LA PIÙ DEGNA COMMEMORAZIONE DI DANTE
Voglio alludere alla Trilogia sacra composta di Recitativi e Melodie in canto gregoriano e di Mottetti ed Inni con la musica di Giovanni Pierluigi da Palestrina, immaginata ed espressa dall’illustre maestro Giovanni Tebaldini a commento delle Cantiche ed eseguita sotto la magistrale direzione del Tebaldini stesso nella Chiesa di Sant’Apollinare di Ravenna, nei giorni 17 e 18 del corrente mese di settembre, celebrandosi in Ravenna il VI centenario dalla morte di Dante. Il numero degli esecutori, tra coro e solisti, toccava le 80 voci: vi partecipavano: l’Associazione “Alessandro Scarlatti” di Napoli, diretta dalla valorosa istruttrice ed egregia compositrice di musica sig.na Emilia Gubitosi; la Schola Cantorum di San Salvatore in Lauro di Roma, diretta dal maestro Francesco Pacifico e la Cappella Musicale della Santa Casa di Loreto diretta dal Maestro Tebaldini. Aggiungansi i cantori della Cappella Metropolitana di Ravenna, il di cui valente direttore, maestro Giuseppe Calamosca, siedeva al meraviglioso organo nuovo di Sant’Apollinare. Questo superbo istrumento, collaudato solennemente il giorno 13 del febbraio decorso, rappresenta una nuova grande gloria dell’arte organaria italiana. Costruito dalla casa Natale Balbiani e F.lli di Milano si divide in tre corpi: due nel Coro ed il terzo, a grande distanza dagli altri, nascosto dietro una tenda sopra la porta di ingresso della chiesa. L’istrumento si suona tutto di dietro all’altar maggiore, da un unico organista e l’elettricità regola ubbidiente il prodigioso meccanismo. Le combinazioni dei registri di quest’organo sono infinite e vanno dalle voci angeliche all’arpa, al flauto ai tromboni ed ai pizzicati dei contrabassi. Non mancano neppure le campane e neppure una leva mediante la quale si può rinforzare o smorzare l’intensità del suono. Un tale strumento, se applicato con criteri speciali, potrebbe in una certa qual maniera sostituire l’orchestra nei teatri popolari e massimamente nei teatri all’aperto. Io, credo, con un simil tipo di strumenti l’arte organaria italiana si debba mettere alla testa di tutte le nazioni europee e questo io dico a sommo nostro orgoglio e vanto. E ritorno senz’altro alla commemorazione dantesca. Dichiaro subito che, in linea generale, reputo profanazione, nel caso di celebrazioni di sacre ricorrenze, servirsi del nome e della figura di un grande, a fine di flagellare l’umanità coi soliti numeri unici di carattere letterario, colle solite poesie laudative, coi troppi discorsi retorici d’occasione, colle cantate commemorative e con le ineffabili finzioni sceniche, dove il disgraziato uomo glorioso è trascinato a fare le figure più barbine ed a urlare le chiaccherate più cretine che si possano dare al mondo. Ciò è sommamente immorale, vergognoso e scandaloso e più che andare ad onore di un grande, va a disdoro di quegli sfrontati, i quali, coll’accostarsi irriverentemente al grande, sperano di venire confusi con esso e con la sua gloria. Un nipote del musicista Meyerbeer, essendo venuto a morte lo zio illustre, compose una marcia funebre in suo onore e la pose quindi al giudizio di Rossini. Il grande maestro, esaminata la composizione, esclamò: “ Oh! Quanto meglio sarebbe stato che fosse morto il nipote e che lo zio avesse composto la musica!” Nel caso nostro, poi, trattandosi di celebrare una ricorrenza riferentesi al più geniale ed al più legittimo rappresentante della nostra razza italiana, qualsivoglia manifestazione volgare o di sfacciata opportunità si sarebbe dovuta evitare ed impedire. Pellegrinaggio di folle e di forti uomini degni, disperatamente italiani, questo sì, è andato a gloriosa esaltazione della memoria del poeta, padre della patria. E un artista, inoltre, ha intuito, che il nome e l’opera di Dante non soltanto andò per noi, oggi, italiani, significato di unità di patria nell’unità della lingua e nell’unità della coscienza nazionale. Anche altra cosa essi significano e cioè: celebrazione sublime della fede cristiana per i credenti, celebrazione sublime dell’ascesi della nostr’anima moderna per i liberi pensatori. Così, che se pure nel pensiero di Dante il sentimento e l’idea cristiana vengono spogliati della veste del cattolicesimo dogmatico e del formalismo storico, tuttavia l’essenza morale e civile permane intatta: l’uomo bestia cieca e schiava dei sensi (inferno), dietro il monito della coscienza aspira ad una vita spirituale (purgatorio) ed in virtù dell’amore (Beatrice) – bellezza, grazia, generosità – perviene a conseguirla ed a vedere Dio, principio d’ogni bene e d’ogni perfezione (Paradiso). Dio è il principio misterioso dell’universo tutto, verso il quale tutto l’universo, volente o nolente, cosciente o incosciente, animato od inanimato, si dirige come ad un fine fatale. Da ciò il valore di umanità universale ed eterna di Dante, il quale nella sua visione, comprende il passato ed il futuro, il divino e l’umano. Il maestro Giovanni Tebaldini è stato l’artista che nella solenne ricorrenza, con l’aver saputo felicemente esprimere in una severa manifestazione d’arte ampia e completa il sublime significato spirituale, religioso e morale, di cui sopra ho detto, è riuscito, unico nel suo campo, a render onore, vero e reverente alla memoria del sommo e con essa alla virtù e alla fede umana dell’opera del sommo, illuminate e rivelate. La sua Trilogia sacra fa rivivere agli ascoltatori, il poema divino nella sua essenza spirituale – quella viva ed eterna, fuori della storia e della superstizione – per mezzo di equivalenti stati d’animo, poetici e musicali, all’espressione intima dei quali Dante si ispirò ed attinse direttamente, o che un altro grande, il musicista Giovanni Pierluigi da Palestrina, meditò e riespresse con arte meravigliosa, rifacendo inconsapevolmente e per altra via il viaggio di liberazione cantato da Dante agli uomini attoniti. Gli elementi che compongono questa Trilogia sacra sono di tre epoche: l’uno poetico, gli altri due musicali. Quello poetico, quello predominante, è dato dai testamenti: salmi, profezie ecc. L’Inferno è espresso con salmi e profezie relativi al terrore della morte e a quello delle pene dell’inferno: pentimento disperato, riconoscimento dei propri peccati, estrema implorazione, dolore e rimpianto. Il Purgatorio è espresso con salmi ed inni di espiazione, dove chi prega soffrendo è felice di scontare la pena per i peccati commessi: speranza del perdono, risveglio della coscienza, aspirazione ad una vita superiore. Il Paradiso è espresso con salmi, profezie ed inni di esultanza, di beatitudine e di adorazione: perfetta beatitudine, conoscenza di Dio, esaltazione della vita spirituale, virtù, perfezione e serena felicità. Le musiche che si accoppiano a questi testi, appartengono al canto gregoriano, oppure sono creazioni del Palestrina. In linea generale, quando il testo latino è citato direttamente da Dante nel suo poema, allora il Tebaldini ricorre alla musica corrispondente del canto gregoriano e l’esempio, che qui sto per riportare, serva di spiegazione per tutti gli altri. Dante, come in tanti altri momenti del poema, nel Canto XXX, 10-12 del Purgatorio si esprime:
… un di loro, quasi dal ciel mosso, “veni, sponsa, de Libano” cantando gridò tre volte e tutti gli altri appresso.
La citazione del canto biblico “Veni, sponsa, de Libano” lascia supporre che il poeta, nel rievocar la cantata, abbia pensato naturalmente anche alla musica relativa, ch’egli chissà quante volte avrà ascoltato, meditando e sognando nelle chiese, durante le sacre funzioni. Ecco, dunque, che il Tebaldini ci fa risentire la stessa musica, già udita da Dante nella chiesa, e riudita quindi con la mente in un dato punto del poema, dove la musica stessa ha valore di stato d’animo ispiratore: identico per il poeta antico, come per l’ascoltatore moderno e di tutti i tempi; legame di sensibilità, che ci permette di toccare direttamente l’animo del passato in uno de’ suoi momenti di felice esaltazione lirica. Poiché il canto gregoriano è la musica della preghiera dei primi cristiani, giunta fino a noi, purificata dal genio e dalla pietà di papa Gregorio Magno. Essa esprime la fede, il senso dell’uguaglianza, dell’amore della libertà in Dio; è la voce della parte migliore e più spirituale di noi; ad essa mettono capo le più belle melodie della nostra tradizione italiana. Quando il testo biblico del nostro oratorio non è, in cambio, citato nel poema sacro, ma piuttosto corrisponde spiritualmente ad un determinato momento del poema, allora il Tebaldini ricorre alla musica del Palestrina. Per chi non lo sappia, Giovanni Pierluigi da Palestrina, morto nel cuore del sec. XVI, è quel poderoso genio musicale italiano, che da solo ha compendiato e concluso prodigiosamente parecchi secoli di musica e più propriamente tutto il lungo periodo medievale della cosiddetta musica polifonica vocale e quindi in corrispondenza equivalente di spirito religioso e morale con Dante. Egli, a somiglianza di Dante, ha guardato con gli occhi dell’anima ad un mondo superiore ed il suo canto si parte dagli orrori della guerra, implora nel desiderio di elevarsi ed esulta nella contemplazione del mistero divino. Se il canto gregoriano esprime nel suo perpetuo unissono la parte più umile, più casta e primitiva dell’anima e della volontà di Dante – il Dante del passato – la musica palestriniana ne esprime la parte più fervida, più intensa più esaltata – il Dante del futuro – con le sue molte voci umane cantanti polifonicamente senza sussidio di strumento alcuno, raggiungenti talora nella loro magistrale funzione la varietà e la potente sonorità delle grandi orchestre d’istrumenti. Il canto gregoriano è la voce appassionata e fervente dello schiavo illuminato e liberato, la musica palestriniana con il suo perenne rincorrersi di melodie in imitazione, a somiglianza di onde inseguentesi, è la voce del male e della foresta sotto l’uragano, o sotto il trionfo del sole, o sotto la serenità del cielo notturno e stellato. Con questo, io credo di avere sufficientemente messo in chiaro la nobile e vasta idea geniale, da cui è proceduta la visione del maestro Tebaldini e nello stesso tempo, credo di avere espresso con bastante chiarezza il mio più intimo e cordiale entusiasmo per la manifestazione d’arte nel suo complesso, per le meravigliose bellezze degli elementi che la compongono e, di conseguenza, per la magistrale esecuzione rivelatrice, alla quale hanno partecipato con adeguato valore e fervore e direttore e maestri ed esecutori: chiara, vigorosa, efficace. Ho visto intorno a me molta gente felice, estasiata, che applaudiva freneticamente, che domandava il bis ad alta voce, che voleva vedere il maestro Tebaldini ad ogni costo dopo aver sentito Dio. Questa gente è poi uscita dalla chiesa, come me, con l’anima serena e migliorata e come me forse sognando un lontano mondo felice, incantato, velato da un mistero, a cui si può giungere soltanto mediante il miracolo dell’arte. A quando il rinnovarsi di questo incredibile miracolo italiano?
Francesco Balilla Pratella1
(da “Il Resto del Carlino”, 29 settembre 1921)
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1. Francesco Balilla Pratella (Lugo di Romagna 1880 – Ravenna 1955) intraprese gli studi musicali al Liceo “Rossini” di Pesaro con Mascagni e Antonio Cicognani. Appena diplomato (1903) vinse il concorso Sonzogno. Aderì alle idee futuriste e partecipò a spettacoli del movimento al “Costanzi” di Roma, sollevando accese discussioni. Ha diretto l’Istituto Musicale di Lugo ed è stato apprezzato critico musicale. Dal 1919 è stato direttore della rivista “Il pensiero musicale”.
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