ADOLFO DE CAROLIS
Una quindicina di lettere di Giovanni
Tebaldini al pittore Adolfo De Carolis1,
conservate presso l’Archivio Storico della Galleria d’Arte Moderna
di Roma, forniscono informazioni sulla biografia di entrambe le
personalità.
[…] Quando nella primavera del 1908, inaugurandosi a Loreto la cupola dipinta da Cesare Maccari, incontrai per la prima volta Adolfo De Carolis, i nostri colloqui si portarono d’un tratto sul terreno dell’Arte antica e su quello dei Maestri che la professarono. E divenimmo amici solidali: in diverso campo, ma coi medesimi ideali. Bei tempi quelli, se pur tanto difficili ed insidiati. Belli, perché ci permettevano di agitarci e di lavorare, raggiungendo qualche meta, vicina o lontana, ma con le sole nostre forze, corazzate di Fede. Non disse Leonardo all’affezionato discepolo Melzi: e se sarai solo, sarai tutto tuo? E noi, per un certo tempo, rimanemmo soli. Non Lui, l’Amico, il Maestro, già arrivato; ma chi lo amava e lo seguiva. […] Coloro i quali abitualmente sono tratti a vivere nel mondo delle loro piccole visioni, si saranno domandati: “e come poteva il De Carolis, giunto a maturità e ad alta fama, badare alle intraprese cervellotiche ed ai sogni di visionari dai più avversati ed abbandonati? Qui appunto sta il merito di De Carolis, da me sentito nell’anima sino dai giorni dei nostri primi incontri. Ecco perché sovente ci cercammo e ci sorreggemmo a vicenda. Egli, ancora nei primi anni di sua vita artistica, si sentì dominato, soggiogato, avvinto dal grande Cinquecento! Michelangelo il suo faro luminoso. In quel tempo stesso alcuni di noi si sforzavano di riaccendere la fiamma della fede – quasi spenta – dinnanzi all’altare ove nel campo musicale grandeggia l’emulo di Michelangelo: il tiburtino Giovanni Pier Luigi da Palestrina. In quelle ore di accesa propaganda, anche se dai più avversata perché incompresa, mi accostai diverse volte ad Adolfo de Carolis: a Bologna, a Roma, a Milano, a Loreto, a Ravenna e da lui, sempre accolto fraternamente, ebbi prove di ideale comprensione… […] Ho detto che sin da quando ci incontrammo le prime volte i nostri discorsi e le nostre indagini ci portarono d’un tratto sul terreno della grande Arte cinquecentesca, soprattutto vocale e corale. Egli comprendeva, sentiva e si innalzava, tutto fondendo – magari anche con le più grandi visioni pittoriche – in un quadro di bellezza incomparabile. E da allora, ripeto, lo ebbi vicino in più occasioni, anche ad incitamento delle mie fatiche. Al Centenario Dantesco di Ravenna per l’illustrazione al contenuto concettuale della Divina Commedia con Palestrina. Nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo. Con Dante. Lui solo! Come si accese di passione il De Carolis al mottetto “Vidi turbam magnam” che lo portava con l’immaginazione dinnanzi agli abbozzi di Sandro Botticelli ed al Paradiso di Tintoretto! E come si seguì trepidante nel grandioso ed inspirato Offertorio “Dextera Domini fecit virtutem, Dextera Domini exaltavit me” col quale si chiude il Purgatorio! Michelangelo e Palestrina sotto le volte della Sistina esaltanti la grandezza del Dio vivente. […]4
In casa di Brigida Novelli, figlia di
Tebaldini coniugata a San Benedetto del Tronto, si parlava della
proverbiale bellezza e della gentilezza della Signora Lina, moglie
di De Carolis, che egli era andato a cercare ad Anticoli. Da modesta
fioraia, il pittore l’aveva portata a Roma, facendola divenire la
modella preferita. Si raccontava dei giochi sulla spiaggia con
Donella, Adriana, Eleonora, figlie dell’artista (l’ultimogenito
Carlo non era ancora nato); di come Adriana si fosse innamorata di
un allievo di suo padre, Diego Pettinelli, che aveva sposato; dei
grandi affreschi da De Carolis realizzati - a volte con la
collaborazione del fratello Dante e degli allievi Antonello Moroni e
Bruno da Osimo - nella villa Brancadoro a San Benedetto,
all’Università di Pisa, nel Palazzo del Podestà a Bologna, nel
Salone del Palazzo del Governo ad Ascoli Piceno, nella Cappella di
San Francesco a Padova che non aveva potuto terminare... _____
1. De Carolis (De Karolis) Adolfo (Montefiore dell’Aso, Ascoli Piceno, 1874 – Roma, 1928), pittore, xilografo e fotografo. Fu allievo di Ferri all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Frequentò, a Roma, la Scuola di Decorazione Pittorica con il maestro Morani. Nel 1901 sposò Lina Ciucci, sua modella preferita. Tra il 1897 e il 1904 dipinse Villa Brancadoro a San Benedetto del Tronto. Alla fine del 1900 divenne amico di Pascoli per il quale illustrò le copertine delle edizioni. Dal 1901 insegnò ornato all’Accademia di Firenze. Importante il sodalizio con D’Annunzio. Per lui curò alcune scenografie di rappresentazioni teatrali e le incisioni per La figlia di Jorio, Francesca da Rimini e Le laudi. Lavorò anche per Papini illustrando il “Leonardo”. Collaborò ad altre testate. Decorò importanti edifici pubblici a Pisa, Ascoli Piceno, Bologna, Padova. Realizzò una famosa xilografia col ritratto di Dante Alighieri per le rievocazioni di Ravenna del 1921. Inoltre, affrescò la Cappella di San Francesco nella Basilica del Santo a Padova e, nel 1920, la Cappella di Villa Puccini a Torre del Lago.
2. Mussini Augusto (Reggio Emilia, 1870 – Roma, 1918), spirito instabile e piuttosto ribelle, ebbe una vita avventurosa. Fu socialista militante e, dal 1903, frate cappuccino con il nome di Fra’ Paolo, in omaggio a Paolo Uccello. Ogni tanto lasciava il saio per inseguire amori impossibili. I confratelli paternamente lo aiutavano a superare le crisi esistenziali e lo riaccoglievano tra loro, riconoscendone il genio artistico. Studiò pittura alla Scuola di disegno per operai di Reggio Emilia, alla Scuola libera del nudo e all’Accademia di Francia di Roma. Ebbe varie committenze in ville private e chiese. Tra l’altro, dipinse la Chiesa di Santa Maria in Solestà, annessa al Convento dei Cappuccini, ad Ascoli Piceno e due pale d’altare per Quintodecimo di Acquasanta (AP). Partecipò ad importanti esposizioni internazionali, tra cui diverse edizioni della Biennale di Venezia e la Biennale d’Arte Sacra di Parigi.
3. Maccari Cesare (Siena, 1840 – Roma, 1919), pittore. Dopo aver studiato a Siena con Paolo Mussini, soggiornò a Firenze e Venezia, stabilendosi infine a Roma. Affrescò la Sala del Senato a Palazzo Madama e parte del coro della Basilica Lauretana. Lasciò, invece, incompiute le pitture al Palazzo di Giustizia della Capitale.
4. Il testo del discorso è conservato presso la Biblioteca Antoniana di Padova, dal momento che Tebaldini in quella circostanza rappresentava anche il Presidente della Veneranda Arca del Santo.
Illustrazione di Adolfo De Carolis donata a Tebaldini in occasione delle celebrazioni di Ravenna per il VI Centenario Dantesco (proprietà Gianfranco Vicinelli, Milano)
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