CONCERTO PER ORCHESTRA E CORI
Per
il quinto centenario della costituzione della Cappella Lauretana importanti
manifestazioni e pubblicazioni ne hanno rivisitato la gloriosa storia. A
conclusione delle celebrazioni, ma anche per festeggiare la venuta del nuovo
Vescovo, Mons. Giovanni Tonucci, e in concomitanza del Santo Natale, il 16
dicembre, nella Basilica della Santa Casa di Loreto, si è tenuto un concerto
organizzato dalla locale Fondazione Cassa di Risparmio e curato
dell’Associazione Corale-Culturale “Filippo Marchetti” di Camerino.
Il
programma ha reso omaggio a due dei principali Maestri della Cappella
Lauretana: Francesco Basily e Giovanni Tebaldini che la diressero,
rispettivamente, dal 1809 al 1828 e dal 1902 al 1925.
Del
primo verranno eseguiti due brani pressoché inediti trovati nella Biblioteca
del Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli: Sinfonia a piena orchestra sullo stile d’Haydn e Regina Coeli. Basily, loretano, fu un ottimo musicista; direttore delle
Cappelle musicali di Foligno, Macerata e Loreto, prima di terminare la carriera
nella Cappella Giulia in Vaticano. È conosciuto soprattutto come censore del
Conservatorio di Milano. In tale ruolo fece parte della Commissione che esaminò
la domanda di ammissione di Giuseppe Verdi e diede responso negativo, non
perché non avesse compreso le capacità del giovane di Busseto, ma in quanto non
sussistevano le condizioni previste dal regolamento per l’assegnazione della
borsa di studio.
Di
Tebaldini, originario di Brescia ma marchigiano di adozione per avervi vissuto
e operato circa cinquant’anni, è stata proposta la Missa
Solemnis in honorem
Sancti Antonii Patavini, composta nel 1895 per il VII centenario della
nascita di Sant’Antonio, premiata in alcune sue parti nei concorsi del
periodico «La Tribune
de Saint Gervais» di Parigi e pubblicata nel 1899 da Giulio Ricordi. La
partitura originaria è per quattro voci e organo. La particolare versione
presentata a Loreto fu eseguita, per la prima volta, il 24 giugno 1899 nella
Chiesa Metropolitana di San Lorenzo a Genova. È per orchestra con
l’instrumentale di Ildebrando Pizzetti, allora promettente studente
(diciannovenne) del Conservatorio di Parma che Tebaldini dirigeva. Il Maestro,
infatti, accortosi del talento dell’allievo, lo volle valorizzare. Dagli
insegnamenti di Tebaldini il giovane trasse l’interesse per la musica italiana
antica, soprattutto per il Canto gregoriano e la Polifonia corale, e
seppe giovarsene nella produzione teatrale - innovando il melodramma italiano -
e in quella cameristica, tanto da essere considerato il nostro più illustre
musicista del Novecento. La pregevole partitura, conservata presso la Sezione musicale della
Biblioteca Palatina della città farnese, ha suscitato l’interesse del M°
Lamberto Lugli, docente di composizione al Conservatorio di Pesaro, che ha
voluto riportarla alla luce dopo oltre un secolo. L’evento, quindi, ha avuto una
valenza filologica e artistica.
Si sono esibiti la Nuova Orchestra Regionale
“Domenico Alaleona” (direttore il M° Lamberto Lugli), il Coro “Filippo
Marchetti” di Camerino (diretto dallo stesso Lugli), quello della Cappella
Lauretana (direttore il M° Giuliano Viabile).
Il concerto è stato replicato
nella Collegiata San Giovanni di Montegiorgio il 12 gennaio 2008 e nella
Cattedrale di Camerino il 13 gennaio 2008.
Associazione Corale Culturale “Filippo Marchetti”, Camerino
Loreto, Basilica della Santa Casa, 16
dicembre 2007
Montegiorgio, Collegiata San
Giovanni, 12 gennaio 2008
Camerino, Cattedrale, 13 gennaio 2008
Gli inediti dei Direttori della Cappella Musicale di Loreto
Programma
Francesco Basily (1767-1850)
Sinfonia a piena orchestra sullo stile
d’Haydn (1841)
Giovanni Tebaldini (1864-1952)
Missa Solemnis in honorem Sancti Antonii Patavini
a quattro voci dispari e organo
(1895)
orchestrazione di Ildebrando Pizzetti
(1899)
Francesco Basily
Regina Coeli
per cori concertati ed orchestra
Interpreti
Coro “Filippo Marchetti”, Camerino
Cappella Musicale della Santa Casa,
Loreto
Nuova Orchestra Regionale “Domenico
Alaleona”
Mezzo Soprano solista Frédérique
Willem
Direttore Lamberto Lugli
GIOVANNI TEBALDINI, ILDEBRANDO
PIZZETTI E LA
MISSA SOLEMNIS IN HONOREM SANCTI ANTONII PATAVINI
La Missa Solemnis in honorem
Sancti Antonii Patavini, a quattro
voci ineguali e organo (op. 12), datata 2 giugno 1895, è stata composta da
Giovanni Tebaldini per la ricorrenza del VII Centenario della nascita del
Santo. Fu eseguita, sotto la sua direzione, il 18 agosto dello stesso anno
nella Basilica di Sant’Antonio a Padova per i solenni festeggiamenti e ripetuta
il 15 dicembre successivo1. Il Kyrie,
Sanctus e Agnus Dei ottennero il primo premio (assegnato all’unanimità) nei
concorsi del periodico «La
Tribune de Saint Gervais» di Parigi del 1895 e del 1896.
L’opera, edita da Ricordi nel 1899 (n. 102385, pp. 48), è dedicata
“All’Onorevole Presidenza della Veneranda Arca di Sant’Antonio in Padova” per
la quale era stata scritta. Infatti, Tebaldini era stato nominato da poco
direttore della Cappella Musicale Antoniana, giunto da Venezia, dove aveva
ricoperto l’incarico di secondo maestro di Cappella e di direttore della Schola
Cantorum della Basilica di San Marco (incarico poi conferito all’amico Lorenzo
Perosi).
Alla
composizione è legato un interessante antefatto, ricostruito in base a
documenti d’archivio conservati presso la Biblioteca
Antoniana2. In vista della solenne festività si
voleva far comporre una Messa a un illustre musicista. Dal verbale della seduta
del 10 febbraio 1894 risulta che era stato contattato il Maestro Antonio
Bazzini, direttore del Conservatorio di Milano, ma egli, a mezzo del M° Pollini,
aveva declinato l’incarico. Poiché nella Basilica lavorava come architetto
Camillo Boito (fratello di Arrigo), fu interpellato perché tentasse di convincere Verdi. Da
Milano, in data 29 [febbraio?] 1894, l’architetto informò il Presidente
dell’Arca del Santo, Conte Oddo Arrigoni degli Oddi:
Ill.mo Sig. Conte
Ò parlato lungamente con mio fratello, il quale, nella
sua qualità di Padovano, sarebbe lietissimo di poter raggiungere l’effetto, cui
aspira la Presidenza;
e si propone di adoperarsi, a tempo opportuno, con molto calore per
conseguirlo. Ma la fretta è un grande pericolo. Già sono cominciate le prove
del Falstaff all’Opéra Comique; il Maestro rivede la traduzione
francese, ritocca la partitura, scrive una farragine di lettere. Il Falstaff
andrà in scena nell’aprile e verrà seguito all’Opéra nel maggio dall’Otello,
che pure si rappresenterà a Parigi per la prima volta. L’opera più comica e
l’opera più tragica di questo miracoloso Maestro ottantenne saranno un grande
avvenimento artistico, nel quale la
Francia darà a sé stessa il generoso spettacolo
d’imparzialità, plaudendo un Italiano. Il Verdi starà certamente a Parigi un
mese o più, a dirigere le prove, a vigilare la messa in scena, ecc. ecc.
Bisogna aspettare che tutto questo nuovo fervore di operosità sia passato, e
che il maestro, tornato nella quiete di Sant’Agata o di Genova, senta ancora il
bisogno di lavorare. Del resto, un anno è più che sufficiente per iscrivere una
messa, così dice anche mio fratello, che pure non è un compositore affrettato.
Insomma,
signor Conte, abbia pazienza, e persuada i Suoi egregi colleghi ad averla pure.
[...]
La Presidenza predispose la lettera da indirizzare a Verdi e la
inviò, in visione, a Camillo Boito:
Padova [s.g.] Marzo 1894
Illustre
Sig.r Maestro!
Col
15 Agosto 1895, compiesi il VII Centenario dalla nascita di S. Antonio,
quell’Eroe che lasciò orma così vasta nel campo della fede e della umanità.
Questa
Presidenza è venuta nel proposito di tramandare ai posteri la memoria della
fausta ricorrenza compiendo grandiosi lavori nella Basilica coi progetti e
sotto la direzione del celebre Architetto Prof. Comm. Camillo Boito,
pubblicando i Sermoni tutti editi e inediti del Santo, illustrando le opere di
Donatello e il ricco Archivio della Cappella Musicale e finalmente colla
celebrazione di una Messa Solenne.
È ardita, insigne Maestro, la domanda che Le rivolgiamo
se si compiacesse assumerne la composizione, è ardita davvero ma giustificata
dal fatto che un gentile assenso sarebbe la realizzazione del più accarezzato
sogno, la corona di tutti i nostri aspiri. [...]
Il 24 marzo 1894 Camillo Boito da Milano:
[...]
Benissimo la lettera, s’intende, poiché la à scritta Lei, salvo il celebre
affibbiato al sottoscritto; ma c’è un guaio. Mio fratello partì appunto ieri
per Parigi. Forse il Verdi lo raggiungerà fra pochi giorni. Saranno
affaccendatissimi per le prove del Falstaff; non avranno un momento di
quiete. Meglio dunque aspettare che tornino verso la metà d’aprile e che il
Maestro torni a sentire la sua indomabile voglia di lavoro. Allora gli
stringeremo i panni addosso. [...]
Il 14 giugno 1894 si riunì il Consiglio della
Presidenza della Veneranda Arca del Santo e, prendendo atto che Verdi aveva
difficoltà ad accettare l’invito, deliberò di coinvolgere Tebaldini che si era
reso disponibile.
Il 28 giugno Tebaldini rispose da Venezia:
[...]
Nell’accusare ricevuta della lettera di codesta Onorev. Presidenza in data 24
corr. (n. 283) mi faccio lecito aggiungere la presente, innanzi tutto per
ringraziare della determinazione presa a mio riguardo. Ho pensato che, venendo
a Padova al posto a cui son stato chiamato dall’Onorev. Presidenza del Santo,
dovesse essere nel desiderio di tutti che la mia persona avesse ad affermarsi e
ciò per giustificare la nomina ricevuta. La qual cosa mi lusingo possa
interessare anche l’Onorev. Presidenza.
Attese
le circostanze spiegate nella surriferita lettera, io mi tengo ben lieto di
accingermi al lavoro, come sarò lietissimo di passare in seconda linea qualora
le speranze altrimenti concepite potessero realizzarsi. Purtuttavia mi occuperò
con assiduità e buon volere della Messa in discorso che potrà in ogni modo
essere eseguita anche in altra occasione. E qualora il mio lavoro riesca di
soddisfazione, attesoché per condurlo a termine dovrò pur abbandonare altre
occupazioni, mi rimetterò intieramente all’Onorev. Presidenza pregando a voler
Essa decidere se l’opera mia potrà meritare considerazione.
Pertanto
prego di uno schiarimento. Come dovrà essere la Messa? Ad organo solo e
voci, oppure altrimenti? È una domanda che mi permetto di fare essendoché nella
certezza d’avere per le feste centenarie il nuovo organo, mi lusingo che, dopo
le voci, ad esso venga lasciata la maggior parte. [...]
Prima dell’esecuzione di Padova Tebaldini inviò la
partitura ad Arrigo Boito per un giudizio. Il librettista e compositore nel
mese
di giugno del 1895 gli rispondeva3:
[...] Mi affretto a restituirle la Messa di S.
Antonio perché lei, senza dubbio ne avrà bisogno urgente.
L’ho
letta tutta ed ammirata in parecchie sue parti e specialmente dal Credo
in avanti fino alla fine.
È
questa Messa - se non m’inganno - un componimento che più procede e più
s’innalza, e il 2° Agnus Dei colla chiarezza delle sue linee puramente
vocali e coll’intreccio delle sue scale Palestriniane incorona nobilmente il
bel lavoro. E di ciò mi rallegro con lei salutandola amichevolmente e
stringendole la mano. [...]
Anche
Giuseppe Martucci gli inviava parole di compiacimento4:
Egregio
Maestro Tebaldini,
Mi
scuso se le rispondo con ritardo; ma non ho voluto scriverle senza prima aver
esaminato, in tutti i suoi particolari, la sua ultima Messa. Ora, l’ho fatto
con vivo interesse, e posso assicurarle che ne sono rimasto ammiratissimo. Per
essere breve e non abbondare in elogi, dai quali lei sa che rifuggo, tralascio
di citarle tutte le bellissime pagine che mi hanno maggiormente colpito, e mi
limito a rallegrarmi di tutto cuore per il lavoro veramente eccellente che ha
dato all’arte, sperando di vederlo presto pubblicato, nell’interesse del miglioramento
della musica Sacra moderna. Le stringo la mano con sincera stima.
Suo dev. G. Martucci
La
rassegna stampa sulle esecuzioni della Messa è piuttosto ampia. Ecco alcuni
stralci tra i più significativi:
[...]
Il lavoro di Tebaldini è tutto inspirato a una nobiltà di idee, di concetti che
denota in lui l’artista consumato nel lungo studio dell’antico ed esperto dei
segreti più reconditi della sua arte; alla venustà e alla severità dell’idea
Tebaldini aggiunge assai spesso una potenza di espressione e una sicurezza
dell’effetto - nel senso buono della parola - tutt’altro che trascurabili
quando si consideri quale deva essere lo scopo della musica da chiesa. [...]
È
infatti giudizio unanime anche degli intervenuti a Padova, l’annoverare tra i
pezzi meglio riusciti l’Agnus Dei, il
Sanctus e il Benedictus in cui il Tebaldini ha profusa tutta l’idealità che le
parole del testo e il mistero soavissimo che si celebra sull’altare hanno
potuto ispirargli.
Sono
tinte di una finezza e di una purezza veramente classica che il compositore ha
invocato in queste importantissime parti della Messa e la semplicità e la severità di quei canti che s’intrecciano
e si seguono osannando al mistero d’amore, rapisce gli animi ed elevandoli a
mistiche contemplazioni ci commuove e ci trascina idealmente in un mondo più
perfetto e più puro. [...]
(al.[Albertini Cesare], Le Feste Antoniane. La Musica Sacra. La Messa del maestro Tebaldini,
«La Lega Lombarda»,
Milano, 19-20 agosto 1895, pp. 1-2)
[...]
Frasi larghe, nobili, scelte, ben condotte, ben lavorate, interpretano
seriamente il sacro testo e l’arte severa abilmente velata interessa, lasciando
di quando in quando scoprire delle nuove bellezze. Dominano gli accenti
gregoriani, qua e là qualche periodo all’unissono o raddoppiato, l’armonizzazione
è logica, diatonica, antica; l’organo sostiene le voci e unisce le frasi, non
eccede né in forza né in figurazione; ogni pezzo, senza essere simmetrico, sta
nella cornice, e pur è vago come le sue frasi; non è il Gloria migliore del Credo,
né questo del Kyrie, ma ognuno ha ciò
che gli si deve; solo il Sanctus e Benedictus hanno più degli altri un
lavoro superiore. [...]
(Musica sacra, «La Perseveranza», 24
agosto 1895)
[...]
La Messa di
lui, testé eseguita a Padova in occasione delle feste centenarie del Santo, è
senza dubbio un’opera d’arte di molto pregio, ed è altresì uno splendido
esempio ed una degna illustrazione di quelle teorie delle quali il maestro
Tebaldini s’è fatto apostolo, e che sono il migliore e più doveroso atto di gratitudine
di rispetto ed anche di giustizia, verso questa arte nobile e divina, che,
scesa dal cielo, ritorna dopo aver beneficato l’umanità e che rappresenta della
patria nostra la gloria maggiore. Poiché se il primato musicale può forse
essere discusso presentemente all’Italia, è indiscutibile che a lei spetta il
primato storico. Non senza un perché il famoso Tornate all’antico di Verdi è il migliore consiglio che da tutti
gli artisti e dai giovani in ispecie deve essere scrupolosamente e devotamente
seguito. E il maestro Tebaldini ha seguito il consiglio studiando ed oprando!
La
sua Messa solenne di S. Antonio a 4
voci ed organo è un modello rarissimo oggidì, di quella musica severa e
castigata che alla preghiera dispone non divagando con sentimenti profani l’anima
devota, ed informandosi a quel principio tradizionale che comanda sia una la norma del canto come una è la
forma della preghiera ed una la legge del credere. Al canto gregoriano egli
maggiormente si è ispirato, come a quello che, ancor più della classica
polifonia vocale del XVI secolo, è la più perfetta estrinsecazione del criterio
liturgico nella musica sacra. Così i temi
del 1° Kyrie e del Christe sono stati tolti dal canto
gregoriano e sviluppati con una chiarezza vocale davvero ammirevole; ottimo
l’effetto nella ripresa del 2° Kyrie
in cui i temi si riuniscono fra il
contralto ed il soprano, mentre le altre due voci mantengono l’equilibrio,
legando, o movendosi per gradi congiunti: e l’organo accompagna sommesso
innestando talvolta dei contrappunti che sono ricami d’una finezza claustrale,
oppure entrando ad accordi gravi e poderosi come se fosser l’eco della gran
prece umana ripercuotendosi nelle celesti sfere, o l’immenso abbraccio d’eterno
amore, che ravvicina, come avvolta in un fascio di luce la creatura orante al
clemente Creatore, nell’ampia cadenza aprentesi solennemente sino a che la
sottodominante passando alla dominante, sulla tonica s’arresta e sta.
Il Gloria è festoso, d’una sonorità
pasquale; pare che in questa musica ci sia il sole, ma sole d’agosto e in pieno
meriggio: le voci cantano insieme ben nutrite e compatte. Al Laudamus te s’inizia l’imitazione con un tema proposto dai tenori, e benedicimus
te, adoramus te mormorano poscia
sommessamente le voci; mentre l’organo, come di lontano, ripete, con un suono
che è sospiro, la timida orazione. Col Glorificamus
te ritorna l’imitazione che va poi ripercuotendosi in forme diverse nella
varietà dei ritmi e dei movimenti.
Qui tollis peccata mundi miserere nobis, è una frase commovente che sembra scaturire da un
silenzio lungo ed angoscioso; è una frase gonfia di tenerezza, ma solitaria e
dolente, allungantesi con una dolcezza stanca di rassegnazione; e pare che man
mano essa si accosti, cresca e prorompa in uno scoppio poderoso di pianto: “suscipe deprecationem nostram!”. Non c’è
lo sconforto, ma la fervente preghiera; non ci si sente l’anima sfiduciata, ma
l’anima che fermamente crede nella grazia divina! Tale è l’effetto musicale in
questo bellissimo episodio del Gloria,
a cui degnamente tengono dietro il Quoniam
dal ricercato movimento a crome nell’organo, ed il Cum Sancto Spiritu, un fugato conciso efficacissimo nella stretta con quelle serrate imitazioni a quartine ascendenti fra le
parti. La nobile cadenza, dalla intonazione classicamente plagale, chiude
degnamente il pezzo.
Il Credo caratteristico per gli unisoni
tolti dal cosiddetto Credo Cardinale,
in primo tono dorico, è d’una austerità convinta. Il giro armonico è tessuto
sull’accordo perfetto in ambi i modi e nei relativi rivolti; d’onde l’austerità
ed anche la convinzione; la deficienza delle dissonanze toglierà, se volete,
varietà e brio alla composizione; ma in questo caso è necessario che sia così
poiché lo stile lo richiede e la varietà sarebbe difetto, come l’instabilità e
l’irrequietezza tonale sarebbe peccato. Così fino al Deum de Deo; quindi l’euritmia si fa più viva, la dissonanza torna
ad alternarsi alla consonanza ed il contrappunto diviene fiorito. Nel Qui propter le due terzine di semiminime
ascendenti infondono maggior vita ed aggiungono grazia al disegno delle parti.
Nell’Incarnatus est il mistero è reso
con efficacia straordinaria da una musica che diviene quasi trasparente nelle
due parti candide dei soprani e contralti che mormorano l’et homo factus est.
È
questo un momento veramente sublime!
Il Crocifixus toglie agli occhi il velo del
precedente mistero; il miracolo è compiuto, e la musica anch’essa si fa umana;
vi sembra quasi di seguire Cristo lungo la dolorosa ascensione del Calvario con
quelle note larghe che ascendono a metà scala nel melanconico modo minore.
Notevole nell’organo il pedale di re
per varie battute quando le voci intonano con forza, et unam, sanctam, catholicam et apostolicam ecclesiam; e di molto
effetto la fuga finale in cui la
brevità è pregio. Bisogna riconoscere che in questo Credo c’è davvero la fede, poiché in esso il maestro Tebaldini ha
trasfuso la sua fede in Dio e nell’arte, in quell’arte vera e grande che è
l’ideale dei buoni ed il supremo ed unico conforto in terra; in quell’arte che
molce le amarezze ed il pianto asciuga perché è di Dio stesso il sorriso ed il
bacio.
Il Sanctus è pure costrutto nella melodia
gregoriana, e la polifonia vocale è architettata sulle ampie scale ascendenti e
discendenti per moto contrario, le quali s’intrecciano e si rincorrono come
carole d’angeli osannanti attorno al trono di Dio nell’immenso ed eterno
tripudio del cielo.
Ma
dove la polifonia è scrupolosamente ricercata, trovata ed indovinata, è nel
soave Benedictus a tre parti e nell’Angelus Dei a cinque che, sinceramente,
preferisco al primo Agnus Dei a
quattro, perché più sacro e di una preziosità artistica eccezionale: una pagina
che seduce ed affascina; una musica che è tutta un’eco serafica di concenti che
implorano e benedicono ed empiono il cuore e la mente della tenerezza di una
patria invisibile.
Ecco
la Messa
solenne del maestro Tebaldini; ecco l’opera artistica di cui l’Archivio
della veneranda Arca di S. Antonio in Padova s’abbella e di cui l’Italia, madre
dell’arte va giustamente orgogliosa. Ed
io su questo giornale istesso, che fu il primo ad aprire le sue colonne al
Tebaldini per difendere e propagare la causa santa della riforma liturgica,
sono assai onorato di rendere pubblicamente l’omaggio e il plauso al
chiarissimo maestro e collega [...].
(G.
Anfossi, Musica Sacra. La Messa solenne di S.
Antonio..., «Gazzetta
Musicale di Milano», a. 50, n. 38, 22 settembre 1895, pp. 836-637; anche in Musica sacra, «Il Cittadino di Brescia», 26 ottobre 1895)
[...]
Il lavoro del Tebaldini dal lato liturgico è inappuntabile; interpretando il
pensiero del testo in modo corretto senza danno per la varietà necessaria
togliendo il senso della monotonia.
Quali
punti salienti del Gloria accenneremo
il laudamus, il qui tollis, l’indovinatissimo qui
sedes in tono maggiore, nonché il fugato finale. Peccato che del Kyrie, uno fra i pezzi migliori della
messa (e col Santus premiato a
Parigi) non ci sia stato dato di gustare che l’ultima parte, nella quale sono
riuniti i due temi principali. Nel Credo
abbiam trovato bellissimo l’Incarnatus,
il Crucifixus e il brano Et resurrexit: come pure felice
l’interpretazione del gregoriano Et
expecto, ecc. In genere nel Credo,
si rileva un lungo studio, forse non facilmente afferrabile a persone meno
intelligenti in questo genere di composizioni.
Buoni
i brani a voci sole del Sanctus, e di
speciale interesse ed effetto melodico il Benedictus
a tre voci. [...]
(Musica sacra, «Il Cittadino di Brescia»,
7 novembre 1899)
Il Credo è fra le parti meglio riuscite di
questa bella Messa. La melodia gregoriana del Credo Cardinalis armonizzata con fine arte di geniale armonista, e
nella quale si svolge tutto il pezzo, conferisce al medesimo una vigorosa unità
insieme ad una tal quale grandiosità liturgica perché in perfetta armonia col
testo del simbolo che è professione di fede e non narrazione.
Il Sanctus spirante una celeste serenità, i
Kyrie nel loro calmo svolgersi di
supplica trattenuta che alle ultime invocazioni si svolgono con incisiva
insistenza, l’Agnus Dei efficacissimo
nella sua rigorosa condotta, giustificano pienamente il Primo Premio col quale vennero distinti ad unanimità nei concorsi
della Tribune di St. Gervais. [...]
(S.,
Musica, «Rivista Musicale Italiana»,
a. VI, Torino, 1899, pp. 661-662)
[...]
Nel naturale andamento delle parti, nell’euritmia architettonica delle
proporzioni si rivela il conoscitore esperto dei modelli migliori; ed un sano
profumo di arcaismo talora dal tutto s’innalza, simile a quel “venerabile odor
di muffa” che Anton Maria Salvini invidiava ai puri classici delle lettere
nostre.
L’equilibrio,
soprattutto, la varietà simpatica inquadrata in una sola cornice, anche al
profano s’impone; né la severità dello stile raramente cromatico, sembra recare
pesantezza nelle stesse pagine di maggiore svolgimento. Valga d’esempio il
“Credo”, svolto sulla bella melodia del tema originale gregoriano, e con rara
chiarezza guidato attraverso agli episodi resi necessari dalla varietà dei
concetti esposti nel testo latino. [...]
(l.a.v., Una Messa di Giovanni Tebaldini, «La Stampa», Torino, 24 maggio
1900)
La
presente versione della Messa, per voci ed orchestra - conservata presso la Sezione musicale della
Biblioteca Palatina di Parma – ha attirato l’attenzione del M° Lamberto Lugli,
che ha voluto riportarla alla luce ed eseguirla. Venne presentata il 24 giugno
1899 nella Chiesa Metropolitana di San Lorenzo a Genova, nel novembre
successivo nella Cattedrale di Cremona per il Centenario di Sant’Omobono; nel
1901 nella Chiesa di Santa Trinita a Firenze; nel 1907 in quella di Santa
Maria delle Grazie a Teramo. Tale orchestrazione si deve a Ildebrando Pizzetti,
allievo prediletto di Tebaldini, che all’epoca dirigeva il Conservatorio di
Parma. Il maestro, infatti, fin dal suo ingresso in Conservatorio (dicembre
1897) aveva intuito quali fossero le doti del giovane e cercava di stimolarlo,
incoraggiarlo, valorizzarne le capacità mettendolo anche alla prova. Pizzetti,
dal canto suo, era l’unico che seguiva con interesse e profitto le lezioni di
Canto gregoriano e Polifonia vocale in un corso speciale tenuto dal suo
direttore. Tanto per fare un esempio chiarificatore, alla voce “Pizzetti” della Garzantina musica si legge: “[...] P.
sviluppò una problematica, nell’ambito del teatro, intesa a rinnovare l’opera
italiana con un tipo di vocalità drammatica consistente in un declamato
plastico capace di potenziare i sensi della parola mediante il recupero del
“recitar cantando” fiorentino, della polifonia antica e soprattutto del
gregoriano, da lui ben appreso alla scuola del Tebaldini. La salmodia
gregoriana fu per P. più di una semplice particolarità linguistica, diede un
volto alla sua concezione etico-estetica del dramma concepito come conflitto
entro una visione religiosa della vita e dell’arte. [...]”.
_______
1. Altre esecuzioni della Messa per voci ed
organo (fino all’anno successivo alla scomparsa dell’autore): 1897 Lucerna, Stiftkirche (luglio,
direttore Breitenbach) 1899 Parma,
Chiesa della Steccata (23 aprile, direttore G. Tebaldini); Genova,
Metropolitana di San Lorenzo (pel Centenario di San Giovanni Battista, 24
giugno; Milano, Metropolitana (per la
Festa di San Carlo, 4 novembre, ripetuta nella Chiesa dei
Figli della Provvidenza, direttore S. Gallotti); Cremona, Cattedrale (pel
Centenario di S. Omobono, 13 novembre, direttore Gaetani); Torino, Chiesa di
Santa Maria Ausiliatrice (24 maggio, direttore G. Dogliani); Casale Monferrato,
Chiesa di San Domenico (8 dicembre, direttore A. Gambetta) 1901 Firenze, Chiesa di Santa Trinità (24 aprile, direttore
Landini); Novara, Cattedrale (1 novembre, direttore C. Manfredi) 1903 San Paolo del Brasile, Santuario
del Sacro Cuore (19 giugno) 1906
Fiume, Chiesa di San Girolamo (Pasqua, 15 e 16 aprile, direttore A. Albertoni);
Loreto, Cattedrale (Pasqua, 15 aprile, direttore G. Tebaldini, e 10 dicembre
per la Festa
della Venuta, con organo e ottoni) 1907
Teramo, Chiesa di Santa Maria delle Grazie (19 marzo, per la prima messa di Don
G. De Fabritiis, direttore G. Tebaldini) 1911
Roma, Chiesa di Santa Maria dell’Anima (Pasqua e Pentecoste, direttore P.
Miller) 1912 Tortosa (Spagna),
Collegio de San Josè (10 novembre) 1917
Torino, Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice e Cattedrale (27 maggio, direttore
G. Dogliani); Cortina d’Ampezzo, Chiesa Collegiata (27 maggio, direttore S.
Colonna) 1918 Seveso (Milano),
Seminario di San Pietro Martire (4 maggio, direttore M. Bonalumi) 1921 Asti, Chiesa Collegiata di S.
Secondo (3 maggio, per il Congresso Regionale di Musica Sacra, direttore L.
Rosso) 1925 Genova, Metropolitana di
San Lorenzo (31 maggio, direttore M. Repetto) 1926 Lovere (Bergamo), Chiesa di Santa Maria (29 agosto, per la
beatificazione di Suor Bartolomea Capitanio, direttore G. Tebaldini); Cingoli,
Cattedrale (5 settembre, per le Feste Centenarie di S. Sperandia, direttore G.
Tebaldini) 1931 Montserrat (Spagna),
Monastero Benedettino di N.D. (26 aprile, 21 giugno e 6 settembre, pel IX
Centenario del Monastero) 1934
Brescia, Basilica dei SS. Faustino e Giovita (15 febbraio, per la Festività dei Santi
Patroni, direttori G. Vender e G. Cavallina) 1953 Brescia, Salone “Pietro da Cemmo” (25 novembre, solo il Sanctus).
2. La vicenda è riportata nel capitolo Verdi e una Messa mancata del libro Idealità convergenti. Giuseppe Verdi e
Giovanni Tebaldini, a cura di Anna Maria Novelli & Luciano Marucci,
Ascoli Piceno, D’auria Editore, 2001, pp. 103-107.
3. La lettera è pubblicata in Lettere di Arrigo Boito, raccolte e
annotate da Raffaello de Rensis, Roma, Società Ed. di Novissima, 1932, p. 277.
4. Lettera dei primi di giugno 1895, riportata
in Giuseppe Martucci, vol. terzo, a
cura di Folco Perrino, Novara, Centro Studi Martucciani, 2002, p. 368.
a cura del Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini”, Ascoli Piceno
Giovanni Tebaldini nel 1897
Giovanni Tebaldini (Brescia, 1864 - San Benedetto del Tronto, 1952) avviò
gli studi musicali nella città natale e, a soli quindici anni, iniziò a operare
come maestro di coro in teatri di Brescia, Macerata e Milano (1880-1881).
Frequentò il Conservatorio di Milano (1883-1886) e fu anche allievo di Amilcare
Ponchielli. Un articolo negativo su una Messa del suo insegnante di organo,
apparso sul quotidiano «La
Lega Lombarda» di cui era critico musicale, gli causò
l’espulsione dall’Istituto. Nel capoluogo lombardo studiò pure nella scuola di
musica sacra e paleografia di Don Guerrino Amelli. Divenne collaboratore dei
maggiori periodici: «Gazzetta Musicale di Milano», «Musica Sacra» e «Rivista
Musicale Italiana». Fu direttore della Schola Cantorum di Vespolate (1881),
Vaprio D’Adda (dal 1885) e organista a Piazza Armerina (1887). Si specializzò
in Germania alla Kirchenmusikschule di Regensburg (1889). Gli ottimi risultati
conseguiti gli valsero subito la nomina a direttore della Schola Cantorum e a
vice maestro della Cappella della Basilica di San Marco a Venezia (1889-1894).
In tale sede si rivelò uno dei principali artefici della riforma della musica
sacra in Italia, sostenuto da Mons. Giuseppe Sarto (futuro Papa Pio X). Diresse
la Cappella Musicale
della Basilica di Sant’Antonio a Padova (1894-1897) e il Regio Conservatorio di
Musica di Parma (1897-1902), dove introdusse sostanziali innovazioni. Lì formò musicisti come Ildebrando
Pizzetti, che da lui derivò preziosi insegnamenti, dando continuità ai suoi
ideali etici ed estetici. In quel periodo si guadagnò la stima di Giuseppe
Verdi che frequentò fino alla morte (1901). Tra il 1902 e il 1925 fu direttore
della Cappella Musicale della Basilica della Santa Casa di Loreto e curò
esecuzioni di grande richiamo. Fin dal 1891 organizzò e diresse concerti
storici con musiche dei maestri del Cinquecento e Seicento da lui trascritte e
ridotte in partitura moderna, contribuendo a far conoscere e apprezzare la
nostra migliore tradizione. Nel 1919 fu tra i fondatori dell’Associazione
“Alessandro Scarlatti” di Napoli, per la quale attuò memorabili concerti.
Sempre nella città partenopea insegnò Canto gregoriano ed Esegesi della
polifonia palestriniana al Conservatorio “S. Pietro a Majella” (1925-1930). A
Genova diresse l’Ateneo Musicale “C. Monteverdi” (1930-1932). Ebbe diversi
incarichi ministeriali, tra cui quello di docente di Canto gregoriano e Organo
presso i Conservatori di Pesaro e Cagliari. Sebbene abbia privilegiato la
musica sacra componendo messe, mottetti, salmi, inni e pezzi per organo, non
abbandonò mai il genere profano. A questa produzione vanno aggiunte molte
trascrizioni. Diresse circa 70 concerti nelle principali città italiane e
straniere, più quelli delle Cappelle musicali di Venezia, Padova e Loreto.
Tenne 175 conferenze e commemorazioni in Italia e all’estero. Da didatta ha
lasciato un importante Metodo di studio
per l’Organo moderno, elaborato con Marco Enrico Bossi (1894) - ancora oggi
nel catalogo dell’Editrice Carisch - e la traduzione dal tedesco del Trattato di composizione di Peter Piel
(1894). Ha realizzato impegnative pubblicazioni storico-critiche sugli archivi
musicali di Padova (1895) e Loreto (1921). Profondo ed erudito storiografo, ha
scritto saggi e articoli su personaggi del mondo musicale del passato e della
contemporaneità. Nel 1942 si trasferì a San Benedetto del Tronto e lavorò con
lucidità fino agli ultimi giorni della sua lunga esistenza.
Ildebrando Pizzetti nel 1901
Ildebrando Pizzetti
(Parma, 1880 - Roma, 1968) studiò al Conservatorio della
città natale, prima sotto la direzione di Giuseppe Gallignani,
poi di Giovanni
Tebaldini, che gli fece comprendere e amare i valori del Canto
gregoriano e della Polifonia vocale. Si diplomò nel giugno del
1901 e nell’autunno successivo fu chiamato
come maestro sostituto al Teatro Regio di Parma. Compose le musiche di
scena per la tragedia La Nave (1908) e per
la commedia La Pisanella (1913),
entrambe di Gabriele D’Annunzio, con il quale ebbe un lungo sodalizio. Su
libretto del poeta pescarese musicò l’opera Fedra
(1915). Insegnò composizione al Conservatorio di Parma e, successivamente,
armonia e contrappunto in quello di Firenze, che diresse dal 1917 al 1924. In tale periodo fu
critico musicale de «La Voce».
Passato a dirigere il Conservatorio di Milano, vi rimase fino al 1936,
quando
si trasferì a Roma, come docente di composizione ai corsi di
perfezionamento
del Conservatorio di S. Cecilia, carica che ricoprì fino al
1958. Per
alcuni anni fu presidente dell’Accademia di Santa Cecilia e
attivo collaboratore di quotidiani e periodici specializzati. Ha
scritto 14 opere
teatrali (dieci su libretto proprio); brani per orchestra, musica
strumentale e vocale da camera; una Messa
da Requiem per sole voci (1922); un De
profundis per 7 voci (1937); la cantata per soli, coro e orchestra Ephitalamium (1940); Quartetti e
Sonate. Tra le opere più rappresentate: Debora
e Jaèle (1922), Fra Gherardo
(1928), Lo Straniero (1930), La Sacra Rappresentazione di Abramo e Isacco (1931), Orseolo
(1935), Vanna Lupa (1947), La Figlia di Jorio (1954), Assassinio nella Cattedrale (1958), Il calzare d’argento (1961),
Clitennestra (1964). Compose le
musiche per i film Scipione l’Africano
(1937) e I promessi Sposi (1941). Ha pubblicato gli studi: La musica dei Greci (1914), Musicisti contemporanei (1914), Intermezzi critici (1921), La musica italiana dell’Ottocento
(1947). Dal 1939 è stato presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana
per la Storia
della Musica curando molte voci tra cui quella di Tebaldini. È considerato il
maggiore compositore del nostro Novecento. Insieme con Casella, Malipiero e
Respighi appartenne al gruppo dei musicisti della “generazione dell’80” che,
all’inizio del secolo scorso, riportò la musica italiana a un livello che le
permise di competere con quella europea. In particolare, Pizzetti rinnovò il
melodramma, andato in crisi dopo la morte di Verdi.
Concerto del 16 dicembre 2007 nella Basilica della
Santa Casa di Loreto (foto Bruno Longarini)
Concerto del 13 gennaio 2008 nella Cattedrale di
Camerino (foto L. Marucci)
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