GIUSEPPE LESCA*
L’articolo
che segue evidenzia, sia pure parzialmente, il rapporto tra il letterato e
Tebaldini:
Il
paradigma delle Vite parallele del
greco Plutarco, se può avere ancora valore nella nostra età, deve rispondere a
una nuova esigenza: che si tratti veramente di vite parallele, ovvero di vite
di personaggi vissuti nello stesso periodo, legati da comuni sentimenti di amicizia, da comuni
affinità culturali, da interessi condivisi e complementari.
Volendo
parlare di vite parallele che hanno avuto a che fare con la città adriatica, ci
viene in mente un binomio quasi indissolubile, il letterato-poeta-critico
Giuseppe Lesca e il musicologo-compositore Giovanni Tebaldini: il primo nato a
San Benedetto nel 1865; il secondo morto nella stessa città nel 1952. Sia
subito ben chiaro che si tratta di una pura coincidenza. Lesca nacque nel borgo
marinaro l’anno successivo a quello in cui il padre di origine piemontese fu
qui inviato dalla direzione delle Ferrovie dello Stato come capostazione quando
fu inaugurata, subito dopo l’Unità d’Italia, la tratta Bologna-Bari; Tebaldini,
di origine bresciana, qui trascorse serenamente i suoi ultimi anni
nell’accogliente casa della figlia Brigida Tebaldini Novelli. Se casuale fu il
luogo di nascita e di morte, non certo fortuito si dimostrò l’incontro fra i
due; lunga e feconda furono l’amicizia e la comunanza artistica che durarono
per tutta la vita. Coincidente, quasi, la data di nascita (1864/1965), non
molto distanti le date di morte: Tebaldini, come si è detto, scomparve nel 1952;
Lesca lo precedette di pochi anni (1945). Per motivi familiari e professionali,
percorsero quasi tutta la penisola, ma tutti e due ebbero una dimora piuttosto
lunga, laboriosa e gratificante in realtà differenti: Tebaldini fu per ventitrè
anni direttore della Cappella Musicale a Loreto, Lesca per venticinque anni fu docente di Lettere
negli Istituti superiori a Firenze. Si incontrarono più volte e in luoghi
diversi, ma, soprattutto, furono legati da una fitta, cordiale e interessante
corrispondenza epistolare. Si potrebbe parlare di un’affinità elettiva, di una
piena sintonia di sentimenti, persino di una collaborazione tra il poeta (oggi
si direbbe paroliere) e il musicista. Ne offro un esempio del tutto
eccezionale, che sembra addirittura surreale. Tebaldini, che a partire dal
1900, convinto ammiratore dell’arte letteraria di Dante, Petrarca, Leopardi,
Fogazzaro, D’Annunzio, Ada Negri, ne musica testi poetici e brani noti o meno
noti, alcuni anni prima, e quasi per mettersi alla prova, sceglie un trittico di
Lesca, tratto dal poemetto Voci del
Cuore, ed esattamente le due quartine dei tre temi Fede, Dubbio, Speranza. Fin qui nulla di strano; è più che normale
musicare testi di un amico che già aveva una sua rinomanza in seguito alla
pubblicazione di poemetti lirici e raccolte in versi con case editrici
prestigiose come Zanichelli. La sorprendente scelta è legata al contenuto dei temi
in cui Tebaldini scopre la sua personale vicenda esistenziale, come una
trasposizione lirica, operata da un altro, dei suoi sentimenti, dei suoi dubbi,
delle sue speranze nei riguardi della donna, Angioletta Corda di Vaprio d’Adda,
che sposerà pochi anni dopo, nel 1892.
In
una tesi di laurea, dal titolo Musica e
Letteratura in Giovanni Tebaldini, discussa nell’anno accademico 2005-2006,
nell’Università di Verona, l’autrice, Fulvia Pelizzari, scrive: “A Tebaldini
queste poesie stavano particolarmente a cuore. [...] Voci del cuore allude alla ‘conquista’ della futura consorte. La fede nella sincerità del proprio sentimento
viene oscurata dal dubbio che la
condizione sociale dell’amata (proveniente da una famiglia benestante, mentre
il musicista era di umile estrazione) possa ostacolare il loro amore. Infine,
la speranza, che la ricchezza d’animo
della giovane possa sovrastare quella materiale”. Non meno interessante è
conoscere in che modo Tebaldini abbia scoperto la lirica di Lesca.
Cinquant’anni più tardi, esattamente nel 1942, tre anni prima della dipartita
del poeta, in una lettera indirizzata all’amico, il musicista scrive: “[...] Ad
indurmi a musicare Voci del Cuore fu il nostro poeta dialettale Canossi
il quale avendo letto in un periodico senese i tuoi versi, me li passò […]”.
Da
precisare che Angelo Canossi, giornalista, epigrafista, scultore e poeta
dialettale, è chiamato “nostro” in quanto nativo di Brescia come lui.
Sembra
quasi naturale che in occasione delle nozze di Giovanni Tebaldini con
Angioletta Corda, Lesca, oltre ad essere invitato caldamente alla cerimonia
nuziale dell’amico, componga una lirica intitolata Sogni con
questa affettuosa dedica in forma di breve lettera:
Amico
mio carissimo, i versi che ti offro nel giorno, credo, per te più bello,
cantano di una vita dolce e serena, quale può essere soltanto immaginata da
cuori gentili e quale io auguro a Te e alla Buona, in cui è tutto il tuo amore.
Accettali come simbolo modesto dei voti più belli, e d’un profondo senso di
affetto, per cui con effusione di cuore fraterno sono e sarò sempre il tuo
G.
Lesca
Il
testo a stampa della lirica, rinvenuto dalla solerte nipote di Giovanni Tebaldini,
la prof.ssa Anna Maria Novelli, presso la Biblioteca comunale di Milano (N. Var. 1252)
è preceduto, in prima pagina, dalla dicitura: Febbraio MDCCCXCII - Nozze Giovanni Tebaldini ed Angioletta Corda.
La
lirica si compone di 12 strofe saffiche, divise in due parti: la prima di
cinque, la seconda di sette strofe. La scelta metrica, il ritmo, il linguaggio,
le immagini appartengono a quell’età tardo-romantica, di cui Lesca era uno dei
rappresentanti. Di particolare si notano la delicatezza e la levità del
lessico, l’armonia e l’assenza di suoni duri, una ricerca formale che parte
dalla tradizione petrarchesca e arriva al coevo Pascoli, un lirismo intessuto
di tenui paesaggi e, insieme, di ricorrenti aggettivi, rievocanti
l’onnipresente Carducci. L’adonio della prima strofa e l’adonio dell’ultima, io sogno e canto, ne sono l’emblema. La
poesia di Giuseppe Lesca, ad essere giusti giudici, non si distacca dal filone
ricco ma anche monotono di una pletora di poeti che affastellano gli anni
dell’ultimo Ottocento e il primo periodo del Novecento. Al nostro va
riconosciuta una sintonia sincera tra i suoi delicati sentimenti e un
soggettivismo imperioso. Per tale ragione ci piace concludere, per ora, questa
traccia di vite parallele, tornando al luogo dove Lesca è nato e dove Tebaldini
è morto: San Benedetto del Tronto.
In
una lirica, forse l’unica, in cui il poeta parla della sua città natale, così è
ricordato il luogo della sua prima infanzia:
Ma
tu, o mare, da S. Benedetto | su arene
d’oro alla rupestre Ancona, | quello che sempre m’è compagno e suona | di voci
e d’armonie coro diletto, | non componesti tu primo nel petto | del tuo
fanciullo? A te, ecco, la buona | madre mi mena (ancor mi s’abbandona | l’anima
al vago tempo): nel soletto | nido mi posa al sol; le membra molli | deterge
nell’acque tue. Ma vele sono, | o chiare nubi all’aurea tepente, | quell’ali
là?... Con te che alternamente | mi batti al piede, e con lei muovo al suono | di
cantilene: arridon cielo e colli.
(da Una
vita – 1884-1914)
Che
abbia presente questi versi l’amico musicista quando gli scrive da San
Benedetto il 21 febbraio 1941, non lo sappiamo, ma è sintomatico che
nell’apertura della breve missiva gli dica: “[...] nel giorno del tuo 76
compleanno ti scrivo precisamente dal tuo paese natale. [...]”.
Al
termine della lettera Tebaldini scrive: “[...] a maggio spero essere a
Brescia…forse in quell’occasione parlerò
anche… per l’ultima volta. Sono stanco di tutto. [...]”.
Vivrà,
invece, pur in precarie condizioni ma perfettamente lucido, ancora per nove
anni.
La
città di San Benedetto li ricorderà entrambi dedicando a Giuseppe Lesca un
vicolo (purtroppo!) e la
Biblioteca comunale, a Giovanni Tebaldini una via.
Tito Pasqualetti
(da Musica.
Vite Parallele | Una profonda amicizia tra un letterato e un musicista….e S.
Benedetto del Tronto, “Riviera delle Palme”, a. XXIII, n. 4, San Benedetto
del Tronto, luglio-agosto 2007, p. 27)
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* Giuseppe Lesca (San Benedetto del Tronto, 1864 - Milano,
1943), laureato in lettere, per molto tempo fu il lettore privato della Regina
Margherita. Trasferitosi a Firenze, per 25 anni fu docente negli istituti
superiori. Collaborò a riviste letterarie e quotidiani. Scrisse poemetti
lirici, raccolte di versi, saggi storici, commenti per Dante, Boccaccio e
Pascoli.
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