ANTONIO FOGAZZARO

 

Antonio Fogazzaro1 è lo scrittore-poeta che ha stimolato più di ogni altro Giovanni Tebaldini nel comporre musica profana. Sui versi del letterato vicentino egli ha composto varie liriche (vedi “Catalogo delle opere musicali” ai numeri 125, 146, 150, 154, 156, 170, 171, 172, 173) e “Note didascaliche alle composizioni” ai numeri 146, 170-171, 171/VIII), tanto da essere definito da Ugo Ojetti “il dolce musicista di questo poeta”. Tebaldini inviò a Verdi e ad Arrigo Boito “Ebbrezze de l’anima” ricevendo da entrambi lusinghieri giudizi (leggi tra le citate “Note”).

Come ricordato in uno degli articoli che seguono, si conobbero a Venezia nel 1890, quando il musicista dirigeva la Schola Cantorum della Basilica di San Marco ed organizzava concerti di musiche antiche che, tra i primi in Italia, andava trascrivendo da codici conservati nella Biblioteca Marciana. In seguito il rapporto di amicizia e di lavoro si intensificò e durò fino alla morte di Fogazzaro (1911).

Da una lettera di Tebaldini allo scrittore si può comprendere da dove abbiano tratto origine alcune idealità che hanno informato la sua attività artistica e il suo stile di vita:

 

Venezia 5 Febbrajo 1891 – Frezzeria 1730

Illustre Signore,

Nell’accingermi a dettare questa lettera, provo una trepidanza quale raramente mi si è suscitata nell’anima. Ella non può credere quanto il suo nome e le sue opere, lette da me con avidità, rilette con gioia intima, quasi con sublime trasporto, abbiano influito sulla mia esistenza, negli studi e negli affetti, come sul sentimento e sul pensiero. Se verrà un giorno in cui mi sarà dato di poterle narrare quanto è avvenuto in me, ed intorno a me dopo la prima lettura di Daniele Cortis, Ella certamente dovrà credere che pel bene operato sul mio spirito dall’arte sua, io non potrei sentirmi trascinato che a protestarle in ogni momento la mia gratitudine.

Oggi però può prestar fede alla mia parola se le ripeto che lo stesso sentimento è quello che mi ha trascinato a compiere buona parte del viaggio da Lei descritto nel Mistero del poeta, Al solo intendimento, dirò di più, pel solo bisogno di prolungare, anzi di rafforzare quella vaga, ideale e sublime sensazione che l’opera sua avea destato nell’animo mio.

Da Eichstätt avrei voluto scriverle, ma non ebbi il coraggio…Era una sera d’agosto del 1889: bella, limpida, malinconica come il paesaggio che mi circondava. …Cosa provassi in quel momento non so ripeterle. Ricordo però che dopo brevi momenti mi destai come da un letargo, cogli occhi gonfi, con una strozza alla gola, con un desiderio vivo di piangere e di fantasticare. Se in quel momento le avessi potuto parlare o scrivere, Ella avrebbe facilmente indovinato in me quella profonda commozione, pur così dolce ed inebriante.

Questo è l’ascendente che può esercitare sullo spirito l’arte vera, quell’arte che nel concetto dell’uomo ha un significato ed un’espressione superiori alla comune della pura forma  letteraria o del solo piacere morbosamente psicologico. C’è qualche cosa di più alto ancora oltre a questo, ma di tali sensazioni disgraziatamente la nostra povera generazione non è così facilmente suscettibile, sia quella che crea, come l’altra che legge.

La mia anima si è aggrappata ad un ideale sereno di vita, d’arte, di religione, soltanto dopo aver lette le opere sue. Con Valsolda e Daniele Cortis ho attraversato l’Italia. Potrei dire che ogni nuova e più grande sensazione provata passeggiando per la Toscana, l’Umbria, il Lazio e la Campania, ammirando arte e natura dal poggio Michelangelo sul Viale dei Colli, dal Pincio, dal Gianicolo, dalla riviera di Chiaja o da Chiatamone, si fonde con una poesia o con un capitolo del suo romanzo.

Allorquando vinto da un solo pensiero, quello di dedicarmi ad un ramo d’arte e negletto – la musica sacra secondo le antiche tradizioni e l’ideale liturgico – viaggiai alla volta della Germania, l’animo mio era tutto rapito nella lettura di Miranda e del Mistero del poeta.

Passai lunghi mesi fra i libri; le notti insonni, chiuso nella mia piccola casetta in riva al Danubio ed in faccia al maestoso e classico Walhalla. Compagni miei erano Palestrina, Bach, Beethoven, Wagner, Dante, Goethe, Heine, Schumann, Leopardi e Fogazzaro. Non creda le dica questo per cortigianeria: È la verità. Chiuso nella mia cella, l’occhio vagava smarrito sull’orizzonte di neve che mi si offriva innanzi, ma un desiderio faceva capolino man mano nel mio cuore. Ripetere il di Lei viaggio. Venne la primavera, e dall’alto della Befreimgshalle, rimirando il piccolo e limpido corso dell’Altmuhl, pregustavo la gioia di quel momento in cui avrei potuto percorrere il Giura di Franconia col di Lei romanzo per compagno di viaggio. E così avvenne. Dopo le vaghe, indescrivibili emozioni provate a Bayreuth, corsi  a Norimberga, ad Heidelberg, poi ad Eichstätt. Avrei voluto completare il mio viaggio, ma il tempo mi mancava. Un caso che oggi, per molte ragioni reputo fortunato, mi obbligò a ritornare d’improvviso in Italia, per l’impegno che avea assunto in questa cara Venezia, che sotto alle cupole dorate di S. Marco, doveva diventare il campo delle mie lotte quotidiane, per l’ideale d’arte che tutto mi occupa.

Ma ogni qualvolta ripenso al passato, è con dolore che mi tornano alla mente i disinganni patiti, per troppo amore di idealità. Lo scetticismo – come un tempo – vorrebbe impossessarsi ancora di me; la voce dell’indifferenza mi dice che è un assurdo quell’ideale che io avea sognato, intraveduto leggendo le opere di Antonio Fogazzaro. Ma se per poco quelle opere mi tornano sotto mano, allora i primi e più forti sentimenti mi vengono dominando.

In uno di questi momenti ho voluto provarmi a musicare alcune delle sue poesie. A riuscir degno di Lei non posso aspirare certamente. Tuttavia la mia povera anima rispecchia con sincerità il sentimento che mi anima alla lettura di quei versi. Se non fosse troppo ardire il mio, vorrei pregarla di qualche verso sul soggetto della leggenda dell’anima pellegrina narrata a pag. 75 nel Mistero del poeta. Mi pare che vi si potrebbe architettare della musica. La ringrazio sentitamente della gentilezza con cui ella m’ha accolto in casa sua. Le dico il vero! Le romanze non furono che un pretesto per avere il mezzo di arrivare sino a Lei, e di poterle ripetere quanto io debba alle opere sue.

In una delle romanze che mi permetto inviarle troverà riferito un motto latino del Daniele Cortis. Devo dirle che esso in una circostanza della mia vita fu la mia professione di fede. E quella professione rispettai, osservai, sebbene attraverso a dolori, a sofferenze, a lotte, ad umiliazioni.

Le sarò grato se vorrà farmi conoscere in qual tempo Ella sarà a Venezia acciò possa preparare per Lei una esecuzione in S. Marco di musica antica. Devotamente  Giovanni Tebaldini.

 

[P. S.] Di più devo pregarla del titolo delle due romanze, affinché il pittore che le illustrerà possa mettersi al lavoro, desiderando pubblicarle presto per un impegno assunto. Perdoni questa indiscreta confessione che l’avrà annoiata alquanto.

 

Il 16 giugno 1942, per il centenario della nascita di Fogazzaro, a Vicenza Giuseppe Villaroel fu chiamato per la commemorazione, Luigi Orsini declamò alcune liriche e si tenne un concerto in cui furono eseguite quattro liriche di Tebaldini tratte da Miranda e da Il mistero del poeta, unitamente a sonate di Bach e Beethoven, i compositori più amati dallo scrittore. In precedenza, in una lettera datata 28 agosto 1940, indirizzata alla sua amica veneziana Maria Villari Nono (nipote del pittore Luigi Nono), Tebaldini aveva confermato la stima per Fogazzaro:

 

[…] Sto rileggendo un po’ di Fogazzaro. Tengo sott’occhio il volume dettato su di lui da Molmenti… Si parla del Vicentino quale filosofo. Alcune delle sue idee (specie politico-sociali) sono oramai entrate nella vita militante. Ma altre furono discusse aspramente allora, ed oggi ancora si presentano assai vulnerabili. Proprio così! Esse diedero arma affilata nelle mani di quell’ignorante clericalismo che Egli si proponeva di combattere. Non solo. Ché per la stessa via ebbe feroci oppositori pur nel campo dei… materialisti. Insomma “a Dio spiacente ed a’ nemici suoi”. Io però rimango fedele al romanziere ed al poeta. Ma ha letto nel “D’Annunzio intimo” di Antongini cosa pensasse l’Immaginifico di Fogazzaro? Gli preferiva Guido da Verona…!! Ma qui mi fermo per non dar troppo fastidio ai Signori della Censura obbligandoli a leggere la mia filastrocca. Forse a quest’ora mi avranno mandato a quel paese... […]

 

E in altra lettera del 1° marzo 1940, inviata a Ildebrando Pizzetti, così si esprimeva:

 

[…] L’arte di Fogazzaro potrà anche – sotto certi aspetti – essere discutibile. I suoi criteri morali – presi in senso ortodosso – apparire vulnerabili, ma nelle sue opere l’arte c’è. Un mistico sensuale? Anche questo può esser vero. Ma non è ciò nella stessa natura degli uomini, da Sant’Agostino a San Francesco? La persona però era tale da accattivarsi affetto e venerazione. Sono stato secolui in relazione per venti anni (un giorno capitò anche a Parma). Fui a casa sua a San Bastiano di Vicenza, a Seghe di Velo, e mi inspirò sempre grande rispetto. […]

 

Nel settembre del 1942 Tebaldini dettava, per il quotidiano “L’Italia” i suoi ricordi fogazzariani, pubblicati in due puntate, che vengono riprodotti più avanti.

 

Di recente l’Accademia Olimpica di Vicenza ha pubblicato il volume “Io ti baciavo in sogno. Fogazzaro e i suoi musicisti”, a cura di Oreste Palmiero. In esso sono riportati carteggi con M. E. Bossi, G. Coronaro, P. A. Tirindelli e, naturalmente, Tebaldini. Alcune loro composizioni su testi di Fogazzaro sono state eseguite il 27 gennaio 2005, pressola Sala dei Concerti del Conservatorio di Vicenza nell’ambito di una Tavola Rotonda su “Fogazzaro e la musica”, con interventi critici di noti studiosi.

______

 

1.  Antonio Fogazzaro (Vicenza, 1842 – ivi, 1911), scrittore tardoromantico, si interessò dei drammi interiori dell’uomo accogliendo le idee del modernismo. A Milano entrò in contrasto con gli scapigliati. Esordì con la raccolta in versi Miranda (1874), a cui fece seguito Valsolda (1876). Piccolo mondo antico (1895) divenne il suo romanzo più famoso preceduto da Malombra (1881), Daniele Cortis (1885), Il mistero del poeta (1888). Il Santo (1905) fu messo all’Indice dall’autorità ecclesiastica alla quale successivamente lo scrittore fece atto di sottomissione.

 

 

I N C O N T R I

Antonio Fogazzaro nei ricordi di un musicista

I.

 

Erano gli anni delle vaghe lontane speranze quelli di cui si rievoca oggi nelle colonne de l’Italia qualche vicenda, specie pei giovani intellettuali e spirituali di allora, italiani nell’anima, accesi dal desiderio di servire con fede il proprio Paese e con fervore gli ideali dell’Arte da essi professata.

L’opera letteraria di Antonio Fogazzaro, anche per vie sentimentali, aveva contribuito ad accendere la loro fantasia, ad infiammare i loro cuori, a rafforzare i loro propositi. A Milano nel 1881, nella ricorrenza del Giubileo Episcopale di Mons. Calabiana, quale corollario di una celebre Omelia tenuta in Duomo da Mons. Bonomelli, ad iniziativa di pochi sognatori, appare un giornale cattolico conciliatorista che però ha breve vita. Quella dello Spettatore non rimane che la evangelica vox clamantis in deserto.

Sono, infatti, passate le prime avvisaglie, il quotidiano cattolico scompare. E si comprende. Talune collettive evoluzioni dello spirito – specialmente in ore combattute – non sempre si possono attuare per salti, bensì – come nel contrappunto in musica – per gradi congiunti.

In quegli anni lontani, sulla scena della vita milanese, si trovano accosto l’un l’altro, Gaetano Negri futuro sindaco della Città, oratore eloquentissimo, di parte cosiddetta moderata, ma filosofo ateo, il quale raccoglie attorno a sé il fior fiore della aristocratica apparente intellettualità; Felice Cavallotti di fervidissimo ingegno, forte d’una classica cultura assai rimarchevole, ma – guidato dalla piazza come Rabagas – tutto pervaso di settarismo massonico; Antonio Stoppani, scienziato illustre, che in un campo suscita profonda ammirazione, mentre nell’altro solleva diffidenze, ripulse e polemiche vivacissime; Ausanio Franchi (Cristoforo Bonavino) che nelle sue lezioni di Storia della Filosofia tenute all’Accademia Scientifico-Letteraria dapprima seguace di Kant, preludendo all’Ultima Critica, già accenna al suo ritorno sulle vie tracciate dall’Aquinate.

Ed ancora si trova in primo piano Paolo Ferrari, il quale, dopo Il Suicidio, dopo Goldoni e le sue sedici commedie, dopo La Satira e Parini, se pur silenzioso, dalla cattedra di Letteratura Italiana da lui occupata nella stessa Accademia, è guardato con grande rispetto.

Quei che narra, come lo scugnizzo di Salvatore di Giacomo, sgaiattola un po’ dappertutto per ascoltare or l’uno or l’altro: dal Salone dell’Alessi al Teatro Manzoni: dall’Accademia al Caffè Martini: dal Museo dei Giardini Pubblici al Circolo Filologico di via Silvio Pellico.

Durante i mesi d’estate, e nelle ore più calde, nella deserta Sala di lettura del Circolo stesso, ha occasione di accostare un frequentatore assiduo della sala col quale, tratto tratto, scambia qualche parola, qualche lieve accenno ai fatti del giorno. Chi sia quel signore, il nostro amico scopre più tardi a Monaco di Baviera quando leggendo l’annuncio della morte di un illustre professore dell’Università di Pavia vede, in alcune riviste italiane, riprodotta la sue effige: Contardo Ferrini.

Una bella galleria di personaggi illustri, adunque, quella che percorre il neofita musicista, ex alunno espulso dal R. Conservatorio, oggi immerso per la prima volta nella lettura del Daniele Cortis.

Il cammino ideale dalla metropoli lombarda ai colli berici che circondano Vicenza e verso cui si sente come sospinto, non gli riesce difficile. Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum va egli cercando la sorgente ristoratrice quale il protagonista del romanzo fogazzariano sta creando attorno a sé. Una voce arcana, quella interrogata dal Poeta di Valsolda, sembra giungere all’orecchio della sua anima: “prega, lavora, pensa Iddio, l’Ideal, sii puro”.

Nell’ora nella quale trionfano Zola e Stecchetti, Daniele Cortis appare quale affermazione di alta e coraggiosa concezione morale, sia nella vita sociale che nella vita politica italiana.

Dopo il dramma che l’ha avvolto, al momento di decidere delle proprie azioni, “rimasto solo, Cortis sorge in piedi, incrocia le braccia, guarda di fronte l’immagine del padre e ripete forte: Ecco!”. Questo il monito e l’incitamento pei giovani volenterosi di quella prima ora: credere in Dio; obbedire alle Sue leggi; combattere per l’Idea!

 

***

Nella primavera del 1888, in Nuova Antologia, Fogazzaro pubblica Il mistero del Poeta. Il nostro giovane amico – forse tutt’uno con l’azzeccagarbugli del Nido di memorie – legge avidamente fissandosi nel proposito di riuscire a seguire il protagonista del nuovo romanzo nel suo viaggio sentimentale sulla via da lui percorsa. Né soltanto; ché accarezza pure la speranza di poter dare suono musicale a’ suoi versi. Varcato il Brennero, soffermatosi ad Innsbruck, eccolo in breve “fra le verdi solitudini dell’Englischer Garten di Monaco, tutte placido sole e sfondi nebbiosi, tutte vive d’ali per le ombre e di trilli”.

Si inoltra poscia alla volta di Regensburg e di Bayreuth onde contemplare le monumentali concezioni musicali costruite da Palestrina attraverso il secolo XVI e da Wagner in pieno Ottocento.

Giunge in seguito a Norimberga sotto i tozzi baluardi della Frauenthor e di là, per la Königsgasse, all’albergo “Zum rothen Hahm”.

Mentre corre sulle tracce del misterioso poeta, il nomade musicista entra nella Chiesa di Santa Caterina, arriva alla spianata in riva al Pegnitz ove si svolgevano le tenzoni dei maestri cantori: dalla Casa di Albrecht Dürer si porta alla Wurstkiiche di Hans Sachs, il calzolaio poeta: dalla luminosa Lorenz Kirche, ove si aderge la guglia del Sacramentario di Kraft, passa alla gotica Nassauhaus. Si aggira di poi per le ampie sale del Museo Germanico innanzi alla statua di Orlando di Brema: innanzi al grande quadro di Kaulbach che rappresenta il giovane Ottone III, dopo un banchetto in Aquisgrana, irrompe co’ suoi compagni d’orgia e per un capriccio di ebbro nella tomba del grande imperatore Carlo.

Gli sembra allora di udire il Dr. Topler chiedere notizie al poeta incognito incontrato – crede egli – per caso de la sua patria. “Italia? Ille terrarum mihi praeter omnes angulus ridet”. E il viaggio sentimentale anche pel nomade musicista prosegue. “Fra i poggi boscosi e i prati che ridono al sole nel mattino vaporoso”, percorrendo la queta valle dell’Altmühl arriva ad Eichstätt, cittadella del Giure di Franconia, allo stesso albergo dell’Aquila Nera che ebbe ad ospitare il poeta di Antonio Fogazzaro. Mettendo sott’occhi dell’attonito proprietario del Gasthaus il romanzo italiano in cui si parla del suo albergo, chiede di poter alloggiare nella medesima stanza che presumibilmente – l’11 maggio 1872 – occupò il protagonista di detto romanzo.

Ottenutala, il nostro avventuroso amico può egli pure fantasticare rievocando col poeta del mistero (11 agosto 1889): “O luna tedesca, com’eri grande e spettrale quella sera in faccia a me fra i tetti di Eichstätt”. Tenta allora di abbozzare una breve lirica su la quartina cui Fogazzaro, udita la musica, doveva dare per titolo: Incanto del poeta. “Palpito, fuoco, amor diventa verso”.

La finestra dalla quale il pellegrino lombardo – come quei che lo precedette – a notte alta si affaccia, guarda il fianco della fontana di San Villibaldo, e a poco a poco, la figura benedicente del mansueto vescovo, con i piedi nell’ombra e la testa nella luna si mescola a’ suoi sogni.

 

***

Un anno dopo [1890], propizia circostanza conduce il nostro vagante amico da Venezia, ove ha preso dimora, a Monte Berico di Vicenza. Nella vita, sul colle di San Bastiano, da persona a lui carissima, è presentato a Fogazzaro. Questi si interessa, non solo, ma si commuove nell’apprendere che un giovane avventuroso, e nella vita combattuto, si è sentito idealmente conquiso dal suo ultimo romanzo sino a ricercare e seguire le tracce del protagonista di esso attraverso la Baviera. Alle parole di ammirazione e di ringraziamento che il giovane musicista gli rivolge, Fogazzaro risponde: da Vicenza il 6-2-’91

“La sua cara lettera mi commuove. Se Lei vedesse il mio cuore saprebbe quanto mi tengo a Lei obbligato per il gran bene che mi fa raccontandomi tali effetti de’ i miei libri. Il merito mio, lo so, è ben minore di quanto Ella pensa. La luce entrata nell’anima sua non è venuta dagli scritti miei, bensì è passata, a caso, per essi, e questo li ha fatti cari a Lei per sempre, li ha per sempre congiunti, nella Sua mente, con un sentimento buono. Questo è già un grandissimo premio per me che il mio pensiero si associ, in qualche anima combattuta, a sentimenti buoni, questa è la sola compiacenza cui tutto mi abbandono, nella quale riposo. Continui a volermi bene”.

E qui propone diversi titoli per le varie liriche create dal nostro giovane amico sui versi del Mistero del Poeta:

“Come un vivo sepolto che tenta – Spasimando la pietra e s’avventa – A un lume subito – sia:

“Tempesta d’amore”.

Dovendosi portare a Venezia, Fogazzaro chiede senz’altro di poter assistere agli esperimenti della “Schola Cantorum” di San Marco che ha sede a San Giacometto di Rialto alla quale attende appunto… quei che narra.

La visita ha luogo precisamente in una domenica d’aprile del 1891.

Nella lettera che segue la fiducia e la confidenza del celebre letterato verso il giovane musicista sempre più si ribadiscono:

 

Vicenza 6-5-’91

Caro Maestro

Ella è molto buono per me e troppo buono per i miei libri. Non bisogna tentare la gente di orgoglio! Però se non posso prendere in coscienza tutta la sua ammirazione, prendo tutto il suo affetto che mi è carissimo. [Il titolo: a corsa ne la notte intesi proporlo appunto per i versi: il treno va e tuona. Sugli altri: Ecco superbo ecc. visto anche il titolo generale proporrei: Ebbrezze de l’anima.

Mi farebbe piacere se musicasse anche questi versi: “Sorge la luna e l’oro brilla nel fiume nero, ecc.”

Si potrebbero intitolare Rheingold o Il tesoro del Reno… meglio così forse in italiano. […]

Spedii subito appena pubblicata la mia Memoria a Freising. […]

Desidero tanto avere occasione di riudire la sua “Schola”.

La Memoria di cui fa parola Fogazzaro in questa lettera riguardava precisamente la dibattuta teoria da Lui esposta e sostenuta nelle sue conferenze, ne’ suoi discorsi, negli scritti, nel volume “Ascensioni umane” ed in altri ancora, sulla evoluzione della specie: teoria azzardata, pericolosa, giustamente respinta dalla fondamentale dottrina cattolica e che doveva generare tante controversie sino ad arrivare alla condanna.

Al Seminario di Freising risiede il Reverendissimo professore Grassmann il quale – in uno studio assai profondo premiato dall’Univeristà di Monaco – ebbe a trattare egli pure de La Creazione, Sant’Agostino e Darwin. Dal nostro vagabondo amico, che nelle sue scorribande aveva avuto modo di avvicinare il Rev.do Grassmann, segnalata a Fogazzaro questa coincidenza, ne viene di conseguenza l’invio della Memoria di Lui già data alle stampe.

Fu quello un momento assai difficile nella vita del Vicentino. Come poscia, nel 1906, ebbe contro di sé amici e nemici.

Chi non ricorda le feroci invettive di Vincenzo Morello (Rastignac della Tribuna) gridate super tecta, e le banali interrogazioni presentate alla Camera dei Deputati dal socialista Onor. Borciani, perché Fogazzaro, membro del Consiglio Superiore dell’Istruzione, aveva fatto atto di sottomissione ai Decreti del Sant’Uffizio?

Ma l’autore di Daniele Cortis, il creatore di Franco Maironi, in quell’ora tanto combattuta avrebbe potuto rispondere: “Sì! Io vivo della forza della mia debolezza! In silentio et in spe erit fortitudo mea!

 

Giovanni Tebaldini

 

(da “L’Italia”, 8-9 settembre 1942)

 

 

 

I N C O N T R I

Antonio Fogazzaro nei ricordi di un musicista

II.

 

Nel maggio del 1895 per Antonio Fogazzaro suona un’ora tragica. Il diletto figliuolo Mariano, degno del nome illustre che porta, studente all’Università di Padova, si ammala gravemente. È portato a Vicenza; in capo a pochi giorni muore.

Quale colpo pel genitore, improvvisamente e crudelmente messo a sì dura prova alla scuola del Dolore!

I segni di tanto strazio rimangono in Lui indelebili.

I biografi hanno narrato in proposito particolari sui quali tuttavia – da queste colonne – non è il caso di tornare.

La corrispondenza col giovane musicista, nel periodo luttuoso, si rallenta, ma nella successiva primavera riprende, sì che questi, in un sorridente pomeriggio domenicale, cortesemente invitato ed atteso, da Padova si porta alla villa di Velo d’Astico – la Villa di Daniele Cortis – ove presso l’ospite illustre si intrattiene in cordiali colloqui, velati assai spesso – ed è spiegabile – da dolenti rimembranze.

Accennano entrambi alle liriche del Mistero del Poeta di prossima pubblicazione, per alcune delle quali però l’autore si sente esitante.

Fogazzaro gli aveva scritto: “Mi farebbe piacere se musicaste questi versi: “Sorge la luna e l’oro brilla nel fiume nero ecc. Si potrebbero intitolare Rheingold o Il tesoro del Reno; meglio così, forse, in italiano”. Ma il musicista confessa: “ci sono dei precedenti che preoccupano: Melusina di Mendelssohn, Loreley di Liszt: soprattutto, Rheingold di Wagner; come sfuggire a questi confronti?”.

Ma Fogazzaro, quasi continuando per lettera un discorso già avviato, il 27 novembre 1896 gli scrive: “Ottimo e caro amico: Faccia, faccia! Ella non ha più bisogno di alcun permesso. Ne’ sarò io l’uomo che le farà rimprovero d’impiegare tempo in un lavoro d’artista… La ringrazio d’avermi mandato il programma delle esecuzioni, al santo. Avevo risoluto di venire col maestro Coronaro, ma venire a Padova mi costa sempre molto e all’ultimo momento mi mancò il cuore. Adesso me ne rincresce. Quando si faranno altre simili esecuzioni abbia la bontà di mandarmi i programmi. Una volta o l’altro mi deciderò e verrò”.

E l’occasione si offre, precisamente nella domenica 17 giugno successivo [1897] in un’annua ricorrenza, alla Basilica del Santo celebrata solennemente.

Per Fogazzaro che aveva manifestato il desiderio di penetrare più intimamente nell’arte di Roberto Schumann, la Cappella Antoniana, in quel giorno, eseguisce il Sanctus – così pieno di mistica dolcezza – della Messa dello sventurato compositore finito quasi tragicamente nel manicomio di Endenich.

E nella dimora del direttore della Cappella medesima, nei pressi di Santa Sofia, quella domenica Antonio Fogazzaro accanto al pianoforte dell’ospite, trascorre in ascolto brevi ore serene e tranquille.

Coincidenza che merita esser rilevata. Nello stesso giorno 17 giugno – come narra Tommaso Gallarati Scotti a pag. 300 de “La vita di Antonio Fogazzaro” – il Vescovo Bonomelli indirizza al Poeta una lettera, divenuta quasi istorica del pari che la risposta in data 19, di cui è argomento il forte discorso tenuto dal Fogazzaro a Vicenza in occasione dell’inaugurazione di un busto del Conte di Cavour; discorso che ebbe “larghissima eco di ammirazione, di consensi e di polemiche” perché esplicitamente auspicante quella conciliazione fra Stato e Chiesa che soltanto trentadue anni più tardi doveva realizzarsi.

Alcune settimane appresso, musicando Fairyland – dal Mistero del Poeta – il compositore si trova dinanzi ad un intoppo; quello “stupido io miro la via – che sale gira e si perde” lo rende perplesso. Chiede spiegazioni a Fogazzaro il quale gli risponde da Valsolda il 9 settembre: Stùpido va bene. Non è nel tempo in cui l’antico torna in onore che si può fraintendere quel vocabolo. Stupido è stupefatto, ma un po’ meno carico di stupore”.

E la lirica esce senz’altro per la stampa pubblicata da Casa Ricordi.

 

***

Qui si salta un decennio. Il musicista nel frattempo cammina fra sterpi, rovi e spine; cammina dalla rive del Bacchiglione a quelle del Taro, per confinarsi poscia presso il Musone ed il Potenza accosto all’Infinito leopardiano.

Tale la sua sorte.

In un libro di Memorie su la giovinezza di Ildebrando Pizzetti al Conservatorio di Parma, è narrato come alcuni anni di quel decennio, pel musicista che conosciamo, siano trascorsi in aspre battaglie artistiche e morali.

Erano i tempi di Nunzio Nasi al Ministero della P. I. e delle cricche radico socialiste massoniche, demagogicamente imperanti nelle principali città d’Italia. Non è il caso di ripetere né di documentare, ma soltanto di ricordare.

Anche pel nomade musicista, confinato su un luminoso colle in vista dell’amarissimo adriatico mare, suona l’ora di un primo grande dolore; la morte di una diletta figliuola quindicenne [Lina].

Fogazzaro il 23 dicembre del 1907, pur sotto l’impressione della storica Enciclica che aveva condannato in pieno modernismo verso cui Egli sembrava essersi un’altra volta piegato, scrive ai genitori della defunta figliuola queste significative parole di conforto: “Iddio li consoli aiutandoli a trarre da questo grandissimo dolore tutto il bene che ogni dolore porta con sé alle anime disposte ad adorarne la divina sorgente”.

Compreso adunque, in tutto e per tutto, di questa altissima verità che forma la forza e l’orgoglio delle anime veramente cristiane: la divina sorgente di ogni affetto e di ogni dolore! Quale più nobile professione di Fede?

Il giorno seguente la vigilia di Natale all’amico T.[omaso] G.[allarati] S.[cotti] Fogazzaro scrive: “Preghiamo umilmente che Dio ci aiuti a operare da umili di cuore nel modo che a Lui Somma verità piace. E perdoniamo ai nostri offensori, e così molto sarà perdonato anche a noi… Suona mezzanotte; è Natale. Niente o divino Maestro, ci separi da Te”.

Ascoltando il suono di queste parole non sembra forse di riudire gli accenti paradisiaci della Va Beatitudine di quella angelica anima che fu César Franck?

Dopo una seconda parentesi di tre anni il nostro esule e nomade amico, che è poi tutt’uno col rejetto lontano allievo del Conservatorio di Milano, ha modo di fare il nome a Fogazzaro del suo già ricordato discepolo ormai avviato verso la più sicura affermazione: Ildebrando Pizzetti, autore sin’allora delle musiche per la Nave di d’Annunzio e di scritti critici giudicati d’alta importanza.

Fogazzaro risponde con questa ultima lettera.

Venezia, 3 del 1911

“Caro amico

Leggerò con vivo interesse l’articolo del M.o Pizzetti e non occorre dirle, spero, quanto mi farebbe piacere una sua visita. Voglia indicarmene il giorno con qualche anticipazione. La mia convalescenza non è ancora chiusa e passo le giornate in casa; ma spererei ridiventar presto libero di me e farei allora qualche cosa fuori di città”.

Purtroppo siffatta speranza divenne e rimase per tutti una tragica delusione. Il 7 di marzo l’anima di Antonio Fogazzaro tornava a Dio, al Dio Sommo Bene cui Egli si era votato con tanta confidenza e con sì dolce abbandono.

 

Giovanni Tebaldini

 

(da “L’Italia”, 22 settembre 1942)

  

 

Antonio Fogazzaro, estimatore di Tebaldini

 

 

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