GIOVANNI TEBALDINI

 

Il 7 settembre 1964, da un modesto armaiolo, nasceva a Brescia, Giovanni Tebaldini.

Gli anni della sua fanciullezza coincisero con l’ultima fase del Risorgimento italiano. Egli subì il fascino della nostra epopea e senza dubbio dovette, almeno in parte, a quelle remote impressioni la fierezza d’animo, l’audacia nelle imprese, l’ansia di indipendenza, lo spirito di italianità che caratterizzarono la sua lunga e laboriosa esistenza.

[…] Di ingegno precoce, di carattere volitivo, già sicuro nel valutare le proprie capacità artistiche, ormai note nell’ambiente musicale bresciano, a 15 anni accettò senza titubanza l’incarico di istruire i cori al teatro Guillaume; incarico che deve aver assolto con maestria, se fu assunto subito come istruttore di cori anche a Macerata e nel 1881, diciassettenne, al Teatro Castelli di Milano per la stagione lirica in occasione della prima Esposizione Nazionale.

[…] Nel 1883 fu accolto al Conservatorio musicale di Milano, dove studiò composizione con Amilcare Ponchielli, che egli, da discepolo devoto, sempre esaltò e spesse volte difese dagli strali degli avversari.  Ma il giovane battagliero, che nel 1885 aveva iniziato la collaborazione al periodico Musica Sacra con l’ardore del neofita per la riforma della musica sacra; che già aveva fondato e dirigeva a Vaprio d’Adda la prima Schola cantorum della diocesi di Milano e che nell’anno successivo era divenuto critico musicale del quotidiano La Lega Lombarda, ebbe l’audacia d’esprimere, su questo giornale, un severo e demolitore giudizio circa una Messa di Polibio Fumagalli, insegnante al Conservatorio di Milano; Messa ricalcata sullo stampo che il Tebaldini stava proprio infrangendo. E fu espulso dal Conservatorio, nonostante negli ultimi esami avesse conseguito la Gran Menzione d’onore, e il Bazzini, direttore del Conservatorio e suo grande estimatore, avesse tentato ogni via per impedire il provvedimento disciplinare, che però onorava il Tebaldini per la prova da lui data d’una concezione elevata dell’arte e d’un carattere fiero ed indipendente.

[…] Alla fine del 1889, per designazione dell’Haberl, fu nominato maestro di cappella della Schola Cantorum di San Marco a Venezia. Finalmente, con elementi idonei, anche se riluttanti alla sua foga innovatrice, poteva tradurre degnamente in atto il suo vasto programma di riforma della musica sacra e il suo sogno di diffondere la conoscenza di musiche dimenticate dei secoli d’oro della polifonia vocale. La Basilica e la Sala Apollinare del Teatro “La Fenice” risuonarono di melodie gregoriane e di canti polifonici sacri e profani, di cui egli stesso illustrava in dotte conferenze il valore storico e il contenuto estetico. Il 27 gennaio 1891 venne a Brescia con la sua Schola cantorum e fece seguire musiche del Palestrina nella chiesa di Sant’Afra. Mi piace qui ricordare alcuni passi della lettera al lui inviata due giorni dopo il concerto da Padre Piamarta, fondatore dell’Istituto Artigianelli: “Gli argomenti di fatto sono d’una forza incontrastabile a convincere anche i più increduli; ed è perciò ch’io amerei che tu ti degnassi a fare tutti i sacrifici possibili per dare qua e là saggi della tua scuola che già si è conquistata anche qui una buona fame. […]

Intravedo un pietoso disegno della Provvidenza con l’aver ispirato a te il forte pensiero di dare un colpo decisivo ad una profanazione che si era imposta da secoli nella Chiesa e che furentemente si arrabbatta per rimanere in seggio. […]

Abituati ab immemorabili a udire cantilene da teatro, qui si è smarrito perfino la potenza di intendere soggetti di musica sacra.

Avanti dunque, affronta impavido le difficoltà che ti si offriranno; e inaugura in vari punti della nostra Italia la musica, che deve potentissimamente contribuire ad avvicinare a G. C. una società per due terzi scredente. […]

Per limitarmi a due Cappelle, dirette poi dal Tebaldini, dirò che, a Venezia, Melchiorre Balbi componeva ballabili e romanze con testo liturgico; e ancora nel 1869 faceva eseguire, fra l’entusiasmo della folla stipata nella Basilica di San Marco, una Messa funebre per Rossini, da lui composta con pezzi tolti da opere teatrali del Pesarese; e che a Padova, alla Cappella del Santo, Alessandro Campana, ancora nel 1880, faceva eseguire una sua Messa, col Credo intessuto sul duetto del Don Giovanni di Mozart: “Là ci darem la mano”.

[…] I grandi compositori stessi battevano, in ciò, via falsa. Basti citare Giuseppe Verdi che, nel 1874, per onorare la memoria di Alessandro Manzoni, componeva la nota Messa da Requiem. Il Tebaldini, devoto ammiratore del Verdi, doveva più tardi onestamente dire: “Musica eminentemente drammatica in cui i sentimenti espressi nel testo sono resi nella loro significazione ideale, sintetica e concreta, ma senza riguardo alcuno alla disposizione letterale del testo”. Anche la Cappella Sistina che aveva tenuto fede alla tradizione della musica sacra pur fra l’imperversare di tanta depravazione, morto il direttore Mustafà, era ormai decaduta.  

Finalmente, nel 1875, don Guerrino Amelli fondò a Milano una Schola cantorum col fermo proposito d’educare popolo e clero alle forme più pure della musica liturgica; e a Cividale del Friuli, nello stesso periodo, il canonico Jacopo Tomadini batteva la stessa via: tutti e due con rara competenza e con pari entusiasmo.

[…] Finalmente ecco autorevoli riconoscimenti all’opera di questi pionieri. Il papa Leone XIII volle che la Cappella Sistina tornasse alle sue pure tradizioni; e la Commissione governativa per una Messa funebre per le annuali esequie di Vittorio Emanuele II non solo impose il carattere liturgico della composizione nel bando di concorso, ma scelse, tra le Messe presentate, quella composta in collaborazione dai maestri bresciani Bossi e Tebaldini. E la Messa fu eseguita al Pantheon il 9 gennaio 1893. La riforma della musica sacra esigeva però anche una radicale riforma degli organi. Non si dimentichi che, per la decadenza del canto liturgico, anche l’organo era diventato orchestra, banda, con preponderanza di trombe, campanelli e tamburi. Basti dire che nel 1879 Camillo Saint-Saëns, in un concerto d’organo al Conservatorio musicale di Milano, malgrado i notevoli tentativi di eseguire il Preludio e Fuga in re maggiore di Bach con la sua ben nota abilità, ebbe un clamoroso insuccesso, proprio per le deficienze meccaniche e sonore dello strumento.

Bisognava dunque rifare organari e organisti, i quali ignoravano, nella stragrande maggioranza, gli uni la struttura meccanica, gli altri la tecnica della tastiera, della pedaliera e della registrazione dell’organo liturgico. Ebbene: dai dibattiti sui periodici e nei congressi musicali, ai quali il Tebaldini partecipava assiduamente, con la riconosciuta competenza e col consueto impeto battagliero, uscirono trionfanti gli innovatori.

[…] Nominato membro della Commissione permanente per l’arte musicale al ministero della P.I. nel 1896, fu invitato alle feste musicali di Bilbao, dove portò nuovi contributi alla riforma della musica sacra e dove eseguì sue composizioni per organo, già premiate in vari concorsi indetti dalla Tribune di S. Gervais di Parigi.

L’Italia, finalmente, in gran parte per merito di Tebaldini, s’affermava per la musica sacra anche all’estero: la potenza incisiva del suo eloquio faceva proseliti anche fra gli stranieri alla causa della riforma, per la quale bisognava ancora combattere perché trionfasse del tutto. Nel dicembre 1897 vinse il concorso a direttore del Conservatorio di Parma. Giuseppe Verdi, sincero suo ammiratore, gli scriveva in quell’occasione “[…] Ella è un valente e uno di quelli che potrebbe rimettere sulla diritta via chi volesse deviare”. E ancora: “Mi è caro rallegrarmi con Lei Direttore del Conservatorio di Parma. E più mi rallegro con quell’Istituto musicale che avrà in Lei un artista che saprà vincere gli inevitabili ostacoli alle riforme a cui abbisogna”.

Egli, infatti, ci accinse subito a risollevare le sorti del Conservatorio per quanto si riferiva alla disciplina, all’indirizzo artistico, all’educazione morale, civile artistica degli allievi, alla quale rivolgeva la sua cura più attenta.

Ma il cerchio degli aperti e subdoli nemici, appartenenti alla fitta schiera dei melodisti, si stringeva inesorabilmente intorno a lui, sostenitore tenace della polifonia vocale classica, del canto gregoriano, del sinfonismo puro, dello studio severo del contrappunto.

La Commissione consultiva ministeriale, viste le risultanze dell’inchiesta provocata dagl’invidiosi e inetti avversari, riferì tra l’altro: “Ritiene degno di lode e di speciale considerazione il detto maestro Tebaldini, che merita nell’interesse del conservatorio di essere aiutato, agevolato dal Ministero perché egli possa compiere le salutari riforme iniziate”.

Ma ormai il Tebaldini aveva lasciato la Direzione del Conservatorio, che gli aveva tanto amareggiato quel periodo pieno di speranze per l’arte musicale. Nel luglio 1902 era infatti passato a dirigere la Cappella musicale della Santa Casa di Loreto, alla quale consacrò il meglio delle sue energie per ventidue anni, dal 1902 al 1924.

In quel periodo un’ardua questione aveva messo in movimento il campo degli studiosi del canto gregoriano. Verso la fine del 1899, Mons Carlo Respighi aveva pubblicato uno studio storico-critico, con documenti inediti, in cui dimostrava essere errata l’interpretazione dell’edizione medicea, che era servita di base all’edizione ufficiale dei libri corali di canto gregoriano. Da qui il conflitto fra la famosa scuola di Ratisbona, che sosteneva l’interpretazione della tradizione medicea anche per la praticità delle edizioni ufficiali, e l’altra non meno famosa di Solesmes, che sosteneva l’autenticità e la bellezza delle melodie gregoriane in nome dell’archeologia e dell’estetica. Il Tebaldini prese parte viva al dibattito, che si svolse particolarmente sulla Rassegna Gregoriana con dotti articoli di teoria, storia, estetica e pratica sul canto gregoriano e lo svolgimento della liturgia; e – fatto rilevante in un uomo come lui, fermo nelle idee e nei propositi – egli, che, come ho detto, era stato discepolo della scuola di Ratisbona, non esitò dopo ponderata valutazione delle opposte tesi, a schierarsi in favore delle tesi di Solesmes: prova di onestà di studioso, che corrispondeva alla sua probità di uomo e di cittadino.

Il Motu-proprio sulla musica sacra e il canto gregoriano datato il giorno di S. Cecilia – 22 novembre 1903 - , segnava il trionfo definitivo della riforma della musica sacra e del canto gregoriano. Papa Sarto, con questo che fu uno dei primi atti del suo pontificato, coronava il fervore dei rinnovatori.

Per il Tebaldini, le recenti amarezze del Conservatorio di Parma  venivano di gran lunga compensate dal trionfo della causa, per la quale aveva tanto lottato, e dal riconoscimento rinnovato de’ suoi meriti da parte del Pontefice non immemore dei colloqui col Tebaldini, allorquando era stato vescovo di Mantova e poi patriarca di Venezia.

[…] Nel 1924 tenne un Corso di Storia della Musica alla Camera di Commercio di Brescia. A sessant’anni, pochi mesi prima del suo collocamento a riposo, egli poteva finalmente rivelare ai suoi concittadini la sua vasta cultura e la sua genialità di critico, d’esteta e d’esegeta.

Libero ormai dalle cure professionali, tuttora nella pienezza del vigore fisico e intellettuale, asseconda meglio quello spirito nomade che aveva già caratterizzato la sua vita. Nel 1925 organizza e dirige la commemorazione palestriniana al Conservatorio musicale di Napoli, dove poi gli viene affidata la classe di Esegesi gregoriana e palestriniana, le cui lezioni ripeté poi ai Conservatori di Milano, Parma e Roma; nel 1929 dirige le esecuzioni palestriniane per le feste centenarie benedettine a Montecassino; nel 1931 va a dirigere l’Ateneo musicale “Claudio Monteverdi” a Genova; e continua ad occuparsi di esegesi gregoriana e palestriniana in vari corsi di lezioni ai Conservatorio di Roma, Napoli, Firenze; pubblica altre trascrizioni in partitura moderna di musiche di Frescobaldi, Bassani, Scarlatti; attende ad uno studio su Amicare Ponchielli e s’accinge ad un’opera storico-critica sul Palestrina, purtroppo interrotta dalla morte.

Né si creda ch’egli non seguisse attentamente il movimento contemporaneo musicale. Musiche sinfoniche, da camera, vocali e strumentali, sacre e profane, oratoriche che si pubblicavano e si eseguivano in Italia e all’estero formavano oggetto di suo acuto esame e di profonda critica, aperto qual era a tutte le tendenze artistiche, scevro qual era di ogni preconcetto, desideroso qual era di ampliare sempre più la sua già vasta cultura.

Ricordo appena l’analisi delle opere di Ildebrando Pizzetti in un volume di sue Memorie, in cui ricorda con affetto paterno e con giusto orgoglio l’allievo eccezionale del Conservatorio di Parma, che aveva seguito con tanto interesse i Corsi del Tebaldini sul Canto gregoriano e che ne aveva fatto tanto tesoro nelle sue composizioni. E ricordo ancora una suo articolo apparso sulla “Rivista Musicale Italiana” nel 1909, poco dopo la prima rappresentazione dell’Elettra di Riccardo Strauss dal titolo: Telepatia musicale. In esso egli metteva a confronto 15 temi dell’Elettra con altrettanti della Cassandra di Vittorio Gnecchi, opera eseguita a Bologna quattro anni prima, mettendone in rilievo la stessa forma ritmico-melodica e le identiche significazioni psicologiche nelle loro molteplici e varie apparizioni nel corso delle due opere. Qui ne parlo non tanto per il comprensibile scalpore suscitato dall’articolo, quanto per dimostrare come il Tebaldini  seguisse con acume critico anche la produzione dei musicisti contemporanei, e in qualsiasi genere musicale.

[…] Riposava ancora il vegliardo nella casa ospitale della figlia, a San Benedetto del Tronto. Il 4 aprile 1952, scrivendo al Comm. Leonzio Foresti circa le onoranze a Luca Marenzio, manifestava il proposito di una sua comunicazione sul Marenzio per l’Accademia Nazionale “Santa Cecilia” di Roma; ed il giorno precedente la paralisi che lo doveva condurre alla tomba spediva alla Rivista “La Scala” un suo articolo sul Ponchielli, scritto di suo pugno, pubblicato sul fascicolo del 15 aprile.

“Cielo e mar” è il titolo di quell’articolo. Le parole della nota romanza della Gioconda stavolta suonano quasi come presagio di morte.

Il Tebaldini, chiuso nella sordità che l’aveva colpito negli ultimi anni, ormai spaziava con l’anima sul vasto mare dei ricordi e pei cieli luminosi della speranza; e forse già pregustava quel concerto celestiale eternamente osannante a Dio, alla cui potenza e misericordi aveva devotamente innalzato canti per tutta la vita.

Infatti un mese dopo, l’11 maggio dell’anno scorso, il Maestro moriva. E si ricongiungeva all’amata consorte e alle due dilette figlie nella tomba che s’era preparato per sé e per i suoi cari a Loreto, presso il Santuario che per molti anni aveva risuonato delle voci, alle quali egli aveva impresso tanto ardore per l’arte e tanta fede per Dio.

 

Vittorio Brunelli1

 

(stralci da Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1952, Brescia, 1953, pp. 111-23)

 

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1. Vittorio Brunelli (Orzinuovi 1891 – Brescia 1979) studiò alla scuola normale e al liceo. Frequentò l’Accademia scientifico-letteraria e si laureò in lettere. Dopo la parentesi della prima guerra mondiale in cui combatté con valore, insegnò musica negli istituti magistrali, fu direttore didattico e primo ispettore scolastico di Brescia. Andato precocemente in pensione, iniziò la collaborazione con le riviste scolastiche, principalmente con “Scuola Italiana Moderna” e si dedicò a scrivere saggi di argomento musicale.

 

 

 

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