Un Maestro bresciano. Giovanni Tebaldini
Sempre o quasi sempre gli illustri concittadini riescono a far parlare di sé qui a Brescia e fuori e la loro celebrità è tutta riferibile alla conoscenza che di essi hanno in modo più o meno concreto i pubblici di provincia e d’altri luoghi; eppure alla categoria dei noti, Giovanni Tebaldini, che di diritto entra nella schiera dei veramente “illustri”, non appartiene e il suo caso è più unico che raro. Quasi mai lo si nomina Brescia; una diffusa notorietà, una di quelle notorietà che fanno presa sulla gente, vorremmo dire sulla massa, egli non conosce né entro l’ideale tracciato della città colta, né al di là delle mura. Immenso fu perciò il nostro stupore allorché aperto la scorsa settimana il piacevole foglio ebdomadario “Sette giorni”, diretto dall’umorista Giovanni Mosca, vi trovammo un articolo del critico musicale Giulio Confalonieri, tutto dedicato, una pagina intiera, al nostro caro maestro. Letto avidamente il bell’articolo, avremmo dovuto inviare subito mentalmente un riconoscente pensiero al suo autore; ce lo impedì per pochi istanti una giusta riflessione: Confalonieri ci aveva rubato l’argomento, ci aveva preceduti. Poi a consolarci venne in soccorso, per buona fortuna, lo stesso divieto del musicista, proprio a noi dato lo scorso anno, quando in un gradito incontro all’Ateneo, presente il Prof. Vincenzo Lonati che gentilmente lo aveva favorito, egli s’era decisamente imposto: “Assolutamente esigo che non si parli di me; non voglio che si accenni alla mia opera, alla mia attività”. Disgraziatamente una promessa ci era sfuggita. In cambio avevamo raccolto in dono alcune pubblicazioni del maestro ed una particolareggiata descrizione della sua vita d’artista, di studioso, d’insegnante, di musicologo, d’organista. Ora vogliamo considerare la pubblicazione nella sua reale entità: un riconoscimento parte da un critico stimato per le molte e copiose e intelligenti idee, per la bontà della prosa, per la genialità dei giudizi e raggiunge il maestro Tebaldini; rallegramenti per il fatto compiuto: allo stesso critico ed al criticato. Si faccia dunque eco alla nota del Confalonieri: essa riguarda casa nostra, la nostra cronaca. “Cose a posto” afferma decisamente il Confalonieri riferendosi, a modo di conclusione, a tutto l’immenso lavoro di Giovanni Tebaldini – e la frase dà il titolo allo scritto – “ Questo musicista oggi illustre (l’aggettivo è qui usato in tutto il suo significato genuino e perde ogni ombra d’ironia) che fu a capo delle Cappelle di Venezia, di Padova e di Loreto, che diresse il Conservatorio di Parma ed ebbe là come allievo il Pizzetti, può dirsi il solo in Italia che abbia pagato con una specie di martirio la sua fanatica fede nell’antica musica nostra”. In quegli anni di delirio melodrammatico Tebaldini aveva “fede” in musiche assolutamente antiteatrali e in un’epoca tutta imbevuta di “operismo” egli osava proporre i grandi musicisti del Cinque e Seicento, gli strumentisti del Settecento. E sull’organo di un certo paese – che noi potremmo anche nominare - s’azzardava a suonare la musica dei vecchi organisti italiani. Scandalo fuori e dentro il tempio; anzi più dentro che fuori, come sottolinea argutamente il Confalonieri. “Sorpresi da tanta audacia e feriti nel profondo amor proprio i fabbricieri gl’intimarono un ritorno alla Jone di Petrella. Proprio in chiesa, questo accidente voleva farli dormire”. Qualche cosa di simile era pur accaduto al nostro organista Isidoro Capitanio molti anni fa in una parrocchia cittadina e noi lo abbiamo già raccontato. [...] Tebaldini che, “autentico figlio della Leonessa d’Italia” non accetta “nessuna intimidazione di resa” ed “evacuata la piazza”, se ne va a Ratisbona, è definito, insomma, un “precursore”, meglio ancora un “Sigfrido in giacca e calzoni”, che “Squassa le porte del recinto incantato” – la Biblioteca Marciana di Venezia – ove stanno prigioniere le belle antiche musiche. Egli è trasferito da Padova a Parma, da Parma a Loreto, è cacciato qualche volta come elemento pericoloso, ma sempre nelle sue peregrinazioni con sé trae “il corteo dei suoi morti gloriosi”. Di questi gloriosi fa conoscere le opere d’arte. Lui, infatti, nel 1912 all’Augusteo di Roma – 16 aprile – fece udire, per primo sicuramente in questo secolo, l’appena scoperta “Incoronazione di Poppea” di Claudio Monteverdi; la “Scena degli incantesimi” del “Giasone” di Cavalli; le Sinfonie e l’Aria di Belisario del “Totila” di Legrenzi ed il “Madrigale guerriero” del Lotti; lui il 20 marzo 1891 nella Sala Apollinea del Teatro la Fenice di Venezia offerse un Concerto storico di musica sacra e profana della Scuola Veneta del secolo XVII con pezzi di Martinengo, Rovetta, Cavalli, Rovettino, Bassani, Ziani, Legrenzi. Questo avveniva quaranta, cinquant’anni or sono, in pieno trionfo dei “Pagliacci”, allorché furoreggiava il Ballo “Excelsior”. E non contento di tutto ciò “questo Caboto della musica” va illustrando i suoi autori e scrive saggi di musicologia; e diffonde il gusto dell’antico; ed esplora le “zone incognite” del Canto gregoriano o fermo. Adesso “non piegato da una vita lunghissima” sempre alacre ed attivo, nonostante un grave disturbo all’apparato digerente gli renda difficile certe ore della giornata, Giovanni Tebaldini è sempre più che mai, come prima, su quelle che il Confalonieri, cui non difetta l’invenzione di pittoresche immagini, chiama “barricate”; adesso questo nostro vecchio eppur giovane maestro bresciano, a’ bresciani quasi sconosciuto nonostante la sua autentica gloria, sta compiendo, come sol lui sa, ossia con eclettica cultura e fresco linguaggio, un libro sull’adorato Palestrina. Occorre dire che lo attendiamo con ansia? (g.)1
(da “Il Popolo di Brescia”, 11 luglio 1943, p. 2)
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1. Autore non identificato. |
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