d’ora innanzi di rendermene degno con la tua sincera gratitudine […]”.

 

Un’altra testimonianza viene dal critico musicale romano Mario Rinaldi che, nella prefazione al suo interessante libro Lorenzo Perosi (1967), tra i più attendibili pubblicati sul Maestro, dichiara che Tebaldini, prima di morire, volle lasciargli “numeroso materiale della sua lunga e fattiva vita di artista, documenti delicati che un giorno potranno anche essere rivelati; tra cui molte notizie perosiane”.

 

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1.  Perosi Lorenzo (Tortona, 1872 – Roma, 1956), compositore e organista. Figlio dell’organista Giuseppe, iniziò studi regolari al Conservatorio di S. Cecilia, studiando poi con Michele Saladino al Conservatorio di Milano. Nel 1890 fu nominato organista e maestro di canto nell’Abbazia di Montecassino. Nel 1892 riprese gli studi al Conservatorio di Milano, diplomandosi e perfezionandosi a Ratisbona nel 1893 con F. X. Haberl e M. Haller. Verso la fine di quell’anno assunse l’incarico di maestro di canto nel seminario di Imola, dirigendo la Cappella di quel Duomo e poi quella di San Marco a Venezia. Consacrato sacerdote, ebbe modo di farsi conoscere dirigendo esecuzioni di proprie composizioni oratoriali. Nel 1898 fu posto a capo della Cappella Sistina. Il 22 ottobre 1930 venne nominato Accademico d’Italia. Fu autore di numerosi oratori e di composizioni per orchestra.  Fin dagli anni della riforma della musica sacra divenne amico di T., il quale, in diverse occasioni, scriverà sulla sua musica difendendola dai detrattori.

 

2.  Da Don Lorenzo Perosi e la musica sacra, ”Il Tirso”, a. IV, n. 4, Roma, 22 gennaio 1911; pubblicato anche in “Bollettino Ceciliano”, n. 3-4, Vicenza, marzo-aprile 1911; in “Musica Sacro-Hispana”, a. IV, n. 6, Bilbao, giugno 1911; in “Bollettino Ceciliano”, n. 3-4 (edizione speciale per Don Lorenzo Perosi), marzo-aprile 1957

 

3.  Stralci dal libro di Marino Sanarica Lorenzo Perosi, Ed. Guaraldi, Rimini, 1999.

 

4.  È doverosa una precisazione: Tebaldini non si è mai diplomato al Conservatorio di Milano, perché nel  febbraio 1885, a seguito di un suo articolo su “La Lega Lombarda”, in cui criticava una Messa del suo insegnante Polibio Fumagalli, fu radiato dall’Istituto.

 

5.  In verità, Tebaldini, passando a Padova divenne primo direttore della Cappella Antoniana, mentre a Venezia era direttore della Schola Cantorum e secondo maestro di cappella.

 

6.  Ibidem nota 2.

 

 

 

 

 

 

Foto di Lorenzo Perosi con dedica a Giovanni Tebaldini il quale, con ironia e modestia, ha aggiunto:

 “(1) di almanacchi / G. T.” (proprietà Gianfranco Vicinelli, Milano)

 

 

 

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