LA LUNGA GIORNATA DI UN ARTISTA: GIOVANNI TEBALDINI

 

 

[…] Dalla modesta Cantoria di Vaprio d’Adda alla Tribuna della Cappella Marciana, fu un bel salto, non c’è che dire! Da quel giorno ebbe inizio la luminosa cavalcata del Maestro Tebaldini verso la conquista degli Istituti Musicali più prestigiosi d’Italia: tappe di una lusinghiera carriera professionale percorsa con dignitosa indipendenza e rara fermezza di carattere, ma non senza triboli e grande amarezze, che sicuramente non valsero a bilanciarne le intime soddisfazioni procurate dal dovere sempre serenamente compiuto e spesso rimeritato (è giusto riconoscerlo) con il plauso di non pochi illustri intenditori e da degnissime Autorità. Fu allora che, per merito suo, tornarono a riecheggiare, sotto le sfavillanti cupole della vetusta Basilica veneziana, le austere monodie del canto gregoriano e le maestose armonie della antica polifonia italiana unitamente alle belle musiche dei valorosi Maestri della Scuola Veneta, ormai lì da troppo tempo soppiantate dai virtuosismi teatrali che, se pure talvolta artisticamente pregevoli, poco o nulla hanno in comune con le esigenze tutte particolari del canto religioso.  Ma , anche qui, le innovazioni del riformatore Tebaldini, trovarono l’ormai solito incontro: molti scontenti, pochi consenzienti, anche se autorevoli ed intelligenti; il che era pur molto. Non per questo egli cambiò sistema e rotta, anzi, nel bel mezzo del primo anno di lavoro, in una luminosa giornata dell’agosto del 1890, ad un affollatissimo ed esigente pubblico, azzardò offrire un saggio della buona preparazione e degli intendimenti della rinomata Schola Cantorum secondo il suo criterio didattico-artistico, impegnandola in un programma di brani tolti da una stupenda Messa dell’Avvento di puro stile gregoriano. Il più lusinghiero dei successi ripagò la meritoria fatica e incoraggiò il Tebaldini a cimentarsi in altra e più impegnativa prova: organizzare un Concerto storico (e fu il primo del genere tenuto in Italia) di “Musica sacra e profana” di Autori della Scuola Veneta del sec.XVII quali il Legrenzi, il Monteverdi, il Lotti, il Rovetta, il Cavalli, il Martinengo, il Gabrielli. Esso fu tenuto nella Sala Maggiore dell’Istituto Musicale “Benedetto Marcello” la sera del 20 marzo 1891 preceduto da un sobrio cenno critico-illustrativo del programma, degli intenti della serata e dell’importanza della Scuola Musicale Veneta nel quadro generale dell’Arte Nazionale.

Il plauso incondizionato  degli intervenuti e della stampa del tempo, sottolineò il lusinghiero successo dell’iniziativa tebaldiniana lodando, principalmente, il pensiero di riesumare tante belle pagine di vecchia musica italiana messe in dimenticatoio, dando così piena ragione all’aforisma verdiano, affermante la convenienza, anche in fatto di musica, di tornare all’antico, piuttosto che correre sconsideratamente dietro alla nebulosa virtuosità dell’arte forestiera.

Così, in Venezia, Tebaldini conduceva genialmente la sua buona battaglia a vantaggio del rifiorire della musica sacra e profana nazionale, attento a non perdere occasione che potesse giovare al suo scopo. […]

 

L’umana vicenda dell’artista (lunghissima e varia quale fu) e la preclarità del suo ingegno, sostenuto da una volontà di ferro e da una mirabile perseveranza nello studio e nel lavoro, vorrei risultasse chiara da questo profilo biografico dettato al solo fine di rinfrescare la memoria di un degnissimo Artista su cui vorrebbesi (almeno per quanto a noi sembra) ingiustamente stendere, anzitempo, l’immeritato velo dell’oblio.

Ma, se ragguardevole fu il valore artistico di questo illustre Musicista bresciano, non men grandi e singolari furono l’animo ed il carattere di Giovanni Tebaldini, uomo all’antica, tutto d’un pezzo, ben saldo ne’ suoi principi d’italianità e di cattolicesimo, sdegnoso però degli ismi di ogni natura perché di null’altro curante che non fosse il servire, con purezza d’intenti e fermezza di propositi, la Patria, la Fede, l’Arte. Per queste sublimi idealità egli studiò, lavorò, combatté, sofferse e gioì, ligio servitore del dovere, dell’onesto, del buono e del bello, sempre disposto a sostenere, imperterrito, la bandiera del proprio credo costi quel che costi, sicché pareva foggiato appositamente per lui il celebre motto Frangar non flectar. […]

 

Severo critico delle opere d’arte e modesto estimatore del proprio talento, era, invece, geloso difensore dell’opera dell’ingegno italiano, lieto di potere, con i suoi studi e con la sua attività professionale, contribuire al miglioramento dell’educazione e alla valorizzazione del genio musicale sul solco delle nostre antiche e gloriose tradizioni. […] 

Enrico Liburdi1

 

(dalla pubblicazione del Centro Stampa Piceno, Ascoli Piceno, 1978, pp.23-24, 28, 32)

 

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1. Enrico Liburdi (Urbania 1895 – San Benedetto del Tronto 1984). Iniziata la carriera di insegnante in Veneto e Lombardia, arrivò a San Benedetto nel 1935 con l’incarico di Direttore Didattico. Grande studioso di storia, ha collaborato con diverse riviste e pubblicato saggi per la Vallardi. Membro dell’Istituto di Storia del Risorgimento, e dal 1942 socio vitalizio, ha dato alle stampe parecchi studi su tale periodo. Si dedicò alle vicende sanbenedettesi, mettendone in luce aspetti poco noti. Il Comune della cittadina rivierasca gli assegnò due medaglie d’oro; il Ministero della Pubblica Istruzione una d’argento. Nel 1980 vinse, ex aequo con Giovanni Spadolini, il Premio Cesenatico. Il giorno prima di morire tenne una conferenza nell’ambito della “Settimana degli Studi Risorgimentali”.

 

 

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