ARRIGO BOITO

 

Giovanni Tebaldini incontrò per la prima volta Arrigo Boito1 al Teatro Grande di Brescia, in occasione dell’andata in scena di Mefistofele. Era la Stagione di Fiera del 1878 e, in una memoria di settant’anni più tardi, così ricorda l’evento:

“Boito, trentaseienne, era presente. Alto, biondo – il biondo poeta del Rovani – non peranco uscito dal pelago delle lotte artistiche sostenute in difesa de’ suoi ideali, nel nostro ambiente cittadino destava, più che interesse, curiosità. Anche a Brescia lo si considerava come uno stravagante, come un compositore fallito o quasi e lo si ammirava con poca o nessuna convinzione. Mefistofele, infatti, nel 1878 non conseguì al Grande che esito incerto, e non riportò che un successo apparente. Questo per la verità!

Quegli che detta le presenti memorie, nel 1878, quattordicenne, poiché era in grado di leggere correntemente la musica, sia cantando, sia stando innanzi alla tastiera del pianoforte o dell’organo (era stato ed era allievo dei maestri Paolo Chimeri e Giovanni Premoli), venne scritturato, dapprima come guida nelle prove del Chorus mysticus del Prologo e dell’Epilogo, indi quale accompagnatore all’harmonium dietro la nebulosa. Dirigeva superbamente Franco Faccio, presente l’Autore.

Era spiegabile, per conseguenza, che il ragazzo, musicista in fieri, stando quasi in permanenza sul palcoscenico, seguisse timidamente, ma avidamente nei suoi passi il Maestro illustre spiandone furtivamente, con ammirata devozione, le mosse e cogliendo, inoltre, il significato de’ suoi occasionali discorsi con le persone che lo circondavano.

Sia nei giorni delle prove, che in quelli delle prime rappresentazioni, Boito si accorge dell’adolescente fanciullo che gli sta… fra i piedi. Ed una sera gli rivolge anche qualche parola di lode e di incoraggiamento.

Ha approfittato il giovanetto di allora del fuggevole elogio?

Passano sedici anni!

Nel 1894, ricorrendo il terzo centenario della morte di Giovanni Pierluigi da Palestrina, nella Rivista Musicale Italiana pubblica egli un breve studio esegetico sull’opera gigante dell’autore della celebrata Missa che ebbe nome da Papa Marcello. E ne fa omaggio ad Arrigo Boito, il quale accoglie la modesta pubblicazione con manifesti e lusinghieri segni di comprensione.

- Ah, quelle scale palestriniane – scrive al neofita – che bella cosa!

Nel novembre del medesimo anno, a Parma, si commemora solennemente la data tricentenaria.

Nella gran sala Maria Luigia della Biblioteca Palatina chi scrive è incaricato del discorso ufficiale. Boito presenzia la festa. Terminata la cerimonia cui si accompagnava un Concerto diretto dal M.o Gallignani, uscendo dal Palazzo della Pilotta, io che scrivo mi unisco a Lui. E, poiché stava al mio fianco, mi faccio ardito a chiedergli se ricordava quel ragazzo che aveva incontrato sul palcoscenico del Teatro Grande di Brescia all’epoca dell’andata in iscena, colà, del Mefistofele.

- Certamente! – rispose Boito.

- Ebbene – a mia volta – quel ragazzo ero io.

Il Maestro mi dà una stretta al braccio su di cui si appoggiava, assai significativa, ed in pari tempo assai incoraggiante.

Con quel viatico cominciai a salire io pure l’erta faticosa ed impervia che mi stava innanzi.

[…] Nel febbraio del 1895, a Roma, al Ministero della P. I. si raduna la Commissione Permanente per l’Arte Musicale e Drammatica. Arrigo Boito Presidente; fra i membri di essa Giuseppe Giacosa ed a rispettiva distanza… il sottoscritto. Con Boito ho modo di passare parecchie ore del giorno a discorrere un po’ di tutto. Si va ad ascoltare Morales, Vittoria, Palestrina, e poi Giovanni Sebastiano Bach all’Oratorio dei Fiorentini nella severa ed austera interpretazione di Sandrino Costa il quale ora – venerando novantenne – vive da anacoreta sui colli della Sabina. Ammesso da qualche tempo nel salotto Oppenheim di via Gregoriana, dove primeggia la cortesia di Donna Helène – l’amica di Eleonora Duse – dove convengono artisti d’ogni paese creando un ambiente veramente cosmopolita e dove periodicamente fanno musica la celebre violinista Teresina Tua, l’illustre Sgambati, l’ardente pianista calabrese Gulli, e più tardi il nostro Bossi, nel pieno possesso delle sue eminenti qualità di pianista ed organista compositore, è dato a me il grato compito di accompagnarvi Arrigo Boito, col pericolo però possa egli incontrarsi con l’infedele amata [Eleonora Duse] […].

In quei giorni, in uno splendido mattino quasi primaverile, il Maestro a me si accompagna per recarsi alla Cappella Sistina onde assistere alle esequie pontificie per Pio Nono, celebrate con l’assistenza di Papa Leone XIII, il Pontefice della Rerum Novarum, che sette anni innanzi, nel 1888, avevo incontrato nelle Logge Vaticane.

[…] La Cappella Pontificia – la celebre Cappella Sistina – diretta dal M.o Mustafà, per la circostanza esegue musica polifonica cui Boito sembra interessarsi assai. Ed intanto riguarda Egli, insistentemente, all’abside su di cui domina sovrano il grande affresco michelangiolesco. A me appare pur compreso della spiritualità dell’ambiente e della poesia arcana del momento liturgico”.

 

Tebaldini, in quegli anni, e fino al dicembre del 1897, dimorava a Padova, rivestendo l’incarico di direttore della Cappella Musicale della Basilica di Sant’Antonio. Era, perciò, in stretto contatto con il fratello di Arrigo, l’architetto Camillo, che dirigeva i restauri della Basilica per le Feste Centenarie del Santo. Egli stesso era occupato nella pubblicazione di un impegnativo libro di ricerca e catalogazione su L’Archivio Musicale della Cappella Antoniana in Padova, che inviò sia a Giuseppe Verdi, sia al poeta e librettista. Da entrambi ricevette lusinghieri giudizi. Boito, l’8 febbraio 1896, gli scriveva da Milano:

 

Caro Maestro e Collega                                                                                              

Non volevo ringraziarla prima d’aver assaggiato il dono, e il tempo di assaggiarlo attentamente m’è fino ad ora mancato. Oggi (la prego di perdonarmi se è tardi) la ringrazio e, dopo aver letto e apprezzato e chiuso il bel volume, sono andato a collocarlo nella mia libreria in un degnissimo posto.

Ella ha saputo raccogliere in breve tempo e coordinare assai bene ed esporre con chiarezza molti materiali notevolissimi.

Le tre figure grandeggianti del volume: Costanzo Porta, il Vallotti, il Tartini fanno nascere il desiderio di pubblicazioni più ampie e questa è la missione d’un editore di buona volontà. Auguro che codesto editore si trovi e che l’edizione esca compilata ed illustrata da Lei.

A rivederci non so quando, o a Roma o a Padova o a Milano. Intanto di nuovo la ringrazio e la saluto amichevolmente.

 

E ancora, ricevendo le liriche Ebbrezze de l’anima composte da Tebaldini su testi poetici di Antonio Fogazzaro, così si esprimeva il 30 aprile 1897:

 

Una prova del forte valore delle sue Liriche è questo che, essendomi già piaciute all’audizione, alla lettura mi piacquero anche più. Nessuno dei nobili requisiti necessari a codesto genere di composizione vi fa difetto e commentano tutte magistralmente il testo e del testo sono tutte degnissime. Bravo Maestro!

 

Nella settimana di Pasqua del 1898 Tebaldini è a Parigi in veste di inviato della Rivista Musicale Italiana, per la prima esecuzione dei Pezzi sacri di Giuseppe Verdi all’Opéra, sotto la direzione di Paul Taffanel. L’Autore, che sperava di essere presente, all’ultimo momento è, suo malgrado, costretto a rinunciare al viaggio per problemi di salute e si fa rappresentare dall'amico Arrigo Boito che alloggia al Grand Hotel, situato all’angolo del Boulevard des Capucines, cioè a fianco dell’Opéra.

Tebaldini lo incontra spesso e una volta va nella sua stanza d’albergo. I loro discorsi li portano a parlare del futuro della Scala e di Toscanini, che Boito giudica il degno erede di Faccio.

Ma il periodo di maggiore familiarità tra Boito e Tebaldini fu quello parmense, tra il 1898 e il 1901, quando il nostro dirigeva il Regio Conservatorio di Parma. Boito seguiva con interesse le sorti dell’Istituto, essendone stato per alcuni mesi il direttore, in sostituzione di Franco Faccio gravemente ammalato. Inoltre, i due avevano modo di vedersi nella villa di Verdi a Sant’Agata: Boito era di frequente ospite del Grande di Busseto, Tebaldini vi andava in visita, potendo godere della stima del Maestro con cui era in rapporto dal 1894.

Fin qui la ricostruzione degli incontri, reali ed epistolari, Boito-Tebaldini sulla base di documenti. Si sa che l’amicizia continuò fino alla morte del poeta avvenuta nel 1918,  ma occorrerà seguire altre tracce…

 

Ecco la testimonianza di Tebaldini in occasione della nomina di Arrigo Boito a Senatore del Regno d’Italia pubblicato su “Orfeo”, a. III, n. 12, Roma, 24 marzo 1912:
 

                                                                                                                                                                                                                    Roma, 21 marzo [1912]
Il consenso generale che ha salutato con sì grande simpatia l’atto provvido compiuto dal Governo di S. M. il re, chiamando Arrigo Boito nel Senato d’Italia, dimostra quanto nell’anima della Nazione sia tutt’ora viva e sempre grande l’ammirazione per il poeta musicista che fra lotte sleali e stupide derisioni – cui Egli ha risposto sempre nobilmente con la ricerca incessante di quell’attimo fuggente al quale per la gioia nostra poté dire arrestati sei bello – ebbe a salire grado grado la vetta eccelsa del Parnaso commovendo d’intorno a sé tre generazioni.
Larga visione d’ogni più alto ideale che dall’arte si propaghi e verso l’arte converga le sue finalità; dottrina profonda; coltura vasta; erudizione storica vivificata dalla luce e dalla virtù della poesia; nobiltà ed austerità di vita; rettitudine e probità in ogni atto della sua feconda giornata: ecco i titoli che, all’infuori di ogni altro riconoscimento accademico, quanti ebbero la fortuna di avvicinare Arrigo Boito sanno avergli assicurato il diritto di sedere nel maggiore Consesso dei rappresentanti della Nazione. E se la elevazione del Maestro insigne al rango di senatore è omaggio verso a Lui, illustre ed amata, l’Arte ha ragione per inorgoglirsi di questa prova di considerazione largita dal Governo del Re; perché l’Arte, intesa non più a scopo di semplice diletto o di lucro, ma quale risultanza d’un elevato grado di Civiltà, come per la Grecia antica, rimarrà ne’ secoli futuri ad attestare della grandezza dell’Italia risorta.
Mefistofele, Faust e Margherita, i personaggi goethiani vivificati dalla potenza di concezione di Arrigo Boito, saranno pei futuri l’immagine e lo specchio dell’anima di un periodo in cui la Fede e il Dubbio sembrano corazzare fra di loro nella ascesa verso l’ideale.
                                                                                                             Il Real fu Dolor
                                                                                                             E l’Ideal fu Sogno
Che importa? Sogno è l’Ideale, Sogno è la Vita. Ma è precisamente nella forza e nella Virtù di questo sogno che l’Uomo si illude ancora di poter amare, anche quando le illusioni, ad una ad una, cadono e si infrangono.
Arrigo Boito da quarant’anni ne fa sognare rivivendo fra i profumi d’un giardino ideale, fra le zolle d’un’attica lontana terra. Siano benedette quelle voci che a noi parlarono allora come parlano oggi.
Mentre l’Artista coronato di lauro varca la soglia del Palazzo Senatorio la Patria grata e riconoscente canta esaltante:
                                                                                                            Poesia libera – spazia ne’ cieli!

 

(Le parti virgolettate sono tratte da due articoli di Tebaldini: Arrigo Boito. Ricordi di Giovanni Tebaldini, pubblicato su “Il Giornale di Brescia” il 6 giugno 1948, e da In Boito non credente ispirate voci cristiane, uscito sulla stessa testata il 10 giugno 1948)

 

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1.  Boito Arrigo (Padova, 1842 – Milano, 1918), poeta, librettista e compositore, studiò musica al Conservatorio di Milano insieme con Franco Faccio. Fra i suoi libretti più famosi Mefistofele per se stesso, Gioconda per Amilcare Ponchielli, Otello e Falstaff per Verdi. Per quest’ultimo scrisse anche Inno alle Nazioni. La lunga amicizia con il Maestro di Busseto, che all’inizio conobbe momenti di crisi, sfociò in una perfetta collaborazione. Avverso all’insegnamento, per non condizionare la libertà creativa, tenne per alcuni mesi la direzione del Conservatorio di Parma (ora a lui intitolato), in sostituzione dell’amico F. Faccio ammalato. Ebbe frequenti rapporti con T., soprattutto negli anni in cui entrambi frequentavano Verdi.

  

 

 

Arrigo Boito

 

 

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